23. Scottature lunari

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Marco si era ambientato perfettamente a Mantova e le sue doti da leader si facevano notare e venivano apprezzate. Lui e il fratello si sentivano quasi ogni giorno; era tornato quello di sempre, la sua voce era di nuovo limpida, colma di gioia.

Gli incontri con la psicoterapeuta iniziarono ad essere sempre più sporadici, con l’arrivo dell’anno nuovo. I costi erano ormai invadenti e Aris dovette fare a meno di quelle sedute catartiche.

I pensieri iniziarono ad affollarsi nella sua mente, senza avere modo di venir espressi o analizzati; trovò in Nico un amico fidato, un ottimo ascoltatore e una persona tutta da conoscere.
Si vedevano ogni sera, in camera di Aris, e stavano ore a parlare di come avessero passato la giornata, di come si sentissero e di qualunque cosa passasse loro per la mente. Si facevano compagnia a vicenda e facevano sembrare la silente solitudine che li circondava, meno soffocante.

La primavere era dietro l’angolo, l’inverno aveva portato tanto freddo ma i fiori stavano per sbocciare lo stesso, e così anche l’affetto tra i due. Uno dei fiori più belli.

Una sera, in particolare, Nico era uscito. Aveva invitato anche Aris con sé ma lui decise di non andare, ricordando quell’esperienza negativa in discoteca. Preferì rimanere a casa, sotto le coperte, con un morbido pigiama in pile, un tè caldo, di cui ormai era diventato dipendente da quando frequentava la dottoressa Vanassi, e un libro di Zafón a tenergli compagnia.

La fioca luce della lampada e il tepore del soffice piumone facevano sembrare quel vento impetuoso, che spirava fuori dalla finestra, e quella nebbia, l’ultima di quell’inverno, come un’illusione distante, come se niente potesse perturbare quella perfetta ed equilibrata quiete.

Si lasciò trasportare dall’intreccio del romanzo, perdendosi in altri periodi storici e luoghi lontani, senza sentire la luna alzarsi lucente in cielo.

Guardò l’orologio: si erano fatte quasi le due. Chiuse il libro, sfiorando la copertina con il palmo della mano, sorrise e spense la luce.

Si rannicchiò sotto le coperte e prima che i suoi occhi si chiudessero sentì la porta dell’appartamento aprirsi.
«Oh, Nico» pensò. Si mise comodo, tranquillizzato dal fatto che l'amico fosse già a casa.

Chiuse gli occhi e sentì un rumore strano, come un tonfo. Sentiva Nico camminare barcollando, con passo pesante. Si mise in piedi e accese la luce, arrivò in soggiorno e vide il ragazzo, al buio, che aveva scontrato contro un tavolino facendolo cadere.

Tentava di tirarlo su, senza successo. Aveva alzato di nuovo il gomito.

«Tutto bene?» chiese Aris stropicciandosi gli occhi.
Nico si voltò sorpreso e si lanciò su di lui scusandosi per averlo svegliato. La sua voce e il suo fiato erano parecchio alcolici.
«Aris! Aris. Ciao, splendore» lo accarezzò e gli girò intorno. «Ho bevuto un po’. Forse tanto, ma non sono ubria… ubriaco.»
Non si reggeva in piedi tanto facilmente.
«Okay tesoro. Andiamo a dormire, che dici?» disse Aris con tono paterno.
«No! La notte è giovane» rise e si diresse verso la camera di Aris, sdraiandosi sul letto. «Com’è comodo» farfugliò ad occhi chiusi.

Ars lo guardò con sguardo dolce e si sedette di fianco a lui, accarezzandogli la schiena.
«Perché ti riduci così ogni volta?» non si aspettava una risposta.
«Perché sono triste. Tutti sono tristi» rispose ruotando il viso verso Aris; aveva qualcosa di strano, un’espressione stanca, una fatica sul viso.
«Oh, Nico. Perché non ci dormi su? Domani mi racconti perché sei triste, va bene?»
«Sì» rispose con la bocca impastata, «no. Voglio dormire con te.»
Si mise a mezzo letto e fissò Aris negli occhi.
«D’accordo. Puoi dormire qui se vuoi.»
«Nah, non in quel senso» gli rispose lui avvicinandosi. «Io voglio stare con te, perché tu sei buono. Sei così dolce con me. Tu… tu mi vuoi proteggere» gli rinvenne l’alcol. «Mi ascolti, mi stai vicino» alzò una mano verso il suo viso, scostandogli un ciuffo di capelli disordinato. «Sei così bello.»

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