Capitolo 7

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«Spiegami perché sei qua» mi disse il preside, indicandomi la sedia difronte alla sua scrivania, con la faccia di chi ne aveva visti tanti di ragazzi che gli raccontassero stupidaggini.

Be', sì, la mia scuola non era come quelle in cui regna solo pace e noia, ogni giorno usciva un problema.

Prima che potessi rispondere, anche se non sapevo neanche cosa dire, si sentirono delle nocche toccare la porta della presidenza.

«Avanti!» il preside alzò la voce di un tantino, cullandosi sulla sua sedia da ufficio nera in pelle.

Entrò la professoressa Smith con i suoi capelli biondi svolazzanti e qualche ciuffo leggermente fuori posto, con il viso spaventato e con qualche rivolo di sudore che le serpeggiava sulla fronte. Probabilmente aveva corso.

«La prego di dividere due ragazzi, stanno facendo a botte»

Il preside si alzò controvoglia dalla sua comoda sedia, lanciando un impercettibile sbuffo. Cose di tutti i giorni. Mi guardò per un momento, pensando cosa potesse farne di me, perciò la professoressa prese parola: «Me la vedo io con lei»

Senza altre parole, il preside uscì, sbattendosi la porta alle spalle.

«Non so cosa tu abbia fatto, ma non è il momento di discuterne, saresti più utile da un'altra parte» affermò quando fummo rimaste sole.

Non capii cosa intendesse dire, finché non dovetti seguirla e, trovandomi nel bel mezzo del corridoio, in cui era in corso quella "presa a botte", vidi che i due ragazzi in questione erano Kyle e Ryan.

Non sapevo come, ma la professoressa era a conoscenza di tutta la nostra storia, mia e di quei ragazzi. Probabilmente aveva risposte che neanche io avevo, ad esempio: perché mi avevano abbandonata?

I suoi occhi mi supplicavano di far tornare la pace, dal momento che neanche le parole del preside riuscivano a calmare quei due idioti. Si stavano mettendo in un grande casino.

«La smettete?» urlai, mettendomi immediatamente tra i due, aprendo le braccia per mettere spazio tra i loro corpi, chiudendo gli occhi, sperando che nessuno dei due mi colpisse.

Dopo che fui certa che non ci fosse la possibilità di essere colpita, aprii prima un occhio e, ancora più sicura, anche l'altro.

Li osservai entrambi, muovendo la testa da destra a sinistra soppesando le loro posture e sguardi, ma nessuno guardava me, erano concentrati a sfidarsi l'un l'altro. Che situazione odiosa!

«Finalmente! In presidenza! Tutt'e due!» esclamò il preside irritato. I ragazzi, ancora guardandosi, seguirono la strada verso la presidenza.

«Seguimi» mi sussurrò a bassa voce la professoressa, prima che il corridoio si sfollasse, per non dare nell'occhio.

Seguimmo anche noi il preside, rallentando il passo in modo che non se ne accorgesse e, quando la porta della presidenza fu totalmente chiusa, ci avvicinammo il più possibile verso la serratura della soglia, in modo da sentire cosa dicessero.

Sì, la mia professoressa era così, un po' ficcanaso, ma la più buona di tutte.

«Sedetevi» si sentì il rumore delle sedie spostate.

«Quando avevo diciotto anni anche io facevo a botte, vi capisco, ma non potete farlo a scuola» il preside parlò calmo.

Non capivo dove potesse prendere quella tranquillità, ma era comprensibile, dal momento che vedeva ogni giorno qualcuno prendersi a pugni. Quanta pazienza!

«Capito, non succederà più» disse molto probabilmente Ryan. Immaginavo Kyle stesse ancora trattenendo la rabbia per chissà cosa. Non era mai stato uno che si riprendeva subito.

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