10. Una vespa azzurro cielo

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«Oh, intendevi in motorino!» esclamò Aris con tono spontaneo.

Nico annuì spensierato e invitò Aris a salire su. Davanti a loro una vespa azzurra restava in attesa di fronte al portone della palazzina, con la carrozzeria illuminata da flebili raggi di sole che si riflettevano celesti sul marciapiede.

Nico gli porse un casco e mise in moto. Aris salì incerto, lanciando la gamba al di là del motorino.

«Tieniti forte!» disse Nico afferrando con delicatezza le mani di Aris e portandosele sui fianchi.

Lui arrossì sotto la visiera del casco e si morse le labbra.

Con un forte rombo del motore, si misero in moto e percorrendo la stessa tangenziale che il fratello aveva impegnato poco prima, si diressero verso il centro di Milano.

Spifferi insidiosi d'aria fredda si insinuavano sotto la maglietta di Aris, in soffice e leggero cotone. Schegge di vento gli colpivano il viso, nonostante la modesta velocità del veicolo. Abituato alle calde estati della costa Genovese, Aris, iniziò a conoscere le nebbiose temperature di Milano. Lì, sembrava che l'autunno avesse già iniziato ad imbrunire le foglie.

Nico, d'altra parte, con quella sottile camicia, emanava un tepore confortevole, come la fievole fiamma di un camino in uno chalet di montagna.

Aris poggiò la guancia sul suo dorso, così caldo e così morbido. Gli cinse le braccia ai fianchi con più disinvoltura e chiuse gli occhi.

«Le tue mani sono gelide» rimbombò nella sua testa quella voce familiare.
«Le mie mani sono sempre fredde» sussurrò mentre una lacrima gli si congelava sul viso.
«Hai detto qualcosa?» chiese Nico voltandosi per un attimo.
Aris aprì gli occhi, come se si fosse svegliato da un bel sogno in una notte d'inverno.
«No, no. Volevo solo sapere quanto mancasse» si inventò.
«Ancora qualche minuto. Tuo fratello ha il brutto vizio di guidare decisamente veloce. A me non piace superare i 70» disse con la sua risata così pura e particolare.

Aris socchiuse gli occhi, tornando nel suo mondo illusorio. Riappoggiò la testa al dorso di Nico prima di riaprire gli occhi e rendersi conto di stare abbracciando un estraneo.

Si mise dritto, diventando rosso in viso e allentò la stretta sui fianchi del ragazzo.

Nico notò quel movimento; voltò appena la testa all'indietro e ammiccò tra sè e sè, lasciandosi scappare un sogghigno accennato.

I due proseguirono il tragitto in silenzio.
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Una decina di minuti dopo arrivarono a destinazione. Nico si inventò un posteggio a fianco di alcune macchine in doppia fila e spense il motorino.
In centro la temperatura era più alta e l'umidità rendeva l'aria pesante.

«Ho un po' di fame. Tu, Aris?» chiese sfilandosi il casco e inchiodando Aris con i suoi occhi.
«Non molto a dire il vero» gli rispose lui con lo stomaco in subbuglio.
Nico fece una smorfia dispiaciuta.
«Hai mai provato i panzerotti?» chiese poi.
«No» rispose apatico Aris.
Gli occhi grigi di Nico si colorarono di un verde acqua accesso.
Spalancò la bocca e disse:
«Allora dobbiamo rimediare. Non mi importa se non hai fame.»
Prima ancora che Aris potesse rispondere, gli prese la mano e lo trascinò in un vicolo poco distante.
«Qui fanno i panzerotti più buoni di Milano. Ma che dico? I più buoni in assoluto» disse con un entusiasmo tale nella voce da colpire anche il ghiaccio di Aris. I suoi occhi luccicavano con fervore mentre il suo viso si colorava del suo tipico sorriso, che gli teneva sempre compagnia.
Aris si lasciò trascinare, contagiato dalla gioia infantile di Nico.
«Non so se ti piaccia il pomodoro. Se vuoi possiamo provare qualcosa di fancy » continuava lui estasiato.
Aris sorrise a quel suo allegro modo di parlare e si lasciò scappare un ghigno; aveva dimenticato il suono della sua risata.
«Va benissimo quello che prendi tu» accennò divertito.
Nico e Aris entrarono nel panificio e ordinarono i loro panzerotti, prima di sedersi in una panchina nelle vicinanze e gustarseli.
«Oh mio Dio!» esclamò Aris dopo il primo morso. «E' buonissimo.»
«Te l'avevo detto» si sentì rispondere.

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