12. Ombre scure

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Francesco si avvicinò barcollante ad Aris. Gli accarezzò la guancia con mano pesante. Aveva qualcosa di strano addosso, come un vestito scuro, sporco. Odorava di alcol.

«Ho preparato da mangiare, tesoro» disse Aris con un sorriso sereno.
Lui non rispose. La sua mano era ferma sulla sua guancia. La stanza era cupa, illuminata solo da una tetra luce soffusa.

Si ritrovarono a tavola, uno davanti all'altro, in silenzio.
Francesco mangiava a testa bassa, mentre Aris non aveva ancora toccato cibo. Gli occhi dei due ragazzi non si incontrarono per tutta la cena; il ragazzo dagli occhi azzurri si voltò verso la stanza buia.

Si voltò verso il fidanzato preoccupato, cercò il suo sguardo; lui rantolò poi, incominciò a tossire.

«Che succede, Liko?» chiese Aris.
«E' colpa tua» gli rispose tra un colpo di tosse e un altro.
«Che stai dicendo?»
«E' colpa tua!» gli urlò contro alzandosi in piedi. Il suo respiro si fece sempre più irregolare. Si piegò in avanti e rigettò sangue.

Un forte fischio riempì le orecchie di Aris, come un rumore sordo, monocorde.

Quel suono si faceva sempre più assordante, tanto che Aris dovette tapparsi le orecchie. Francesco si accasciò per terra mentre i suoi occhi si serravano.

«No, no. Liko, dove sei?»

Aris era rimasto al buio, assordato da quel sibilo. Si mosse a tentoni cercando il fidanzato.

«Non avresti dovuto, Aris» echeggiò la voce di Francesco alle sue spalle.
Si voltò di scatto e lo vide; lo vide seduto sul cornicione del loro balcone. Gli voltava le spalle e gli parlava senza guardarlo in faccia.
«Non avresti dovuto forzarmi. Io non volevo. Non volevo!» lo sentiva piangere.
«Liko!» gli urlò Aris senza riuscire a raggiungerlo.
«Non faceva per me, non faceva per noi. Ma tu no, tu no» i suoi singhiozzi si facevano assordanti.
Tempesta d'emozioni.
«I-io pensavo che fossi felice» Aris tremava come una foglia. «Scendi da lì, ne possiamo parlare.»
«Smettila! Non gira sempre tutto intorno a te. A quello che voglio io ci pensi mai? Eh? Ci pensi mai? Stupido, stupido» incominciò a colpirsi la fronte con la mano destra.
«Stupido» continuava. Aris lo raggiunse e lo strinse forte. Gli bloccò il braccio per impedirgli di farsi del male. Lui si voltò lentamente scoprendo il volto. I suoi occhi si erano fatti rossi e le sue iridi sembravano come appassite.
«Liko, non dire così» gli disse lui, soffocando nelle lacrime.
«Non ti è mai importato nulla di me» disse lui immobile e con voce piatta. «Non sono abbastanza per te.»

Si lasciò cadere giù dal balcone, sfuggendo dalle braccia di Aris.

«No!» urlò Aris devastato. «No, liko. No!»

«Aris» gridò forte Marco scuotendo il fratello per le spalle. «Aris, è solo un incubo.»

Marco si era precipitato da lui pochi attimi prima, sentendo il ragazzo dimenarsi e parlare nel sonno. Nico arrivò subito dopo, vestito solo di un paio di boxer.

«Che succede?» Chiese preoccupato affacciandosi alla porta.
Aris aprì gli occhi. La mano del fratello gli accarezzava la fronte inondata di sudore. Le sue mani tremavano senza tregua e i suoi occhi schizzavano da una parte all'altra della stanza.

«Non doveva succedere anche qua» disse terrorizzato con voce smorzata. «Scusatemi, scusatemi. Non volevo svegliarvi. Succede ogni notte, succede ogni notte» le lacrime gli impedirono di proseguire oltre.
Si raggomitolò su se stesso e si portò le ginocchia al petto. Si chiuse il viso nelle mani e ci pianse dentro tutto il suo cordoglio.

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