11. Tulipani bianchi

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3 Maggio 2010

«Sì scusa, scendo subito» disse Aris infilandosi un attillato paio di jeans e salterellando di qua e di là per la stanza. Al telefono il fidanzato, che lo aspettava in macchina da più di dieci minuti, gli strillava di sbrigarsi e si lamentava di quanto fosse lento. Aris, con i capelli ancora bagnati dopo la doccia, si infilò di fretta una maglietta bianca e, sempre correndo per la stanza, afferrò portafogli e telefono prima di scaraventarsi verso la porta e uscire di casa.

Fece le scale a due a due e aprì la porta con fervore. Il sole splendeva e la luce di quel caldo pomeriggio invase gli occhi del ragazzo. Davanti al portone una Chevrolet antracite lo attendeva ancora accesa e dal finestrino del lato conducente, si affacciava il braccio di Francesco che attendeva impaziente.

Aris, a testa bassa, aprì la portiera e si sedette, aggiustandosi I vestiti.

«Scusa» rise, pettinandosi nello specchietto. Si voltò verso il fidanzato dall'espressione truce e gli posò un bacio accennato sulle labbra. Lui ricambiò appena, fingendosi seccato.

«E' possibile che ti debba sempre aspettare venti minuti, come minimo?» disse irascibile.

«Non erano venti minuti. Saranno stati dieci, hai un pettine?» gli rispose con tono distaccato, quasi come non stesse ascoltando.

Francesco rise a gran voce, battendo le mani sul volante. La rabbia ostentata fino a quel momento si perse nell'aria come un eco distante.

«Non cambierai mai vero?» gli chiese senza riuscire ad interrompere la sua risata.

Aris gli lanciò una sguardo complice e gli sorrise alzando le spalle.

Francesco scosse la testa ancora divertito e mise in moto.

«Ti ho portato una cosa» disse dopo essersi calmato. La sua voce si fece morbida e pacata. Indicò I sedili posteriori con un gesto del mento e uno sguardo dolce.

Aris si fece sorpreso. Nei suoi occhi si accese una scintilla di curiosità e si voltò di scatto.

Disteso sul sedile, un mazzo di tulipani bianchi avvolto da una carta in color cartone, riposava dolce la sua bellezza.

«Oh» la voce di Aris si fece commossa. «Sono bellissimi» disse spontaneo allungandosi per raggiungerli. «Fra', non dovevi» aggiunse con la faccia immersa nel mazzo, intento a coglierne il profumo.

Lui sorrise senza staccare gli occhi della strada e sussurrò un flebile "Sono contento ti piacciano."

Aris rimase assorto a contemplare I fiori per qualche altro secondo.

«Adoro I fiori» asserì. La sua mano si spostò delicata su quella del fidanzato, poggiata sul cambio, che accarezzò con movimenti circolari.

«Grazie mille» sussurrò appena.

Francesco lo guardò di sfuggita, incagliandosi nelle acque cristalline dei suoi occhi, colorati d'un indaco acceso.

«Ti amo» gli donò.

Lui annuì e si voltò arrossendo. Fissò fuori dal parabrezza osservando la strada che scorreva veloce.

«Dove stiamo andando?» chiese poi con vece ancora emozionata, distratto.

«Ti va di andare a Nervi? Con questa giornata splendida è un peccato stare al chiuso.»

«Sarebbe magnifico» gli rispose sereno, Aris.

Il tratto in macchina fu più lungo del previsto a causa del traffico che soffocava le autostrade del capoluogo ligure. Aris, per domare la noia, prese il telefono in mano e cominciò a fantasticare.

«Ge-no-va, ho-no-lu-lu» sillabò scrivendo su un motore di ricerca di voli low cost. «Ti ho mai raccontato dei miei genitori?» chiese poi rivolgendosi a Francesco per ingannare il tempo.

«Non molto» rispose lui interessato. Una lunga coda di veicoli sembrava non volersi smaltire. Spinse il pedale della frizione e mise in folle, tirando il freno a mano. Si mise in ascolto con aria spensierata.

«I miei genitori si sono sposati molto presto,» incominciò. «Mia madre aveva ventidue anni e mio padre era più grande di lei di qualche anno. Ogni volta che guardo le foto mi commuovo sempre, erano così belli. Mio padre aveva due occhi di un blu bellissimo e anche gli occhi di mia mamma erano azzurri. Il suo viso era così delicato. Quando si sono sposati erano entrambi stupendi. Lei aveva un abito bianco vaporoso e lui era in perfetta forma, con quel vestito attillato. Ho sempre sognato un matrimonio come il loro» Il suo sguardo si smorzò malinconico. Restò in silenziò. «Mio fratello mi racconta sempre della loro luna di miele» proseguì. «Sono andati alle Hawaii. Io e Marco abbiamo sempre sognato di visitare quel posto. "Prima o poi" ci diciamo sempre, "prima o poi ci andremo." Come vedi...» disse sventolando il telefono. «I prezzi sono inaccessibili» rise. «Non si sa mai» disse a bassa voce.

«Insieme» gli strinse forte la mano Francesco che ascoltava rapito. «Marco può venire con noi» aggiunse ridendo.

L'atmosfera in macchina si fece più distesa. I due innamorati si guardarono negli occhi prima che un clacson interrompesse il loro momento. Francesco accelerò sbadato e rivolto ad Aris disse: «continua.»

«Mio padre era molto romantico» esordì. «Mentre erano ad Honolulu, le regalò un mazzo di fiori bello come questo» disse portando il mazzo di tulipani che teneva in mano, al petto. «"Liko", li chiamava. "Guarda che bei liko, guarda." le ripeteva. Lei lo assecondava senza capire, fin quando scoprì che volesse dire "boccioli". Era convinta che si fosse inventato quella parola in hawaiano. Non so se se la sia inventata davvero» continuò a ridere mentre questi dolci ricordi lo solleticavano. «Almeno questo è quello che mi raccontava Marco quando non riuscivo a dormire.»

Rimase in silenzio perso nei suoi pensieri, fissando il tappetino dell'auto a testa bassa.

«Liko, eh?» disse Francesco quasi commosso. «Dovevano essere due persone fantastiche.»

«Sì» Sospirò Aris. «Marco dice sempre che papà era uguale a me. Sempre sbadato, sempre in ritardo, sempre con la testa fra le nuvole. Lui invece ha preso tutto dalla mamma. Ha il suo stesso fascino, il suo stesso carisma. Era capace di tranquillizzare chiunque. C'era qualcosa di così accogliente nel suo modo di fare» il suo tono si faceva sempre più cupo.

«Saranno sempre con te, Aris» tentò di consolarlo, Francesco. «Proprio qui» disse posandosi la mano sul petto. Si voltò verso di lui con occhi dolci, privo di espressione e gli accarezzò una guancia.

Aris si voltò verso i suoi occhi color smeraldo e ci trovò tutte le risposte ad anni di mancanze. Tutta la malinconia che, dal mattino alla sera, lo appesantiva, stava incominciando a sparire, come nebbia che si dirada lentamente. Il suo cuore sembrava impazzito; sembrava battere per una ragione e non più di un ritmo costante, monotono. Batteva di gioia, batteva di vita.

Tutto sembrava avere senso; per la prima volta nella sua vita, tutto era in perfetto ordine.

Aris posò la mano su quella del fidanzato e si rannicchiò in quella gentilezza disarmante che gli donava.

Francesco cominciò a rallentare a causa di un ingorgo e scalò marcia. Il ragazzo nostalgico seduto sul sedile vicino, colse l'occasione per avvicinarsi al suo viso, rivolto alla strada. Posò le sue morbide labbra sulla guancia destra del ragazzo, solleticandosi con la sua barba ispida.

Sorrisero entrambi.

«Liko» ripeté dopo essersi messo composto. «Ho sempre associato a questa parola il loro amore. Loro due» incominciò a giocare con le dita, agitato. «Eppure ora che ci penso, il suo significato mi sembra più forte, speciale. Mia madre era il bocciolo di mio padre, era tutto per lui. Non c'entrano i fiori. Non c'entra se quella parola volesse dire o meno, "bocciolo". C'entra l'amore e basta.»

La sua mente si spense un istante.

«Ora sei tu il mio bocciolo, Francesco» disse poi con voce sicura. «Io non so cosa provassero i miei genitori l'uno per l'altra, ma voglio credere che, se l'amore esiste, si avvicini a quello che io provo per te.»

Gli occhi di Aris si adombrarono di gioia liquida.

«Tu sei il mio Liko, Francesco.»

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