Capitolo 4 - Come sapeva il mio nome?

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Melany rientrò in classe, si sedette al suo posto e rimase in silenzio per il resto delle lezioni, persa nei suoi pensieri. Che cosa le era appena capitato? Si era sentita indifesa e impotente. Come le era saltato in mente di intromettersi? E non era neanche riuscita ad aiutare quel povero ragazzo. Quel che restava della sua inutile scena da eroina era una misera figura da scema, nulla di più. Sarebbe potuta andare a finire male, molto male; il tizio che l'aveva aggredita sembrava della peggior specie e chissà cosa le sarebbe accaduto se non fosse stata salvata.

A tal proposito, una domanda continuava a ronzarle in testa: chi era quel ragazzo? E come faceva a sapere il suo nome? A conti fatti erano due le domande, ma in teoria nessuno all'interno della scuola avrebbe dovuto conoscerla, a eccezione dei compagni di classe che avevano assistito alla sua rovinosa presentazione. Tuttavia, quel ragazzo non vi faceva parte o si sarebbe ricordata di lui. Le era bastato uno sguardo per avvertire una strana sensazione: quegli occhi, freddi e glaciali, profondi e intensi, sembravano aver scavato dentro di lei, catturando la sua essenza e causandole forti brividi, che aveva attribuito alla paura e alla tensione.

Inizialmente, Risa rimase contenta dello strano mutismo di Melany, perché le stava permettendo di dedicarsi alla scrittura indisturbata, ma quando vide che la ragazza non reagì neanche al suono della campanella di fine giornata, la scosse dalla spalla con una mano. Melany, uscita dalla trance, mosse il capo in segno di assenso e iniziò a conservare le sue cose nello zaino. Solo quando tutti furono usciti dalla classe decise di alzarsi e avviarsi all'uscita. Nella sua testa imperversavano un'infinità di pensieri.

Giunta nell'atrio, a pochi passi dall'ingresso, si fermò voltandosi verso la presidenza. Le balenò il pensiero che, forse, avrebbe dovuto raccontare al preside l'accaduto, ma non aveva voglia di rivivere così presto quanto successo. Tuttavia, non poteva lasciare impuniti quei teppisti. Qualcuno, primo o poi, si sarebbe dovuto esporre. "Sì, ma perché proprio io? Sono appena arrivata..." disse fra sé e sé, scoraggiata.

All'improvviso la sua attenzione venne catturata da un rumore proveniente dall'area macchinette; credeva che tutti gli alunni fossero già usciti, ma era evidente che qualcuno stava litigando con uno dei distributori, e non poteva essere un docente. Allungò il collo per vedere chi fosse e subito si ritrasse: era lui, l'incappucciato dagli occhi di ghiaccio, ed essendo considerato "il capo" doveva essere il peggiore in quel gruppetto di pazzi. Fuggire, ecco cosa doveva fare: scappare a gambe levate. Mosse silenziosamente un passo verso l'uscita, camminando in punta di piedi nella speranza che non si accorgesse di lei, ma un pensiero le attraversò la mente, arrestando la ritirata: "Però, tutto sommato, mi ha salvata..." brontolò nella sua testa. "E so che non mi darò pace finché non scoprirò il perché".

Fissò lo sguardo oltre le porte a vetri osservando il traffico, il caos, lo smog... il freddo. Forse, ritardare di poco il rientro non sarebbe stata un'idea tanto malsana e non aveva di certo un pranzo fumante che l'attendesse a casa. Era sempre lei a cucinare per sé e quella irresponsabile di sua madre. Strinse con la mano la bretella dello zaino e, per la seconda volta nella giornata, cambiò direzione.

«Ehm... Grazie» mormorò Melany titubante, quando gli fu abbastanza vicino.

«Mm?» mugugnò lui, intento a osservare la vetrina del distributore.

«Ho detto: grazie!» ripeté con stizza, aumentando il volume della voce.

Il ragazzo voltò il capo nella sua direzione, poi tornò a guardare davanti a sé. «Ah, sei tu. La ragazza coraggiosa. Che cosa vuoi?» Scosse ancora una volta il distributore, che buttò fuori degli spiccioli.

«Volevo ringraziarti per avermi aiutato, prima». Sobbalzò a causa dell'improvviso colpo al macchinario, e per la soggezione che era riuscito a incuterle con un solo sguardo.

Come una farfalla [Completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora