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Le lacrime di Aris si riversavano con grave lentezza sulle piastrelle del pavimento. Il chiaro legno della porta sorreggeva la sua anima esangue e il suo corpo stremato, poggiato lì, privo di forze.

La stanza era totalmente bianca e asettica. La luce era fioca, soffusa; un neon posizionato sopra al letto, circondato da un'infinità di macchinari e attrezzature, illuminava la stanza. La Luna si affacciava alla finestra, dalla quale entrava un'aria gelida, di morte, e assisteva inerme alla scena. Il Tempo era immobile, attonito, osservava incuriosito e guardava attraverso i suoi vetri opachi.

Brividi di artico sudore scorrevano sulla schiena del ragazzo mentre tutto si faceva surreale, fugace. I suoi singhiozzi venivano interrotti solamente dai bip dei macchinari e il suo colorito cereo si confondeva con il colore delle pareti.
La vita si disperdeva liquida sul pavimento; era come se il suo cielo avesse smesso di essere blu. Un grigio indeciso aveva sostituito il suo blu oltremare; le più fredde sfumature del blu avevano rapito la sua iride.

Nulla. Non rimaneva più nulla nei suoi occhi.

«Liko...» sussurrò con voce tremolante.

Francesco era posato su quelle ruvide lenzuola bianche che si fondevano al suo corpo; la sua carnagione scura era ormai sostituita da un pallido beige scolorito. Le sue forti braccia ricadevano prive di vita al fianco del corpo; quelle forti braccia, che un tempo furono il focolare di Aris, adesso si stavano spegnendo come tutto il resto del corpo dell'amato: piene di tagli, suture, sporche di sangue e dolore. I muscoli, un tempo cosi torniti e vigorosi parevano atrofizzati, estinti. Il suo largo petto si alzava ora a fatica, ora a scatti mentre il suo respiro si faceva sempre più corto. Il suo viso virile era adagiato con grave stanchezza sul cuscino, ricoperto da una leggera peluria sulle guance e sul mento, violentato da ematomi e ferite.
La sua espressione era lontana, distaccata; come se ormai fosse troppo tardi. I capelli sporchi di sangue gli cadevano morbidi sulla fronte, le labbra carnose e un tempo vermiglie erano spente, appassite; il piccolo naso ora fratturato e arrossato.

Niente era al suo posto. Tutto era dolore.

Aris accennò un passo verso di lui ma il dolore gli colpì violentemente ogni muscolo del corpo. Si trascinò a fatica verso il letto e si schiantò sopra la sedia in plastica che apparve nel mezzo della stanza come un iceberg in mezzo al mare.

Osservò, con terrore negli occhi, cosa era successo al suo amato, scrutò ogni ferita che aveva sul viso e fece naufragare le sue ultime speranze.

La consapevolezza che l'amore della sua vita gli sarebbe morto fra le braccia si faceva sempre più forte; la mano diaccia della morte incominciò a lambirgli lentamente la schiena.

Si protese verso il viso angelico di Francesco, accarezzandolo dolcemente con il dorso della mano. La sua pelle non era più levigata e morbida come un tempo; le sue gote non intiepidivano più nessuna emozione. Ricadde pesantemente sulla sedia e accarezzò il lenzuolo, tentando di raggiungere la sua mano inerme; quella forte mano dalle dita affusolate così soffice, così gentile, che era capace solo di carezzare.

La strinse.

Niente. Nessun tepore, nessuna stretta.

I singhiozzi gli bloccarono il respiro, crollò su quel letto appoggiando la testa sul ventre dell'amato, stringendo la mano con forza e si abbandonò completamente alla sofferenza.

Un gemito dopo l'altro, Aris crollava un po' di più.
«Liko» singhiozzò Aris.
«Liko. N-Non puoi abbandonarmi. S-Sei l'amore della mia vita, ho... ho bisogno di te. Mi dispiace. Ti prego. Ti prego.»

Un lieve tepore si irradiò dalla mano di Francesco che con grande difficoltà mosse le dita e tentò di stringergli la mano. Tentò di aprire i suoi occhi cristallini, di color smeraldo dalle sfumature ambrate, e cercò intorno a sé la voce del suo Aris.

Una lieve scarica di energia percorse il corpo del ragazzo che smise di piangere per un secondo. Si alzò di scatto, facendo ribaltare la sedia e si avvicinò al viso di Francesco, afferrandolo con entrambe le mani.

«A-Ar...» miagolò lui con quella calda voce che era riuscita a far innamorare Aris.
«A-Aris» accennò.
«Liko!» lacrimò lui, guardandolo negli occhi.
«Liko, ti amo con tutto me stesso. Sei il mio tutto, io... non posso farcela senza di te, io...» le lacrime gli annebbiarono la vista.
«Aris, ti amo» disse Francesco con un sottile filo di voce mentre un'aspra lacrima gli rigò il volto.

La sua mano si fece fredda.
La sua linfa vitale cessò di scorrere.
Le parche tesero il filo.

«No» urlò Aris mentre gli occhi di Francesco si serravano per sempre.
«No... no, no, ti prego no.»
Il bip dei macchinari diventò martellante e rumoroso. Il corpo di Francesco si faceva sempre più freddo mentre il suo respiro degenerava.
Aris lo strinse con dolorosa consapevolezza e sentì il suo cuore battere di un ritmo irregolare.

La vista gli si cominciò ad annebbiare mentre la testa si faceva più leggera. Non c'erano più pensieri. Solo quello strazio martellante che faceva bip-bip sempre più velocemente. Tutto era sfocato, c'era solo lui, l'amore della sua vita e il suo dolore.

La sua mente, ormai sconnessa dal corpo, percepì delle presenze insolite. La stanza iniziò ad affollarsi e diversi suoni gli si confondevano nei timpani. Il suo cervello non era più in grado di gestire tutto e zittì quelle voci.

La stanza continuava a riempirsi. Aris sentiva delle parole, delle mani che lo toccavano, dei movimenti intorno a lui, ma era tutto troppo distante.
Le voci divennero insistenti.

«E' in arresto» tuonò forte nella sua testa.

Qualcuno lo strappò via da quell'abbraccio. Qualcuno lo sottrasse dalle braccia di Francesco.

«E' in arresto» rimbombava.

Si sentiva tirare via. Lo stavano portando via dal suo Liko. Lo vedeva allontanarsi, lo vedeva dissolversi nella luce.

«Libera!»

«Libera!»

La testa gli esplodeva. Tutto girava vorticosamente. Era tutto così irreale, confuso. Non capiva dove si trovasse, non vedeva più nulla.

«Ora del decesso: 00.27»

00:27Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora