24. Amore puro

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28 luglio 2015

Aris rimase a pensare a lungo, finché il giorno decise di andare a riposare.
Non dormì, quella notte; la sua testa non sembrava volerglielo permettere.

Rimase su quel divano, in un posto che non era casa sua, a fissare il soffitto, sperando gli potesse rispondere.

Milioni di dubbi, domande, immagini. La confusione più totale.

Come poteva perdonarlo? In cuor suo lo aveva già fatto. “È solo un bacio” si ripeteva. Ma dentro sé, nel profondo, dove l’orgoglio detta legge, sentiva quel bacio bruciare sulla pelle. Vedeva il suo fidanzato, l’amore della sua vita, ballare con uno sconosciuto, ondeggiare al ritmo della musica e ansimare sotto il tocco delle sue mani che gli sfioravano il corpo. Ricordava le parole amare che gli aveva rivolto, i suoi modi bruschi e il suo celare ogni sentimento che aveva provato.

«Non si fida di me a quanto pare» gli solleticò la mente.

Eppure, come poteva lui dimenticare tutto quello che avevano passato insieme, come poteva dimenticare loro due, i loro corpi, il loro amore?

Non ci riusciva.

E allora si torturava, cercava una risposta.
«Cosa ho fatto di sbagliato? Perché, perché?» pensò, «Pensavo che si sarebbe aperto con me. Pensavo si fidasse. Ci eravamo promessi di dirci tutto. Invece, tutto a puttane.»

Confessò al cuscino i suoi errori senza riuscire a trovare qualcuno da incolpare. Con chi era più arrabbiato? Con se stesso o con Francesco?

Non si dette pace.

La luce del giorno invase la stanza. Si mise seduto e andò a sciacquarsi il viso in bagno. Si guardò allo specchio e vide il suo volto sfigurato dalla rabbia, dalla tristezza; vide riflesso nei suoi occhi quell’Aris di tanto tempo fa, che non era in grado di vedere la Bellezza.

Non sapeva come fare. Si portò le mani ai capelli, sconvolto.
«Francesco» gridava dentro sé, «Liko.»

Aveva bisogno di aiuto, aveva bisogno di un consiglio da una delle persone più importanti della sua vita: Marco.

Prese un biglietto e scrisse: “sono a Milano, torno presto”. Per non far preoccupare gli amici e prese le chiavi della macchina.

Mise in moto e si ricordò di non avere la patente con sé. Decise di tornare a casa a riprenderla. Era ancora mattino e Francesco stava sicuramente dormendo.

Guidò fino al loro appartamento e aprì il portone mentre le sue mani tremavano appena. Salì le scale in silenzio e con ancora più prudenza aprì la porta di casa entrando dentro, dove tutte le finestre erano ancora chiuse. Vide il portafogli abbandonato sul tavolino; lo raccolse e fece per andarsene, ma sentì il bisogno di vederlo. Lo sentì forte nello stomaco. Voleva urlargli contro, voleva baciarlo, voleva prenderlo a schiaffi e lo voleva riabbracciare.

Si avvicinò alla camera da letto con passo felpato. Sentì un leggero rumore, si fermò e si mise in ascolto.

Niente.
Riprese.

Entrò in camera e vide Francesco, nel letto, senza vestiti, abbracciato al suo cuscino con quegli occhi, colmi di meraviglie, chiusi.
Il viso angelico ancora stanco, trascurato, era posato sul guanciale dove Aris sperava avesse pianto, almeno un po’.

La finestra era spalancata, con le persiane socchiuse che lasciavano entrare sottili raggi d’alba.

Gelidi spifferi di prima mattina entravano da quella, colpendo l’incantevole corpo di Francesco, che giaceva inerme sul letto.

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