1: "Sei una giornalista?"

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Generare paura e confusione, poi scappare. Mai una missione era stata così semplice e difficile al tempo stesso, ma quello era il nostro lavoro e dovevamo portarlo a termine senza commettere il minimo errore.
Quel giorno si teneva il Gala, l'annuale riunione del presidente Ellis con le più importanti cariche degli Stati Uniti a cui seguiva una festa a cui solo gente ricchissima era abituata a partecipare. Gente come Tony Stark e la congrega degli Avengers. Che poi, quest'ultimi, tanto abbienti non erano.
«Non ci devono essere morti, questo è imperativo» disse Fort, sistemandosi la cravatta con fare annoiato. Soffermai lo sguardo sulla sua giacca dello smoking e individuai facilmente la sagoma di una pistola, mi sfuggì un sorriso, quello era il suo solito errore.
«Tasca interna sinistra» mormorai avvicinandomi, sapevo quanto poco amasse essere colto in fallo. Mi guardò aggrottando le sopracciglia e con una mossa veloce spostò la calibro 32 dietro la schiena, probabilmente infilandola tra la cintura e il pantalone.
«Anche se partisse un colpo non avrei problemi» mormorò ammiccando, senza dubbio era una delle peggiori battute mai dette nonostante il suo intento fosse quello di alludere alle sue capacità sovrannaturali.
«Orribile, fattelo dire» sussurrai in risposta, dandogli una pacca sulla spalla.
«Attenzione prego» gracchiò l'auricolare, portando noi tutti sull'attenti in un modo quasi innaturale. Vidi letteralmente la schiena di Fort raddrizzarsi come fosse un fil di ferro ben tirato.
Per l'occasione era stata mobilitata quasi tutta la squadra, se così la si poteva chiamare, e per non dare troppo nell'occhio eravamo sparsi per tutto il giardino della proprietà. Cinque erano stati scelti per intrufolarsi tra i camerieri ed erano già all'opera, fortunatamente non avevano riscontrato alcun intoppo, mentre noialtri sette dovevamo fingere di essere dei ricchissimi snob o giornalisti.
«Per l'occasione la Sezione Rossa non sarà operativa» proseguì Alpha nell'auricolare, nemmeno un'ombra di emozione sembrava colpirla. Sbuffai alzando gli occhi al cielo, a quanto pareva non dovevano esserci spargimenti di sangue, peccato. «Accodatevi a tutti gli altri e ricordatevi le vostre storie.»
Ci fu un debole, debolissimo fischio e uno dopo l'altro raggiungemmo l'entrata dell'edificio, pronti a portare a termine il primo punto della nostra nuova missione.

Non conoscevo nulla del luogo in cui eravamo, sapere le coordinate degli incarichi non era mai una mia priorità e cercavo sempre di rimanerne all'oscuro: uccidevo per mestiere e se qualcuno mi avesse catturata non potevo certo lasciare che mi estrapolassero così tante informazioni, per questo mi limitavo a svolgere il mio compito senza pensare troppo. Nei casi estremi, quando ricevevo troppe informazioni e avevo dei noiosissimi attacchi di panico, mi affidavo ad Alpha e tutto finiva dolorosamente nel dimenticatoio.
L'immenso orologio sulla parete Nord indicava le dieci in punto precise, ciò significava che eravamo dentro da quasi un'ora eppure non avevamo ricevuto ancora nessun ordine. C'era un limite massimo, le undici e mezza, e non vedevo l'ora di poter metter mano sulla pistola. La mia sezione non era operativa, lo sapevo, ma avevo bisogno di azione, di urla.
«Giornalista?» domandò una voce maschile alle mie spalle, sembrava piuttosto divertito. Mi voltai lentamente, consapevole che non era nessuno dei miei colleghi, e quasi mi venne un colpo quando vidi Tony Stark davanti a me, un drink tra le mani e un sogghigno fastidioso stampato in viso. Mi obbligai a sorridere imbarazzata, dopotutto per quella sera dovevo essere una timida donna che ambiva a scalare la vetta del giornalismo di qualità. Una gran cagata, insomma.
«Si nota così tanto?» mormorai spostando lo sguardo dal pavimento al petto di Stark, non provai nemmeno a guardarlo in viso.
«Ha parlato con poche persone da quando è entrata e se uno è ricco conosce minimo la metà di coloro che sono qui dentro» spiegò con un'alzata di spalle, come se fosse normale il fatto che sapesse con quante persone avevo discusso dalle nove in poi.
«Mi imbarazza un po' approcciarmi a degli sconosciuti così potenti» risposi con una vena di malizia, questa volta guardandolo fisso negli occhi. «Leah Jason, comunque.»
Annuì con una strana espressione in viso e mi prese senza troppe cerimonie per un gomito, cominciando a trascinarmi in mezzo alla folla senza dire più nulla. Era una reazione strana anche per un tipo come Tony Stark e tanto bastò per farmi pensare al peggio, aveva forse scoperto che non ero chi dicevo di essere? Strinsi la pochette al petto, pronta come mai prima ad estrarre la pistola. O il pugnale, andava benissimo lo stesso.
«La prossima volta sii meno allusiva, dolcezza» disse beffardo prima di lasciarmi andare con una leggera spinta. A quanto pareva, il serpente mi aveva portato nella sua tana. «Purtroppo all'appello abbiamo solo Capitan America e il fedele amico Falcon.»
«Non sono il suo cane, Tony» sbuffò Sam Wilson, probabilmente facendo riferimento a come era stato appellato. Poi si voltò, sfoggiando un sorriso invidiabile, e mi strinse la mano senza troppe cerimonie.
«L-Leah J-Jason» balbettai insicura, seguendo fedelmente il mio personaggio per la serata.
Steve Rogers riuscì a prendermi contropiede quando lasciò un fugace bacio sulle nocche della mia mano destra, era evidentemente rimasto indietro con i tempi in materia di donne.
«Sei una giornalista, non è vero?» chiese Sam e a stento mi trattenni dal sospirare pesantemente. Quante altre volte dovevo sentirmelo dire prima delle undici e mezza?
«A quanto pare sono la persona più prevedibile presente in questa sala» dissi con un'alzata di spalle e una mezza risata. Con ciò riuscii a conquistarmi la totale attenzione di Steve Rogers, in tale circostanza non essere operativa era un'assoluta sfortuna... avrei potuto colpirli tutti e tre così facilmente!
Un grido squarciò il chiacchiericcio della sala facendola piombare nel più assoluto silenzio, ci fu un altro urlo e solo allora gli Avengers parvero prendere vita. Finalmente la situazione si stava surriscaldando, dandomi la possibilità di fuggire da quella circostanza assurda in cui ero finita.
Consapevole che una persona qualsiasi in una situazione simile sarebbe stata terrorizzata, mi aggrappai a Steve Rogers, impedendogli in qualsiasi modo di muoversi da lì. Cominciai a mormorare frasi sconclusionate tentando di imitare alla meglio un attacco di panico, il pesce lesso ci cascò come un bambino e con me ancora addosso cominciò a far defluire la gente verso un'uscita secondaria.
Ci furono due spari e altre urla terrorizzate, avevano le grida facili questi ricconi! Cominciai a piagnucolare nascondendo il viso nel petto di Rogers che, con un gesto assurdamente veloce, mi caricò sulla sua spalla.
«Non preoccuparti, ti porto in un posto sicuro adesso» disse Steve con la voce più dolce che avessi mai sentito da quando avevo perso la memoria. Prima che potesse anche solo fare un passo mi spinsi a terra, atterrandogli davanti, e consapevole di non poter utilizzare la pistola lo colpii al mento con uno dei montanti più potenti mai dati. Con orgoglio lo vidi cadere a terra e poi, prima che si potesse alzare, gli diedi un calcio al centro del petto. Sfortunatamente per lui, indossavo un tacco dieci. Lo sentii gemere appena, ma sembrava non l'avessi quasi scalfito.
«A quanto pare, non sono una giornalista» sbottai lanciandogli un'ultima occhiata. Il figlio di puttana si stava alzando, una mano sul petto e l'altra a sostegno del suo peso, e sembrava puntare dritto contro di me, piuttosto arrabbiato.
Mi ero infilata in un bel guaio, ma conoscevo il mio lavoro e sapevo perfettamente come uscirne. Imboccai subito l'uscita secondaria da cui erano scappati gli invitati e mi mescolai tra loro, consapevole che nessuno mi avrebbe cercata lì in mezzo per evitare di traumatizzarli ancora di più.
«Missione riuscita, ritornate alla base» sibilò l'auricolare. Dovevo chiederne assolutamente uno nuovo, più moderno magari, dato che facevo parte della sezione più importante dell'organizzazione. Purtroppo, nonostante fossi nella Sezione Rossa da quando ero stata reclutata, per la maggior parte dei miei "colleghi" ero solo una bambina con troppo potere tra le mani.
«Vieni, Flamme ci sta aspettando in auto» quasi mi gridò all'orecchio Fort, avvicinatosi senza che me ne accorgessi. Non avrei dovuto rilassarmi così velocemente.
Seguii l'uomo verso la sua Mercedes, prima di salire diedi un'ultima occhiata alla folla di invitati e con orrore notai qualcuno sul tetto dell'edificio.
«Dobbiamo aspettare, Occhio di Falco è in ricognizione» avvisai non appena chiusi la portiera. «Gli invitati sono tutti nel cortile, daremo troppo nell'occhio!»
«Hai sentito gli ordini, dobbiamo tornare.»
Cercai con lo sguardo l'appoggio di Flamme, ma sembrava guardare ovunque tranne che lo specchietto retrovisore.
Occhio di Falco era sempre là, arco in mano e una freccia già incoccata, e ci guardò a malapena quando l'automobile passò ai piedi dell'edificio.
«Direi che gliel'abbiamo fatta sotto il naso» esclamò tutto contento Spettro, probabilmente facendo prendere un mezzo infarto a noialtri tre.
«Ti prego, non dirmi che sei nudo. Questa è la mia auto!» sbottò Fort senza distogliere lo sguardo dalla strada. Flamme ridacchiò e io mi limitai a tastare i due sedili al mio fianco, alla ricerca del nostro compagno che tanto amava usare il suo potere. Lo individuai quasi addosso alla portiera sinistra.
«Devo considerarla una avance questa? E comunque no, ho i miei vestiti» rispose Spettro, sempre troppo allegro per i miei gusti. Tirai subito indietro la mano e lui con una risata riapparve. Ad occhio e croce, lo stavo toccando decisamente troppo vicino alle parti intime. Lo guardai disgustata, consapevole d'avere le guance arrossate, e sperai capisse al volo la mia minaccia velata: non volevo sentire neanche un'altra sillaba sull'argomento.
«Rogers sembrava piuttosto infuocato, ne sapete qualcosa?» domandò Flamme all'improvviso, dopo svariati minuti di un silenzio assoluto. Serrai la mascella con un colpo secco e scrollai le spalle, dopotutto io non avrei dovuto essere operativa. Spettro tirò fuori una storia assurda, del tipo che era troppo impegnato a combattere e flirtare con la Vedova Nera per poter accorgersi di un ammasso di muscoli che vagava per l'edificio alla ricerca di qualcuno.
Fort, al primo semaforo rosso, si voltò e senza pensarci troppo mi puntò il dito contro. Cercai di negare il più possibile, adducendo al fatto che per la serata non potevo metter mano alle armi, ma alla fine dovetti cedere.
«È stata colpa di Stark!» sbottai incrociando le braccia al petto. «Mi ha trascinata da Rogers e Wilson, come potevo non fare nulla quando sottomano avevo quei tre?»
«Se ti avesse presa? Hai idea di cosa sarebbe capace Alpha?» chiese questa volta Spettro, dandomi un pugno sul braccio. Lo fulminai con un'altra occhiata, ma questa volta parve non avere alcun effetto. «Poco che mi guardi così, lo sanno tutti che ti adora come pochi.»
«Sai com'è, se uno segue gli ordini è facile apprezzarlo» risposi piccata, consapevole di essere davvero una delle preferite di Alpha, ma senza alcuna vera ragione. Non ricordavo come l'avevo incontrata la prima volta, ma sapevo che da quel giorno in poi avevo giurato fedeltà a lei e ai suoi ideali. Non avevo idea di cosa mi avesse portata a diventare un'assassina, se prima di tutto ciò avevo una famiglia o qualcuno che tenesse a me, ma oramai non mi importava più.
«Tutti noi seguiamo le regole, volendolo o no. Devo forse ricordarti tutti i controlli mentali?» proseguì Spettro, questa volta afferrandomi saldamente l'avambraccio e alzando la voce.
«Cos'è questa, tensione sessuale repressa?» quasi urlò Flamme, per sovrastare ogni nostra parola. Al che, mi voltai verso il finestrino. «Ah, così va meglio.»
«Suvvia, Ombra, non mettere il broncio che poi sono io a doverti sopportare» disse Fort tra una risata e l'altra, cercando in tutti i modi di non distogliere l'attenzione dalla strada.
Rimasi a braccia conserte e con lo sguardo fisso sugli edifici che rapidamente scorrevano fuori dal finestrino, riconobbi alcune insegne e capii che dovevamo essere quasi arrivati.
Nascondere un'organizzazione segreta a New York non era facile, ma lo diventò quando Alpha riuscì a trovare una vecchia abitazione - a detta sua di qualche deceduto esponente di rilievo dell'HYDRA - che aveva due livelli interrati chiusi da un'imponente porta blindata e nascosta. Lì sotto, da circa tre anni, si tenevano gli esperimenti genetici su noialtri, esperimenti che ci trasformavano in assassini ancora più potenti.
Nessuno conosceva in anticipo i propri futuri poteri: Alpha amava vedere le sue cavie perdere il controllo, quasi impazzire di dolore e paura, magari lasciarli immergere in qualche vecchio ricordo straziante. Solo dopo riprendeva il controllo delle menti, le plasmava a suo piacimento e poi lasciava la sua nuova creazione a raccogliere i cocci della persona che era prima.
Tutto ciò non avrei mai dovuto saperlo prima di provarlo sulla mia stessa pelle, ma Fort quando si trattava di occupare il tempo libero non riusciva a tenere a freno la lingua. Al buio del nostro appartamento mi raccontò il decorso di tutte le Ombre che avevano subito gli esperimenti prima che arrivassi io, di dieci persone ne erano sopravvissute solo quattro. Gli unici che avevo visto cambiare erano stati Spettro e i tre fratelli sudamericani che stavano diventando i Delta.
«Non è strano che Alpha ci abbia convocati nonostante la missione sia andata bene?» mormorai non appena il pensiero mi colpì. Solitamente avevamo il permesso di ritirarci nelle nostre abitazioni e non ci si sentiva per un paio di giorni.
«Qualcosa non l'è piaciuto» rispose Fort dopo un po' e dal tono di voce preoccupato dedussi che forse aveva in mente qualcosa. «Chi non ha rispettato gli ordini?»
«Sono stata io» mormorai e fu come perdere dieci anni di vita in un solo istante.

Ombre alla deriva »Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora