3. Un tonfo sordo

123 13 5
                                    

«Ragazzo!» urlò l'autista dell'autobus facendo sobbalzare il povero Aris che aveva perso i sensi su quel sedile.

Cercò di mettere a fuoco e capire cosa stesse accadendo; strizzò gli occhi e intravide una figura massiccia e incombente che lo sovrastava e gli scrollava, con delicatezza, le spalle per svegliarlo.

Dopo essersi stropicciato gli occhi iniziò ad intravedere il suo viso: era un uomo virile, dai lineamenti geometrici e squadrati. La sua mandibola prominente e la fronte stretta gli davano un'aria aggressiva, e le due piccole fessure semichiuse di color castano, che gli facevano da occhi, gli addolcivano l'espressione. I capelli radi che gli rimanevano in testa somigliavano alla criniera di un vecchio cavallo.

Aris lo fissava allibito, senza capire. Si guardò intorno e vide che sull'autobus non erano rimasti che alcuni senzatetto che avrebbero passato la notte lì. Si affacciò al finestrino e vide l'insegna luminosa dell'ospedale dall'altra parte della strada e, da quel momento, tutto tornò di nuovo al suo posto; I ricordi cominciarono a mulinare di nuovo nella sua testa e il dolore tornò a fargli visita. Proprio come dopo una lunga dormita, tutti i problemi con cui ci si è addormentati, assopiti nella notte, si risvegliano insieme a noi.

«Siamo al capolinea...» disse, con tono di voce sia seccato che paterno, l'uomo davanti a lui.
«Grazie» disse il ragazzo piantando I suoi occhi cerulei in quelli dell'autista. Questi fece un mezzo sorriso forzato, si allontanò e tornò in cabina continuando il sudoku che aveva lasciato in sospeso per soccorrerlo.

Aris scese dal mezzo e attraversò la strada che lo separava dall'ospedale. Entrò e fu investito dalla fortissima luce bianca che inondava la stanza, alla quale i suoi occhi non erano abituati. Le sue pupille si fecero piccole e un conato di ansia percorse la sua gola.

Si avvicinò alla reception e chiese informazioni.
«S-Salve» si interruppe. «Sono stato chiamato venti minuti fa... sono Aris.»
«Oh» fece l'infermiera alzando gli occhi dalla cartella che stava compilando. Aveva due occhiaie marcate, il suo colorito non era dei migliori e i corti capelli rossi le cadevano disordinati sul viso.

«Venga con me» affermò con fermezza sorpassando la scrivania nella quale era intrappolata.

Nonostante arrivasse al petto di Aris, gli posò una mano intorno alla schiena e lo invitò a sedersi sulle sedie in plastica rossa della sala d'attesa.

I due si misero seduti, uno di fronte all'altra e si guardarono negli occhi per alcuni secondi. Quelli dell'infermiera erano di un color verde giada acceso, offuscati da un velo di malinconia e stanchezza penetrante mentre quelli di Aris si erano accesi di un azzurro intenso.
«Sono Paola» si presentò con un sorriso forzato e preoccupato. «Sono l'infermiera che l'ha chiamata e le ha chiesto di venire qui poco fa» fece una pausa che per Aris durò anni.
«Qualche ora fa il signor Francesco è stato portato qui in seguito ad un incidente stradale. Le sue condizioni non sono delle migliori.»

Il cervello di Aris non riusciva a metabolizzare quelle informazioni. Le sue orecchie si rifiutavano di ascoltare.

«All'arrivo era privo di sensi.»
Mentre quelle parole colpivano i suoi timpani, non accennava alcun movimento.
«Il personale medico ha fatto il possibile per salvargli la vita ma il suo cuore è troppo debole per un qualsiasi intervento. Non siamo sicuri che possa passare la notte.»

Silenzio.

Un brivido gelido accarezzò la schiena di Aris. I suoi occhi, immobili e asciutti, fissavano il pavimento. Non c'era più nessun'emozione che tempestava nella sua mente. Non era più rimasto niente di lui. Nessun pensiero. Sentiva solo il suo cuore che ad ogni battito faceva male; un'affilatissima spada di Damocle gli si poggiava sul petto e oscillava, sempre più velocemente, dopo ogni parola che sentiva.

Il vuoto pervase la sua anima.

«D-Dov'è ora?» chiese interrompendo il doloroso racconto.
«In terapia intensiva, si è svegliato e... ha chiesto di chiamarla» rispose l'infermiera.

"Si è svegliato" rimbombava nella testa di Aris.
«Lui è sveglio. Lui» pensò. «Lui.»
«Mi porti da lui, la prego» disse.
«Lei è un familiare?» chiese Paola
«Io... sono il suo fidanzato.»
«I pazienti in terapia intensiva possono ricevere visite solo da familiari» si sentì rispondere;

Aris fu percorso da scintille di rabbia. Quel tipo di rabbia che si condensa dal dolore, che si raccoglie nel ventre e si allarga in tutto il petto fino a riempire gli occhi di lacrime asciutte.

Quella rabbia che crea un nodo in gola e prosciuga tutte le forze.

«Non potete farlo morire da solo!» Sbraitò alzando la voce e mettendosi in piedi davanti all'esile figura dell'infermiera.

I suoi occhi si colorarono di celeste e esplosero d'ira assalendo la donna innocente.

«Lui non ha nessuno» continuò. «Io sono la sua famiglia. E non potete permettere che muoia senza nessuno che gli stringa la mano» i suoi occhi incominciarono a diventare lucidi, le sue guance roventi, «non potete portarmelo via senza che io gli dica addio. I-io ho bisogno di vederlo. Ho bisogno di abbracciarlo... Per l'ultima volta» crollò a sedere sulla sedia di fianco alla povera donna che non sapeva come affrontare la situazione.
«La prego» disse stringendo la mano di Paola. «Ho bisogno di vederlo per l'ultima volta.»

Il cuore di Paola si incupì di compassione; si specchiò negli occhi opachi dell'anima infelice che aveva davanti e ne rimase incantata per un po', in silenzio.

Mille pensieri le infestavano la testa.

Dopo un approfondito esame di coscienza si alzò di scatto e fece segno al ragazzo di seguirla.

Le due figure si persero nel clima tetro e triste dei corridoi dell'ospedale, salirono due rampe di scale e, attraversando una serie di robuste porte, raggiunsero il reparto di terapia intensiva. Entrarono nell'androne nel quale venivano depositate le cartelle, I farmaci e I camici sterili che dovevano essere indossati ogni volta che si entrava nella stanza di un paziente.
Le pareti erano tappezzate di appunti scritti su post-it e indicazioni che circondavano grandi armadi in alluminio scolorito. Paola porse un sottile camice rosa ad Aris con un gesto gentile sussurrando:
«Sarà il nostro segreto.»
«Grazie» disse con voce roca il ragazzo fissandola negli occhi.
Indossò il leggero camice sulla fradicia camicia in lino che indossava; prese una cuffietta per capelli, e se la mise sulla testa. Cadde sulla panchetta davanti all'armadio senza più energie e cercò di indossare quei calzascarpe azzurri che gli erano stati forniti.

Indossati questi, una fortissima fitta gli percosse il petto: quel momento si faceva sempre più vicino e quell'odore di chiuso e di disinfettante rendeva quegli attimi di calma apparente ancora più massacranti e ingestibili. Si prese la testa fra le mani poggiando I gomiti sulle cosce, chiuse gli occhi e sentì le lacrime bussare alla porta; fece un respiro profondo e le trattenne con tutta la forza che gli rimaneva.
Un nodo in gola lo strozzava.

«È la penultima stanza a destra, prima del bagno» disse con triste delicatezza Paola.

Aris tirò su le sue quattro ossa e si incamminò verso la direzione indicata dalla gentile; il corridoio sembrava infinito, il cuore gli rimbombava nel petto e il fiato gli mancava. La sua mente si era svuotata; non sentiva più niente.

Nonostante il suo mondo stesse per crollare, il suo cuore non tradiva una singola emozione.

Le sue mani iniziarono a tremare come in una mattina di Gennaio, mentre l'ombra della porta si faceva sempre più vicina.

Ancora pochi passi e la catastrofe sarebbe avvenuta.

Spinse il suo corpo per gli ultimi metri che lo separavano da Francesco, appoggiò la mano sulla cornice della porta e affacciò la testa per guardare all'interno.

Lo vide.

Un tonfo sordo si sentì tuonare tra le pareti della stanza: il suo cuore; il suo cuore di cristallo che si frantumava a terra. Il suo viso si inondò, per la prima volta in tutta la serata, di tristezza. Quelle lacrime, che gli accarezzavano le guance con cruenta morbidezza, erano le uniche a stargli accanto.

Da quel momento in poi, Aris, non sarebbe più riuscito a fermare quelle lacrime.

00:27Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora