5. Le lacrime degli adulti

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Il citofono echeggiò forte nell’attico vuoto.

Aris si alzò svogliatamente dal letto e si diresse non curante verso la porta con triste lentezza. Alzò la cornetta;
«Chi è?» Disse con tono quasi lamentoso.

Nessuna risposta.

Mentre si dirigeva con passo impalpabile verso il letto disfatto, anche il campanello della porta squillò violento:

«Ma chi cavolo è?» pensò indispettito il ragazzo.

Aprì la porta senza guardare dallo spioncino, con un’espressione spenta in viso.

«Marco» esclamò stordito dopo aver visto sull’uscio il fratello maggiore.
Lo strinse forte, senza neanche lasciargli il tempo di entrare in casa.

«Ciao tigrotto» miagolò Marco fra le braccia del suo amato fratellino.

«Entra» disse Aris con tono glaciale, indicando al fratello l’atrio dietro di se.  I due ragazzi si accomodarono sul divano grigio fumo poco distante dall’ingresso.

«Aris, che fine hai fatto? È una settimana che provo a chiamarti» disse Marco preoccupato.

Aris socchiuse gli occhi e non rispose, gettò un’occhiata al telefono sul tavolino, probabilmente spento.

«Mi domandavo» proseguì il fratello, «come fosse andata con Francesco…»

Francesco.

Quella parola tuonò forte nelle orecchie di Aris.
Un fulmine a ciel sereno.
Con una semplice parola tutte le sue ferite si riaprirono, si lacerarono. Incominciò a sanguinare ancora.

I suoi occhi esplosero di luce e si spensero d’improvviso, tutte le sue sfumature di azzurro si sbiadirono in un confuso grigio.

Marco lo notò.

«È success qualcosa?» disse con triste fermezza. «I tuoi occhi sono così freddi.»

Un gelido silenzio invase la stanza. La faccia di Aris si fece truce e uno scuro velo di sconforto ottenebrò la sua espressione. Quell’apatia disillusa sbiadì fugace nell’aria.

Non rispose, abbassò la testa. La mano del fratello si posò delicata sulla sua:

«Aris» affermò preoccupato.
«Cosa è successo?» chiese puntando i suoi occhi di un indaco deciso nelle sue iridi consumate.

Aris fissò il vuoto per qualche attimo, cercando in tutti gli angoli della stanza un modo per non rispondere a quella domanda.

Si arrese.

«Liko… non c’è più» sussurrò.

Marco rimase stordito da quella notizia, come se fosse stato colpito alla nuca. Non riusciva a crederci. Spalancò la bocca, il suo cuore perse qualche battito e trattenendo a stento le lacrime, tentò di consolare il fratello:

«Non ci posso credere, io…» la sua voce tremava con violenza. «Cosa è succ... C-come stai, Aris?»

Aris scosse la testa abbattuto, scontrandosi per un attimo con lo sguardo fermo e contenuto del fratello. Interruppe il contatto visivo abbassando la testa; non riusciva a reggere la preoccupazione e la tristezza del fratello.

Dalla morte di Francesco, Aris non era più riuscito ad alzarsi dal letto. Era come se il suo corpo si fosse paralizzato, come se i suoi muscoli si fossero congelati. Il suo cuore batteva sempre più piano e ogni giorno che passava senza il suo Liko, moriva un po’ di più anche lui.
Si stropicciò gli occhi e accennò qualche parola.

«Io…» accennò con lentezza. «Io, non ce la faccio» disse prima che la sua voce si spezzasse violenta.

Non riusciva a fare niente, non riusciva a respirare; il vuoto lo sovrastava, gli opprimeva il petto. Lo sentiva sul torace, si sentiva mancare.

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