Capitolo ventidue

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Camila mugolò contrariata, quando la luce nella stanza si accese.

«Era l'ora. Sono le cinque del pomeriggio, Camila.» Disse sua madre, entrando con passo spedito in cucina.

La cubana era curvata sul tavolo, con la fronte riposata sui palmi delle mani e le palpebre serrate per schermarsi dalla fioca luce che si infiltrava attraverso lo spiraglio, quando sua madre accese la lampadina artificiale Camila fu costretta a strizzare gli occhi per attenuare l'acuto fastidio che la punse.

«Mamma.» Protestò mugugnando; si accasciò sul tavolo e nascose la faccia fra le braccia, immergendosi nuovamente nell'apparente buio.

«Mila, sono le cinque del pomeriggio, sei stata a letto tutto il giorno. Devi raccontarmi qualcosa riguardo a ieri sera?» Ribadì Sinu, occhieggiando la figlia con aria avversa.

«No, mamma, non ho bevuto, se è questo che stai insinuando.» Bugia «Sono solo stanca perché sono andata a dormire alle sette di mattina.» La voce della cubana era impastata e arrochita dal sonno dal quale si era destata poco prima, a tratti sembrava ancora dormire.

«Mh..» Produsse un suono monocorde la madre, scettica, ma accondiscendente «Dinah è ancora a letto?»

«Si, adesso vado a svegliarla.» Dichiarò Camila, alzandosi pesantemente dalla sedia; le sembrava che le sue gambe fossero diventate troppo gracili per sostenere il peso di tutto il corpo.

Percorse il corridoio a tastoni, non volendo assolutamente accendere la luce. Salì le scale con l'ausilio del corrimano e, una volta arrivata sul pianerottolo, fece scorrere la mano lungo la parete fino a quando i polpastrelli non entrarono in contatto con il legno che costituiva la porta di camera sua.

La stanza era ancora ammanta nel buio, le persiane erano chiuse e l'avvolgibile serrato. Camila riuscì a discernere la figura di Dinah distesa nel letto solo perché le coperte ricadevano lungo il suo corpo creando un rigonfiamento evidente anche nell'ombra.

Si accostò a lei, si sedette nello spazio libero e gentilmente scosse la spalla dell'amica, sussurrando il suo nome. La polinesiana si svegliò solo dopo quattro richiami e ovviamente protestò sonoramente, ma si rabbonì quando Camila le annunciò che erano le cinque del pomeriggio inoltrate.

«Accidenti, avevo detto a mia madre che sarei tornata per cena, ma non so se riesco a muovermi.» Biascicò Dinah, sbadigliando.

Stirò gambe e braccia, pentendosi provvidenzialmente a causa dei dolori alle articolazioni che la intorpidirono.

«Però, è stata una bella serata.» Asserì con un sorrisetto malizioso e sghembo allo stesso tempo.

«Già.» Assentì Camila.

Passarono alcuni secondi di silenzio nei quali la cubana si illuse di averla scampata, ma fu una speranza che vana che si strusse l'attimo dopo.

«A proposito! Tu ieri sera sei scomparsa. Un attimo prima ti stavo ballando dietro e subito dopo te ne eri andata, non ti ho vista neanche quando hanno stappato lo champagne.» Dinah si sforzò di spostare il peso del corpo contro la spalliera del letto, guardò Camila con un'aria allusivamente impudica «Hai trovato di meglio da fare?»

La cubana balbettò, annaspò in cerca di una risposta valida, ma non aveva avuto tempo di confezionare una menzogna, quindi sospirò sconfitta «Devi promettermi che non andrai in escandescenza.»

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