Capitolo trentatré

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Lauren assestò un leggero colpetto sulle natiche di Camila, facendola gemere, poi le ghermì la porzione lesa e la trascinò verso di se, istigandola a muoversi. Voleva sentirla contro di se, voleva tastare il desiderio attraverso i movimenti maldestri e scomposti, ma rapidi e impulsivi.

Camila non pensò minimamente alle conseguenze, tantomeno se ne preoccupò Lauren. In quel momento era tutto ciò che volevano, e anche se una delle due fantasticava da anni, mentre l'altra solo da pochi mesi, non c'era disequilibrio nei baci famelici o nell'arrancare delle mani; entrambe si volvevamo con desiderio sfrenato. Una cosa simile non la fermi, sai che è destinata ad accadere, a sfociare in qualche modo. Il perché non è dato saperlo, nemmeno la chimica possono spiegare cosa accade a due organismi che entrano in contatto e ad un tratto le molecole di uno si aggregano a quelle dell'altro. Non esistono formule per racchiudere certe passioni.

Lauren le afferrò i fianchi, con le labbra tracciò una scia obliqua di baci sul collo di Camila, bagnandole la pelle. La cubana lasciò cadere la testa all'indietro, poi di lato, spostandosi a seconda di dove la bocca dell'altra si posava, per permetterle di baciare tutta la porzione di pelle che voleva.

Si guardarono spesso, in penombra, sguardi colmi di parole che non avrebbero avuto lo stesso effetto se fossero state verbalizzate. Certe sensazioni le senti, le vivi, non ci sono discorsi che possano descrivere, ma solo sfiorare ciò che provi. Quindi il silenzio è la scelta migliore, perché non dice niente, ma spiega tutto.

Le mani di Lauren percorsero la scollatura di Camila, toccandole la pelle al di sotto, al che il suo corpo venne scosso da un brivido e le sue labbra si schiusero leggermente. E Lauren le aveva soltanto lambito un segmento. Le sue dita scesero dentro al vestito, raffreddando la pelle accaldata. La voleva toccare interamente, ma con lentezza sfiancante, per farle agognare attimo dopo attimo.

E Camila, nonostante fosse a cavalcioni su lei, non si sentiva affatto di avere il dominio, perché il suo corpo era modellato dei desideri di Lauren, dalle sue puerili ripicche. Ma a lei piaceva assecondarla, le piaceva eccome.

La corvina abbassò la cerniera di Camila che limitava molto i suoi movimenti, con l'altra mano, quando il vestito fu libero, lo abbassò sugli avambracci e prese a disegnare dei cerchi attorno al seno, aumentando la tortura. Camila si dimenò per restare seduta sopra di lei, ma al contempo togliersi l'abito. Non fu facile, ma aiutata da Lauren riuscì nell'intento e rimase solo in mutandine.

La corvina non si trattenne quando i due seni minuti le comparvero davanti agli occhi, e si fiondò contro il petto di Camila. Con le mani si aggrappò alla sua schiena, sostenendola, con le labbra baciò e morse sporadicamente la pelle della cubana, fino a succhiare il capezzolo, avida. La lingua leniva il leggero dolore che i denti incidevano sull'aurea rosata. Camila affondò istintivamente le mani nella chioma della corvina e la trattenne a se, emettendo gemiti rauchi e soffocati perché se da una parte la tecnica di Lauren le recava tanto piacere, dall'altra le toglieva il respiro.

Ed era sempre così, con lei. La faceva stare così bene da desiderare di fare un patto col diavolo purché non finisse mai, ma a volte la feriva così profondamente da credere che fosse lei in persona il diavolo.

Lauren si dedicò all'altro capezzolo, già turgido perché irrigidito dal freddo che respirava attraverso i finestrini, congelando l'aria. Lauren ci passò la lingua, così da riscaldarlo, intervallò dei morsi regolari ai quali aumentò sempre di più la pressione perché Camila mugolava in approvazione.

Il suo vestito era sprovveduto di cerniera, bastava abbassare le spalline e sfilarlo, così la cubana le tolse rapidamente prima uno e poi l'altro; necessitava di un contatto pelle contro pelle, voleva sentirla su di se senza veli, senza stoffa, senza niente.

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