7. Folla

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Aris scese con prudenza le ripide scalette della vettura e fu investito da una calda folata di vento. La stazione era affollata e le persone si muovevano veloci e disordinate sulla banchina. Con la sua valigia in mano, solcò il lungo binario, percorrendolo con lentezza, cercando a fatica l’uscita della stazione.

La strada sembrava infinita e dopo 5 minuti, Aris si ritrovò nell’atrio della stazione. Si voltò indietro e ammirò con semplice malinconia, i treni in arrivo e quelli in partenza.

Attraversate le grandi porte che separavano la stazione dai binari, si ritrovò immerso in un mare di persone, luci e rumori. Tutti si muovevano di fretta e camminavano con disinvolta sicurezza mentre Aris, nonostante fosse stato a Milano diverse volte, si sentiva perso, smarrito, solo.

«Devi prendere la metro gialla» si ripeteva, riportando alla memoria le parole del fratello, mentre cercava fra le tasche il biglietto della metropolitana.
«Fai 4-5 fermate e scendi al Duomo» continuava.
«La fa facile lui» pensò mentre si inoltrava nel labirinto di scale mobili che aveva davanti.

Trovato il biglietto che gli aveva dato Marco, lesse: “BIGLIETTO URBANO. EURO 1,50” mentre si faceva trasportare dalla scala mobile.

«Permesso» sbraitò un uomo ben vestito.
«Scusi» disse Aris stranito, spostandosi a destra.
«Ma qua la gente corre anche sulle scale mobili?» pensò sconsolato mentre un interminabile fila di persone gli correva a fianco non curante.

«Milanesi» sorrise. «Sempre di corsa.»

Mentre nella sua mente ricordava la tranquillità della sua Genova e l'umile metropolitana che contava poco meno di 10 fermate, il telefono gli vibrò forte in tasca:
«Pronto?» rispose.
«Ehi, Aris. Sei arrivato?» disse preoccupato Marco, con tono paterno.
«Si, Marco scusa, mi sono dimenticato di chiamarti.»
«Non importa. Dove sei?»
«Su una scala mobile. Disperso in stazione» sussurrò Aris, imbarazzato.
«Sei sempre il solito» sbeffeggiò il fratello. «Che piano sei?»
«Non ne ho idea» rispose.
«Oh, Aris. Segui la scritta “metro”. Vedrai che non è difficile. Sto cercando di fare il possibile per arrivare in Duomo. 5 minuti e sono li. Ricordi che metro devi prendere?»
«Sì. La metro gialla. Non ti preoccupare, ce la faccio.»
«Se hai problemi chiamami.»
«Ciao» disse Aris con tono lamentoso prima di riattaccare.

“Vedrai che non è difficile” canzonava tra se e se prima di accennare un sorriso.

Aris sapeva di poter contare sul fratello; iniziò a prendersi cura di lui quando le certezze crollarono loro addosso, come macigni. Rimasero soli, spaventati; dovettero imparare a vivere. Da allora non si divisero più, rimasero sempre insieme.

Quando Francesco entrò nelle loro vite, le cose cambiarono. Marco si trasferì a Milano, sentendosi più tranquillo ora che il fratello aveva iniziato un percorso insieme ad un’altra persona e, finalmente, iniziò a vivere la sua vita e a concentrarsi su se stesso. Aris, in ogni caso, occupava sempre uno spazietto particolare nel suo cuore.

«Ma quante scale ci sono?» pensò Aris, percorrendo l’ennesimo infinito corridoio.

Le luci dei negozi gli illuminavano il viso pallido e il lucido marmo delle piastrelle del pavimento, rifletteva la sua figura esile che si aggirava per la stazione come un bambino che non trova più la mamma.

Mentre, accasciato sul corrimano della scala mobile, cercava disperato indicazioni sulla metro, una strana sensazione gli percorse la schiena. Un lieve brivido gli fece compagnia, un sentimento di triste familiarità.

Si voltò di scatto cercando qualcosa di anomalo dietro di se, ma non trovò nulla. La scala mobile era vuota e le persone intorno a lui sembravano procedere tranquille nelle loro vite.

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