15. Papaveri soporiferi

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«Liko, sei tu?» chiese Aris emozionato.

Quella figura misteriosa incominciò ad avvicinarsi verso di lui; si faceva sempre più nitida a suoi occhi, si avvicinava con passo stanco e costante.

Aris gli corse incontro, arrestandosi a pochi centimetri di distanza. Lo guardò attento, riconoscendo il viso del fidanzato.

Gli sorrise mesto.

Il viso di Francesco era proprio come se lo ricordava, così spigoloso, così virile. La barba incolta gli dava un aspetto trasandato, inconsueto per la personalità del ragazzo, ma il colorito era tornato quello di sempre, un beige ambrato. Così come le sue labbra, i suoi occhi, i suoi capelli; tutto aveva ripreso il suo colore originale. Dal marrone intenso dei suoi ricci al verde sconfinato dei suoi occhi.
Osservava il ragazzo davanti a sé, continuando a sorridere, fissandolo sereno con un luccichio negli occhi.

Aris restava impassibile, lì, congelato, senza il coraggio di muovere un muscolo.

Raccolse le forze e alzò il braccio destro verso di lui, lentamente, come tentando di sfiorarlo. Francesco fece lo stesso, alzando il braccio opposto, guardandolo in silenzio.
I due ragazzi aprirono i palmi delle mani avvicinandole piano, con un movimento lento. Erano come due amanti dopo un litigio, un attimo prima di ricordare tutto quello che avevano passato insieme, pronti a perdonarsi e rincontrarsi.

Le loro mani erano ormai riuscite a raggiungersi quando quel momento surreale, che era riuscito ad ammutolire il tempo, venne interrotto da un grido, un urlo.
Aris ritrasse la mano e si voltò di scatto, vedendo il fratello correre nella sua direzione, più veloce della luce. Si voltò sorridendo, smanioso di riabbracciare Francesco ma non lo vide più. Era sparito, veloce, come un soffio di vento mite, si era disperso nell’aria gelida della notte.

La mano del fratello gli afferrò una spalla voltandolo nella sua direzione e poi, uno schiaffo; uno schiaffo forte, che gli fece bruciare la guancia. Si ritrovò tra le braccia di Marco, che tremava per lo spavento, terrorizzato di averlo perso.

Aris non riusciva a capire cosa stesse succedendo, ricordava solo il viso angelico del fidanzato, le sue mani grandi e i suoi occhi che brillavano nella penombra della notte e lo guardavano, sì, lo guardavano; proprio come facevano un tempo, con quell’aria dolce e quella voglia di stare con lui.

La realtà lo colpì forte alla testa facendogli perdere i sensi. Cadde dalle braccia del fratello, come corpo morto, sul marciapiede.
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Quella notte, Aris, si risvegliò in ospedale, con una flebo al braccio, una sfilza di infermieri, Marco e Nico davanti. Le immagini erano rallentate nella sua testa, forse per i farmaci; non sentiva o capiva nulla di ciò che aveva intorno.

Quando riaprì gli occhi, i due ragazzi si avvicinarono a lui, sollevati, dicendo qualcosa che ad Aris sfuggì. Vide i loro visi rasserenarsi e si tranquillizzò. Chiuse gli occhi e si fece cullare dall’opaco torpore dei medicinali.

Il giorno dopo fu dimesso; uscì e tornò a casa. La sua testa era ancora offuscata e capire cosa aveva intorno sembrava un’impresa, ma riusciva a camminare, seppur sbandando. Riusciva a riconoscere solo le due figure protettrici che gli stavano accanto e si sentiva al sicuro, ogni qual volta uno dei due gli sorrideva o gli rivolgeva la parola.

Passava giornate intere a dormire, si svegliava per mangiare a pranzo e a cena e vedeva il fratello o Nico che si avvicinavano a lui e tentavano di parlargli.
Non ci riuscivano; era crollato in una spirale di nera sconsolazione, tutta la realtà che non aveva voluto vivere si fece vendetta con gli interessi.

Continuava ad avere visioni del suo Francesco; lo vedeva nel letto con lui, gli pareva di sentire la sua voce.

Stava impazzendo.

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