19. Il ragazzo luna

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«Come è possibile…» chiese Aris titubante, «che io lo veda?»
«Hai avuto altre visioni, ultimamente?» chiese la dottoressa.
«Sì» disse Aris a bassa voce.

Lei raccolse i suoi appunti e tutti i suoi fogli, ne fece un plico ordinato, battendo i fogli sul tavolo, e li posò davanti a se. Lo osservò per qualche istante.
«Io credo che tu soffra di DPTS. Disturbo post traumatico da stress.»

Cadde il silenzio nella stanza.

«Il DPTS colpisce chi ha vissuto un evento particolarmente stressante o traumatico. Può portare depressione, ansia, flashback, evitamento, disforia e… allucinazioni. I sintomi sono vari e diversi da persona a persona.»

Aris deglutì.

«Si può presentare subito dopo l’evento o a distanza di mesi» disse la dottoressa. «Ci sono tre categorie di DPTS; i pazienti di tipo secondario, sono solitamente persone che hanno assistito a catastrofi o omicidi… o, molto spesso, parenti stretti, in caso di lutto. Come ti fa sentire sapere questo?» disse rivolta al ragazzo.
«I-Io…» fece Aris scosso. «Io non pensavo… credevo fosse normale sentirsi così.»
«Lo è» lo rassicurò la dottoressa, «certe volte non abbiamo gli strumenti per controllare questi sentimenti. Non dipende dal fatto di essere più fragili o più forti. Immagina il tuo cervello come un castello di vetro» iniziò a mimare una struttura in aria. «Un castello robusto, con spesse mura resistenti. Ora, prova a colpire queste mura con un martello. Si incrineranno. Potranno far cedere tutto, potranno resistere, ma più il colpo sarà forte, più le probabilità che rimanga in piedi diminuiranno» appoggiò le mani sulla scrivania e si avvicinò al ragazzo.
«Anche noi crolliamo, caro Aris. Dobbiamo solo trovare la forza per rialzarci.»

Aris annuì. «Quindi… non lo rivedrò mai più?»
La dottoressa gli poggiò la mano sulla sua; non disse nulla, scosse appena la testa.
«Ciò che vedevi,» disse poi. «Non era Francesco. Era la tua testa che ne stava creando un’ombra.»

Aris abbassò lo sguardo, triste e addolorato.

«Cosa stai provando in questo momento?» chiese lei.
«Io… non capisco. Perché mi sento come se quelle visioni fossero una cosa positiva? Non voglio che sparisca di nuovo. Mi manca troppo» si strinse tra le braccia.
«Ma lui non sparirà mai, se tu non glielo permetti. I ricordi, Aris, i ricordi hanno una forza pazzesca su di noi! Viviamo di ricordi, li organizziamo, li filtriamo e li teniamo dentro noi. In questo momento dentro te, stai cercando tutti i ricordi più belli e più brutti. Li stai mettendo tutti insieme perché hai bisogno di lui, qui e ora. Se continui così, però, ti farai solo del male. Devi lasciarlo andare.»
«Non posso» iniziò a tremare.
«Devi lasciarlo andare» si alzò di scatto e prese un foglio di carta. Lo porse ad Aris con una matita e gli chiese di scrivere il nome di Francesco.

Aris scrisse “LIKO” al centro del foglio cercando di trattenere le lacrime.
La dottoressa Vanassi si appoggiò alla scrivania osservando Aris.
«Cosa vuoi fare con quel foglio ora?» disse.
Aris lo prese e lo abbracciò forte, poi, lo piegò in quattro e lo mise in tasca.
«Non sono pronto» si lasciò cadere le lacrime.
«Un giorno,» gli posò una mano sulla spalla. «Ti sveglierai e farà meno male. Ti guarderai allo specchio e penserai a tutto il dolore che hai provato. Prenderai quel foglio,» indicò la tasca. «E lo lascerai andare. Usa i tuoi tempi. Non c’è fretta.»

Aris annuì asciugandosi le lacrime.
«Riposati e pensaci» tornò a sedersi.

Aris fece per alzarsi.

«Un’ultima cosa: ho un compito per te. Vorrei che ogni tanto, scrivessi su un foglio cinque ricordi. Ne belli, ne brutti. Cinque cose tue e di Francesco, della vostra quotidianità o qualunque cosa ti venga in mente. Piccole cose, mi raccomando.»
«Okay» disse Aris ancora commosso. «Una domanda.»
«Dimmi» disse lei mettendosi in ascolto.
«E’ possibile che abbia avuto altre visioni oltre Francesco?»
«Sì, può essere successo… a cosa stai pensando? Più che altro il nostro cervello non è in grado di creare immagini dal nulla. Si attiene a pattern, schemi. Quindi potrebbe esserti capitato di rivivere qualche situazione, magari… del giorno della morte di Francesco.»
Aris rimase qualche secondo in silenzio a pensare. Si chiedeva se quel capotreno che aveva visto, con quegli occhi così particolari, esistesse davvero.
«Ma certo!» pensò. «L’autista dell’autobus, quella sera. E’ successo di nuovo.»
«Va tutto bene?» chiese la dottoressa.
«Sì, ho capito» disse Aris con voce convinta.

Le settimane correvano veloci mentre Aris continuava la sua terapia. La dottoressa gli aveva consigliato di riprendere a lavorare e tornare a vivere una vita normale. Ormai, stava imparando a gestire i suoi sentimenti e accettare la morte del fidanzato, cosa che fino ad allora non aveva fatto. Marco aveva ripreso a lavorare nel suo vecchio ufficio, nonostante pensasse ancora a Mantova, ma Nico, ultimamente, era strano. Non salterellava più in giro per casa, non si esaltava per qualunque cosa e non aveva più quello scintillio negli occhi o quel buffo sorriso. Se ne stava per i fatti suoi, si metteva davanti un libro come scusa per non essere disturbato e pensava, nessuno sapeva a cosa.

Una sera, quando Aris si stava scaldando sotto le coperte con un tè caldo in mano, Nico andò da lui senza fare rumore.
«Aris? Sei sveglio?» disse spostando la coperta che Aris si era messo fin sopra la testa.
«Sì, scusa. Non sopporto il freddo. Sono congelato» gli sorrise scostando la coperta. Nico non ricambiò, si sedette di fianco a lui. Aris si avvicinò, finché le loro braccia si sfiorarono.
«Posso stare un po' con te?» chiese a bassa voce.

Aris lo guardò preoccupato.

«Certo, Nico.  Se hai bisogno di qualunque cosa sono qui» disse con voce dolce.
«Com'è innamorarsi Aris?» chiese tutto ad un tratto.
Aris alzò un sopracciglio, «Beh... ecco... è tutto. È iniziare a vivere per un'altra persona. È come perdere la testa. È l'ansia prima degli appuntamenti e il desiderio di averla con te. E poi è anche iniziare ad annullarsi...»
«Annullarsi?» chiese Nico che ascoltava in silenzio.
«Sì, non esistere più come uno, ma mettere il bene di qualcun altro davanti al tuo. Vuoi sempre che abbia di più, che sia sempre felice. Ma è anche tante cose belle! Ridere insieme, conoscersi, migliorarsi. Non ti senti più solo, sai… sai che c'è qualcuno che pensa a te. Diventa una necessità e ti riempie la vita.»

Nico divenne ancora più pensieroso.
«Che è successo, tesoro?» chiese Aris dopo aver concluso il suo monologo che gli portò tanti ricordi alla mente.
«Io... N-niente. Ti lascio riposare» fece per alzarsi.
«Aspetta» Aris lo tirò per un braccio.
Lui cadde sul letto trascinato dal ragazzo. Si mise comodo e tirò un angolo della coperta coprendosi le gambe.
«Non sono fatto per 'ste cose» disse sconsolato.
«Nessuno lo è, è un casino all'inizio. Non sai da dove cominciare, non sai cosa fare. Un macello. Bisogna solo lasciarsi andare.»
«Sarà» disse triste Nico.
«Se non ti va di parlarne, almeno, me lo fai un sorriso?» chiese Aris propositivo.

Nico si voltò verso lui e gli strofinò i capelli sorridendo.
«E’ che…» disse Nico tornando serio. «Ho paura di rimanere da solo. Ho 25 anni e… non ho mai avuto nessuno. Sono stanco di passare da un letto all’altro. Voglio di più» si grattò la barba come faceva quando era agitato. «La gente vede solo la mia bellezza, mi danno del superficiale senza neanche conoscermi. Mi vedono sorridere, sempre. E pensano che non abbia altro» si portò le gambe al petto, chiudendosi in se.

«Non hanno idea di quel che si perdono» disse Aris con voce profonda fissandolo intensamente.

Nico alzò la testa, come spiazzato da quella frase. Fece un mezzo sorriso e si avvicinò di più ad Aris per farsi abbracciare. Lui lo strinse forte e gli accarezzò il braccio.

«Dico davvero» proseguì. «So che non è lo stesso… ma, per quel che vale, io ci sono per te. Non sarai mai solo.»

Nico fece un verso di tenerezza e tirò fuori il suo vecchio sorriso smagliante.

«Promesso?» disse con voce infantile e più alta della sua.
«Promesso» rise Aris.

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