Capitolo 19

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KYLE'S POV

Non riuscivo a smettere di fissarla. Perché non ci riuscivo? Lei era mille volte più bella di quello che era sulla mia testa. Ma non dovevo pensare a lei, era tutto solo un gioco, dovevo mettermelo in testa. Ed io non mi sarei lasciato battere. Kyle Johnson non si lasciava sconfiggere mai, figurarsi con le ragazze. Anche se nei miei pensieri sapevo che lei era totalmente diversa, totalmente difficile e contemporaneamente odiosa e amabile. Nonostante tutto, non riuscii ancora a smettere di fissarla, perdendomi nei suoi occhi, a prima vista così comuni, ma che ti lasciavano dentro mille emozioni e io, anche conoscendola da anni, non smettevo di esserne attratto. Cosa stai pensando, Desy?


«Buongiorno», ricevetti un bacio, mentre la ragazza nel letto al mio fianco, mi si piombò addosso. Nonostante la sera prima fossi stato io ad intrufolarmi in casa di Abbey, ero deluso di svegliarmi con lei e non con un'altra.

"Perché ero andato da lei, allora?", mi domandai e mi risposi altrettanto velocemente. La mia voglia di baciare Desy la sera precedente era stata talmente grande che bruscamente me ne ero andato e, senza neanche pensarci due volte, mi ero catapultato in casa di Abbey, sapendo di essere sempre il benvenuto tra le sue braccia, o meglio, tra le sue gambe. Dovevo dimenticare lei e non riuscivo a trovare modo migliore di quello, pur sapendo che non sarebbe bastato. Non esisteva medicina per dimenticare lei. Ne sarei uscito pazzo, lo sapevo.


DESY'S POV

Chi avrebbe capito quel ragazzo? Ed anche quella sera mi aveva dimostrato la mia insignificanza per lui. Cosa gli avevo fatto per essere trattata così male? Perché mi aveva ricordato momenti bellissimi e poi mi aveva lasciata da sola a rimpiangerli? La sua, più che indifferenza, era crudeltà. Che ci guadagnava a vedermi soffrire?


La sveglia suonò, ma non le diedi quasi nemmeno il tempo di cominciare. Ero già sveglia. La mia testa continuava a tartassarmi di ricordi ed io non ne potevo più. La mia vita ormai faceva schifo e io non riuscivo a reagire, non riuscivo a fare in modo che tornasse ad essere vera vita. 

Presi il diario consegnatomi dalla professoressa, intrufolandomi nuovamente tra le lenzuola. Iniziai a scrivere freneticamente i miei pensieri sulla serata precedente. Non avevo molto tempo, mi aspettava la solita routine. Dovevo sfogarmi e il miglior modo era scrivere, scrivere e scrivere ancora. Dopo aver messo un punto con tutta la forza e rabbia che avevo dentro alla fine di una frase, decisi che sarebbe stato meglio svegliare Jem e andare a scuola.

-Vi passo a prendere-, mi scrisse Joe ed io mentalmente lo ringraziai per il passaggio verso scuola.

Quando fummo in macchina del nostro amico, avevamo già mangiato i cornetti che il ragazzo ci aveva portato ed io per l'ennesima volta gli avevo ripetuto di non preoccuparsi.

Arrivati a scuola, Jem si dileguò in un attimo.

«Tuo padre sta facendo dei progressi», annunciò Joe, al che ottenne tutta la mia massima attenzione. Così continuò: «Sta venendo di meno al locale e quelle volte beve poco. Inoltre è da molto che non stuzzica qualcuno per una rissa». 

Tirai un sospiro di sollievo. Forse qualcuno aveva ascoltato le mie preghiere.

«Grazie Joe».

«Di cosa?!». 

Non sapevo di cosa lo stavo ringraziando precisamente. Credo un po' di tutto, ma soprattutto per la sua preoccupazione per la mia famiglia. Lui era entrato nella mia vita nel periodo più problematico e nessun altro sarebbe stato capace di farlo, nessun altro aveva un cuore d'oro come il suo. Lo abbracciai, nonostante sembrasse il contrario, dato che lui era davvero alto.

Quando ci staccammo dall'abbraccio avevo gli occhi lucidi, non perché stessi per piangere a causa di una crisi, ma perché avevo ricordato tutto ciò che il ragazzo aveva fatto per me e per le persone più care a me; non l'avrei mai dimenticato.

«Che ne dici se stasera vieni a cena da me?», domandai. 

Avevo in mente una cosa. Mi guardò soppesando la domanda.

«Facciamo una sorta di riunione familiare e vorrei tu ci fossi, anche per ringraziarti, sai...».

«Non hai nulla di cui ringraziarmi, vengo solo perché ormai siete la mia famiglia». 

Sorrisi, come da tempo non facevo. Non mi ero mai chiesta quale fosse la famiglia di Joe o se anche lui avesse qualche problema. Era sempre così disponibile, come un angelo custode, come un fratello maggiore che non avevo, che alle volte dimenticavo anche lui potesse avere dei problemi. Mi sarei dovuta informare il prima possibile, mi sentivo un'egoista a non essermene mai ricordata.

«Amica!», Katy mi mise un braccio sulle spalle, per quanto fosse possibile, data la sua altezza inferiore alla mia.

«Perché sei così su di giri?», le domandai. 

Inclinò il capo, come per indicarmi la direzione in cui guardare.

«Non è sempre più bello?», chiese al mio orecchio, al che ridacchiai. 

Con la divisa da basket c'era James e vicino a lui notai anche Kyle, che mi fissava arrabbiato. Ovviamente Katy stava parlando di James.

«Io vado in classe», annunciò Joe, al che gli sorrisi sincera.

«Oddio, scusami! Ciao Joe», gli saltò addosso Katy, la mia piccola scimmia, che si era accorta, soltanto in quel momento, del ragazzo, concentrata com'era nell'ammirare James. Il ragazzo ridacchiò, mentre notai da lontano James stringere i pugni e spegnere immediatamente il sorriso che aveva in volto.

«Ci vediamo», disse Joe allontanandosi, ancora ridendo, quando fu libero di respirare.

«Andiamo anche noi, dai», strattonai la mia amica per un braccio.

«Secondo me gli interessi», sussurrai quando fummo più lontane.

«Tu dici?», domandò titubante.

«Quando mai non ti ho detto quello che pensavo?», le chiesi io e la bionda sorrise e mi si sciolse il cuore a pensare che infondo la mia vita non faceva così schifo, soprattutto grazie a lei.

«Katy?», la chiamai.

«Sì?».

«Stasera ci sarai da me, vero?», le ricordai il mio invito, che per lei sarebbe stato sempre valido. Finalmente la mia famiglia si sarebbe riunita e non vedevo l'ora di essere in pace con loro.

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