Capitolo trentacinque

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Lauren continuava a ripetersi di fermarsi, ma ogni attimo il fuoco si intensificava. Era in balia della follia grezza, neanche il senno maneggiava le redini di quella passione incosciente.

Le mani della corvina erano ferme sulle guance dell'altra, Camila strinse i polsi della ragazza, avvicinandosi a lei. Ogni volta che si permettevano di trasgredire, Camila sapeva che stava mancando di rispetto a Lucy, alla relazione di Lauren e anche a se stessa. Si, perché le concedeva di cullarsi fra le sue braccia, mostrando quasi indifferenza al cospetto delle inspiegabili azioni di Lauren, quando in realtà era ciò che aveva spasimato per tre anni, qualcosa nel quale aveva smesso di credere perché ritenuto irrealizzabile. Adesso che, inopinatamente, i suoi desideri si cristallizzavano, lei pretendeva di stringergli nel pugno come fossero niente, ma i veri pugni che riceveva erano quelli allo stomaco.

Percepì il suo respiro farsi più greve, sincronizzarsi con quello di Lauren che si era notevolmente appesantito, e le si increspava sulle labbra con accogliente calore, originando una quantità di serotonina da rischiarne un'indigestione.

La lingua le accarezzava le labbra, poi danzava giuliva contro la sua e poi si calmava di nuovo, cercando di modulare il respiro eccessivamente accelerato, ma era tutto un continuo placarsi per rinnovarsi con sempre più voluttà. Un circolo vizioso senza fine, una scommessa già persa sulla quale però, senza esitare, avevano puntato tutto.

Lauren la fece indietreggiare fino alla cattedra, dove la intrappolò fra di se e il suo corpo. Il suo ginocchio già premeva sull'intimità di Camila, mentre le sue mani le solcavano la schiena, premendo con intensità, perché per lei quella non era carne, erano pagine.

Camila si sentiva travolta, immersa in quell'attimo di scomposta felicità, ingiusta passione e non pensò a niente. Per una volta non considerò cosa fosse giusto o sbagliato, valutò solo ciò che voleva. E tutto il resto fu smussato, la moralità resa duttile dal desiderio, il dovere friabile nelle mani della libidine. E non pensò a niente di tutto ciò, finché la porta non si aprì.

«Gesù Cristo!» Esclamò Ally, sobbalzando scioccata.

Lauren si discostò rapidamente da Camila, la cubana saltò precipitosamente dalla scrivania, rassettando la maglietta spiegazzata.

«Ally..» Iniziò Lauren, lo sguardo puntato sul pavimento.

«No.» Imperò la bionda, camminando ad occhi chiusi e la mano alzata verso il banco in prima fila «Quest'aula è libera solo due ore al giorno, ed io ci vengo qui a pregare. Quindi, se non vi dispiace, preferirei non sprecare tempo a parlare dell'atto impudico che ho appena registrato ed archiviato.» Si sedette con compostezza, giungendo le mani davanti a se in segno di preghiera, ed alzando leggermente la testa verso l'alto.

Lauren e Camila si scambiarono un'occhiata confusa, ma anche colma di imbarazzo. Restarono inerti, in piedi, silenziosamente.

Ally aprì un occhio e trovando la due ragazze ancora lì, sbuffò seccata «Andatevene!»

«Oh, certo.» Farfugliò Camila, affrettandosi a recuperare lo zaino che aveva fatto cadere accanto alla cattedra e caracollandosi alla porta.

«Si, si.. Stavamo giusto...» Balbettò Lauren, prostrandosi in un mezzo inchino di scuse che non seppe bene se fossero rivolte ad Ally o al suo Signore. Probabilmente ad entrambi.

Quando chiusero l'uscio alle loro spalle, Camila non seppe più dove poggiare lo sguardo. Scostò una ciocca dietro l'orecchio, mantenendo il capo basso per non arrischiarsi di incrociare gli occhi di Lauren.

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