Capitolo trenta

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Camila si recò di corsa a lezione. Era rimasta in piedi fino a tardi ad ascoltare le preoccupazioni di Lauren inerenti l'imminente spettacolo.

Ormai le prove erano quasi giunte al termine, ma c'era ancora una pecca nel discorso che la corvina pronunciava sul finale, dichiarandosi alla misteriosa donna. Agli occhi di Lucy non risuonava poetico, perché Lauren lo intonava con voce atona, monotona. Il pezzo che doveva spiccare fra il resto, il culmine dell'opera che doveva lasciare il pubblico a bocca aperta ergendosi maestosamente, non faceva altro che seguire una linea piatta e scevra di sentimento.

Lauren impiegava tutte le sue forze, Camila lo aveva appurato con i suoi occhi, ma era costretta a convalidare la tesi di Lucy. Quel discorso periva penosamente. Era strano, valutando che tutti restanti atti si svolgevano regolarmente, senza annotare alcuna pecca. Era come se il personaggio interpretato da Lauren si svuotasse di energia nel momento in cui entrava in gioco l'amore.

Camila entrò in classe precipitosamente, inciampando sui suoi stessi passi a causa dell'irruenza che le causava la fretta. Si aggrappò fortunatamente alla maniglia, ma il quaderno che aveva in mano le cadde e alcuni inserti si spansero sul pavimento, suscitando una risata fragorosa dai compagni già seduti in classe.

Camila si affrettò a raccogliere tutto, a capo basso, evitando le risatine che le risuonavano nelle orecchie. Sporadicamente alzò lo sguardo, timorosa, ma preferì ignorare i tipici studenti che la prendevano in giro, mimando esageratemente la caduta che aveva compiuto.

«Serve una mano?» Una voce femminile pose quella domanda retorica. Retorica perché mentre lo chiedeva si stava già accovacciando per aiutarla.

«N-non f-fa niente.» Balbettò impacciata, muovendo più velocemente le mani -e in maniera anche caotica- per recuperare le ultime pagine disseminate.

«Non è un problema.» Rispose disinvolta la ragazza, porgendole infine i pochi fogli che aveva adunato.

Camila alzò la testa e incontrò due grandi occhi marroni che la fissavano. Era sicura di non averla mai vista prima, nello scomparto della sua memoria non era archiviato alcun lineamento meridionale come quelli che sfoderava elegantemente la ragazza.

«Gr-grazie.» Farfugliò, imbarazzata non solo dalla figuraccia, non solo dalle battutine perfide dei compagni, non solo da se stessa. Era imbarazzata anche per la bellezza che le si parava davanti.

«Per così poco? Non c'è di che.» Replicò, facendo un cenno lesto con la mano per minimizzare il gesto che aveva compiuto.

Ed anche se era una piccola cosa, per Camila assunse un significato importante. Nessuno, in classe, si era mai scomodato ad aiutarla.

La ragazza tornò in posizione eretta, facendo forza con le mani sulle ginocchia per alzarsi. Camila emulò i suoi movimenti, come incantata da quello che faceva l'altra.

«Io sono Candace. Sono nuova.» Si presentò cordialmente la ragazza, tendendo il braccio in direzione della cubana, la quale tentennò qualche istante prima di stringerla.

«Ca-Camila.» Riuscì ad articolare, impedita non solo nei movimenti, ma anche nel tono.

Candace sorrise della sua timidezza, rimase affascinata dal colore vermiglio che caratterizzava adesso le guance di Camila. Le sembrò chiaro fin da subito che non era abituata alle gentilezze e che quando le venivano offerte gratuitamente la cubana era come se non si ritenesse meritevole di tanta bontà.

«Posso sedermi vicino a te?» Domandò spontaneamente la bionda, indicando con il capo i posti in ultima fila ancora vuoti.

«Ah.. ecco io... Io non, non credo sia una buona, una buona idea.» Le suggerì Camila.

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