25. Rinascita

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7 Giugno 2016

Il sole estivo tornò a scaldare le giornate. Era mattina presto, quando Aris venne svegliato da flebili raggi di sole che entravano dalla finestra dimenticata aperta. Si rigirò nel letto, accoccolandosi nel lenzuolo ruvido. Era rimasto solo in quell’appartamento così grande; Nico era partito per Parigi, la madre della moda. Era stato contattato da una delle agenzie più importanti di tutta la Francia. La sua carriera da modello stava decollando così in fretta da fargli interrompere gli studi, per i quali aveva capito di non essere portato. Sarebbe tornato dopo qualche mese.

Erano passate due settimane dalla sua partenza ed era arrivata la prima cartolina, dentro una piccola busta lilla che odorava di lavanda.
All’interno, oltre alla cartolina, una foto di Nico, sotto la tour Eiffel, vestito da Chanel. Indossava un elegantissimo blazer cobalto, con grossi bottoni in avorio, una camicia a pois e un lungo soprabito in lana blu.
I suoi capelli splendevano di una luce nuova, sembravano così morbidi, spettinati dal vento mite.
Nella foto rideva, guardando l’orizzonte, con la luce del tramonto che gli faceva luccicare gli occhi. Era così bello. Ma soprattutto, sembrava così felice.

Mon cher Aris, j’espère du fond du cœur que tu vas bien.
A bientôt. Un fort câlin.
Nico

Lesse dietro la cartolina, commosso nel rivedere quella calligrafia così elegante ed essenziale del suo amico.

Abbracciò forte quel messaggio e augurò a Nico tutto il meglio.

Gli mancava così tanto. Sapeva gestire l’assenza del fratello, nonostante avesse bisogno di sentire la sua voce ogni sera, ma non quella di Nico.
Non sentiva più la sua risata echeggiare tra le mura della casa, non sentiva più quelle parole in inglese mescolate all’italiano e non percepiva quel perenne disordine buono che Nico si portava dietro.

Sorrise. Sorrise a lungo, con gli occhi lucidi. Continuò a rileggere quella dolce frase in quella lingua così melodica. Prese una puntina da un cassetto poco distante e affisse la foto al muro, sopra la testata del letto, poi si lasciò andare alla nostalgia.

Rimase a pensare a lungo, in silenzio. Pensava al suo Francesco:
«Non ho neanche una sua foto con me… e l’anello?» si strofinò il dito.

Lo aveva tolto, quell’anello. Il giorno dopo il funerale. Lo aveva lasciato a casa e aveva tentato di dimenticarlo, ma il suo dito bruciava forte ogni tanto; ne sentiva la mancanza. Si alzò dal letto, per non lasciarsi sconfortare dalla malinconia e accarezzò la cornice sul comodino con la sua foto con Nico e Marco.

Sorrise ancora. Decise di essere felice.

Prese il telefono in mano e mise la prima canzone che gli capitò davanti. Iniziò a ballare, senza vergogne, senza preoccupazioni. Si lasciò andare a quel momento felice. Pensò a Nico e a Marco e sperò che anche loro stessero vivendo la loro vita, il più gioiosamente possibile.

Scoppiò a piangere. Si asciugò le lacrime. Si disse: “Ti voglio bene.”
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Studiò tutta la mattina. Non seguiva più le lezioni a Genova ma continuava a preparare gli esami.
Studiava e studiava.
A

veva bisogno di un successo, di un obiettivo. Tutti intorno a lui si stavano realizzando, inseguivano i loro sogni e si creavano il loro futuro. Lui era ancora lì, si sentiva ancora intrappolato nel passato.

Voleva spiccare il volo, voleva trovare la sua strada. Era rimasto solo con sè stesso e stava aspettando il momento giusto per ritornare in carreggiata.

Si fece ora di pranzo, preparò un piatto di pasta e si mise seduto davanti al televisore, guardando il telegiornale a volume alto.

Tra le notizie di cronaca una in particolare:
«Entra ufficialmente in vigore la legge Cirinnà del 11 maggio. L’Italia dice sì alle unioni civili tra coppie dello stesso sesso.»

Aris osservò il servizio a bocca aperta, senza toccare il suo pranzo. Fissava il televisore senza distarsi, cercava di non perdere nessuna parola.

«Questo è il momento giusto» pensò scosso da quella lieta notizia. «Ora o mai più.»

Si alzò, si vestì. Uscì di casa.

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