Buio. Per l'ennesima volta mi ritrovai immersa nell'oscurità più totale, in preda ad un terrore mai provato prima e alla mercé di una donna senza alcuno scrupolo. Nonostante desiderassi con tutto il cuore di sfuggire alle grinfie di Alpha indenne, non potei fare a meno di rassegnarmi all'idea che non sarei rimasta a viva molto a lungo: la testa mi doleva in modo assurdo, il probabile coltello piantato sulla mia gamba ormai quasi non lo avvertivo più, respirare cominciava ad essere faticoso e non riuscivo più a stare concentrata su un pensiero fisso. Sembrava che il mio corpo si trovasse lì, in quel sotterraneo lurido, mentre la mente cominciava ad abbandonarmi.
Cercai di carpire anche il più piccolo spostamento d'aria, ma non riuscii a distinguere nulla se non il leggero frusciare dei vestiti di Lupin alle mie spalle. Mi aveva mollato i capelli per posare entrambe le mani alla base del collo, probabilmente il piano b era quello di soffocarmi, nulla di troppo inaspettato.
«Hanno tagliato l'elettricità?» sbraitò Alpha, colpendomi al viso con una manata non del tutto accidentale. Arricciai il naso dolorante e trattenni qualsiasi possibile verso di fastidio, onde evitare di darle qualsiasi tipo di soddisfazione.
Poi un fascio luminoso mi accecò, facendomi per un istante temere d'aver perso completamente la vista, e fu soltanto quando sentii un forte trambusto che mi azzardai ad aprire gli occhi: non riuscii a distinguere bene cosa stava succedendo per colpa della visuale annebbiata, ma dalle nuove voci che echeggiavano nella stanza compresi che qualcuno era venuto a salvarmi. Un assurdo senso di sollievo sembrò risvegliarmi dal torpore in cui ero piombata, cosa che mi fece sentire fin troppo distintamente la lama piantata sulla coscia, ma il conforto durò ben poco: le mani di Lupin si serrarono con violenza attorno alla mia gola e mi tolsero il poco fiato che avevo. Alzai lo sguardo al soffitto nel disperato tentativo di guadagnare un po' di tempo, forse ricordandomi qualche corso di rianimazione fatto da ragazzina, e mi ritrovai ben presto con gli occhi colmi di lacrime per la disperazione... almeno avrei rivisto papà.
Quasi non riuscii a sentire lo sparo del proiettile che mi passò a poca distanza dalla testa per poi piantarsi nel cranio di Lupin, facendomi finire il suo schifosissimo sangue in faccia. Mi ritrovai ad annaspare alla ricerca di aria pulita e l'ennesima fitta mi attraversò dolorosamente il petto, quasi volesse ribellarsi al mio tentativo di respirare, di rimanere in vita.
«Millicent! Sono io, mi senti?»
Non mi aveva abbandonata. Bucky era lì per salvarmi da quell'incubo in cui ero finita. Alpha aveva detto l'ennesima bugia nel raccontarmi della sua morte, valeva dunque lo stesso per Tony ed Enoch, no?
«James» mormorai appena avvertii la sua mano gelida sfiorarmi il braccio scoperto, fu un vero sollievo per le bruciature di sigaretta. Non riuscii subito a mettere a fuoco la sua presenza, ma mi bastò avvertire le sue dita lavorare in tutta fretta sui nodi che mi stringevano i polsi per rilassarmi. «Credo... di non stare... troppo bene.»
«Tranquilla, cerca di concentrarti sul tuo respiro, al resto ci penso io» mormorò Bucky e per un attimo riuscii a distinguere il suo volto preoccupato.
Tentai di fare come m'aveva detto, ma più passava il tempo, più il petto mi sembrava pesante e rimanere focalizzata sulla realtà diventava assai difficile: cosa mi stava succedendo? Era forse causa di qualche siero iniettatomi da Alpha? Avevo contratto qualche infezione? Stavo per morire?
«Bucky» lo richiamai piano con le orecchie assordate dai rumori dello scontro che stava avvenendo attorno a me. C'erano urla, insulti, sibili di proiettili, tonfi sordi eppure non riuscivo a distinguere la voce della persona che stava affrontando Alpha. Le sue dita smisero di lavorare sul polso destro ancora bloccato dalla corda e bastò questo per farmi sciogliere la lingua. «Credo di amarti.»
«Millie...» mormorò lui e avvertii le sue labbra posarsi sul dorso della mia mano libera. Ciò mi permise di individuare il suo volto e gli lasciai una delicata carezza sulla guancia, un po' per controllare che si trattasse proprio di lui, un po' per esprimere la mia più profonda riconoscenza.
Una volta sciolti i nodi della corda che mi bloccava il braccio destro, fu la volta degli arti inferiori e mi resi conto ben presto che la gamba sinistra era quasi del tutto addormentata tant'è che avvertii a malapena le dita di Bucky che mi toccavano per liberarmi. Cosa stava succedendo?
«Ehi, strega, siamo venuti a prenderti» mormorò la voce di Sam, spuntato adesso al mio fianco. Alzai appena la testa per controllare che fosse davvero lui - non mi sarei stupita d'avere qualche tipo di allucinazione - e quando vidi la sua espressione preoccupata compresi che non era affatto un delirio dovuto dalla mia situazione clinica. Gli risposi con un sorriso, certa che se avessi tentato di abbozzare una risata avrei subito delle assurde fitte di dolore.
«Dov'è Alpha?» domandai piano, realizzando solo in quell'istante che la stanza era silenziosa e non più immersa nel buio. Vidi sangue, tanto sangue, ai miei piedi dove Bucky stava ancora armeggiando con la corda e in vari punti della stanza in cui speravo che Alpha fosse stata ferita. Magari a morte.
«Non preoccupartene, Steve e Wanda sanno fare bene il loro lavoro» rispose Sam, inginocchiandosi alle mie spalle per occuparsi dell'ultimo laccio che mi bloccava il busto. Mi sentii un po' a disagio nello star ferma senza fare nulla, sembrava quasi fossi una bambola di pezza di cui gli altri dovevano occuparsi perché da sola non ero capace a fare nulla. Li lasciai fare però, sicura che se avessi anche solo tentato un minimo gesto fuori luogo sarei stata ripagata con fitte di dolore un po' ovunque. «Mi fa piacere vederti viva.»
«Eri forse preoccupato per me, Sam?» gli chiesi divertita, cercando di ignorare la stretta al cuore che ebbi nel sentire quelle parole e soprattutto il tono con cui erano state pronunciate.
«Oh, ma stai zitta! Non hai qualche dolorino a cui pensare?» brontolò lui, per poi esultare quando riuscì a mollare del tutto l'ultimo impedimento che mi divideva dalla libertà. «È normale che questo tizio qua dietro abbia le unghie lunghe cinque centimetri buoni?»
«Ti pare il momento?» lo rimproverò Bucky, una volta rimessosi in piedi con uno scatto veloce. Il suo sguardo parve addolcirsi quando tornò a rivolgermi tutte le sue attenzioni. «Ora dobbiamo andare, riesci ad alzarti?»
Passai lo sguardo da lui al coltello ancora piantato sulla mia coscia: senza pensarci due volte misi le mani sui poggioli della sedia, mi diedi una poderosa spinta in modo da racimolare la poca forza che m'era rimasta e cercai di rimanere in equilibrio sul piede sano. Un braccio di Bucky fu subito attorno alla mia vita per aiutarmi nell'impresa che, in tutta sincerità, non ero sicura di portare a termine. Vacillai appena caricai tutto il mio peso sulla gamba destra che ferite evidenti non ne aveva, ma, forse complici i giorni in cui ero rimasta immobile e priva di coscienza, non sembrava pronta a supportarmi.
«Lasciala provare, rischiamo che i muscoli non lavorino più adeguatamente» parlò Sam, fermando Bucky prima che mi prendesse in braccio per portarmi fuori da lì. Anche lui mi offrì il suo supporto - limitandosi a porgermi un braccio a cui mi aggrappai saldamente - e tutti e tre insieme, passo dopo passo, salimmo la rampa di scale che ci divideva dalla libertà.
Mi ci volle un po' perché riuscissi a riabituarmi alla luce del Sole e quel lasso di tempo lo occupai a fare piccoli respiri: mai prima d'allora mi sentii così felice di avvertire il calore del giorno scaldarmi la pelle o l'aria fresca scombinarmi i capelli, perfino il dolore alla gamba e al petto passò in secondo piano quando realizzai che non c'era più nessun ostacolo tra me e una reale libertà.
«Ora andiamo in ospedale, va bene?» mormorò Bucky, non appena un fuoristrada nero fece la sua comparsa all'inizio della strada di servizio della vecchia base. Soltanto quando fu praticamente davanti a noi riuscii a distinguere lo stemma dello SHIELD sulla fiancata.
«Non possiamo andare al Complesso?» tentai di convincerlo, cercando pure l'appoggio di Sam con un'occhiata. Entrambi scossero la testa, chiaro segno che la proposta era fuori discussione, e mi spronarono ad avanzare verso l'autovettura.
Bastò un passo falso perché un'assurda fitta di dolore mi attraversasse la gamba sinistra, focalizzandosi insistentemente sul punto in cui la lama del coltello era ancora ben conficcata nella mia carne, e complice il respiro sempre più affannoso e difficile da sostenere, lasciai che il buio mi prendesse con sé per l'ennesima volta.
STAI LEGGENDO
Ombre alla deriva »Bucky Barnes
FanfictionErano passati quasi due anni da quando Hecate era stata arruolata nel MOS, un'organizzazione criminale segreta, e aveva perso ogni ricordo del suo passato. Bastarono soltanto un paio di mesi per abituarsi a quella nuova vita fatta di armi, esperimen...