23: "È tutto nelle vostre mani"

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Non vedevo la dottoressa Gill da quasi due settimane e cominciavo a sentire il peso del piccolo segreto che mi ostinavo a lasciare nel silenzio: ogni volta che pensavo ad un possibile modo per dirle che avevo scoperto la nostra parentela mi ritrovavo a rimuginare sul passato, incapace di tirar fuori anche un briciolo di coraggio.
Alla fine fu lei ad impormi un appuntamento, specificando che se non mi fossi presentata sarebbe venuta lei stessa al Complesso per un incontro non di un'ora, bensì di tre. Cos'altro avrei potuto fare se non raggiungere il suo studio il più presto possibile?
«Bentornata, Millicent!» mi salutò Rachel, non appena varcai la porta del suo ufficio. Sorrise radiosa quando pronunciò il mio reale nome, come se avesse aspettato un'eternità prima di utilizzarlo.
«Buon pomeriggio» mormorai, alzando appena le spalle. Mi sentivo a disagio, ecco la verità.
Mi accomodai nel solito divanetto e attesi che lei si sedesse davanti a me con la classica cartellina che aveva raccolto moltissimi miei pensieri e turbamenti. Ma ciò non successe: quando mi raggiunse, tra le mani non stringeva proprio nulla. «Niente appunti oggi?»
«Cosa sono io per te?» chiese lei, cogliendomi di sorpresa. Era piuttosto comprensibile sospettare che avessi scoperto qualcosa visto che lo SHIELD mi aveva consegnato un intero dossier con documenti sulla mia vita passata, documenti che riportavano il cognome di mia madre identico a quello della dottoressa. Al mondo, però, esistevano sicuramente centinaia di famiglie Gill e non sarei riuscita a collegare le due cose se non avessi ricordato quel piccolo episodio d'infanzia.
«La mia psicologa» risposi, rimanendo sul vago per mio sfizio. La vidi corrucciarsi appena, come l'avessi presa in contropiede, ma poi sembrò rilassarsi nel sentirmi parlare di nuovo. «E mia zia, lo so, l'ho scoperto pochi giorni prima della missione.»
«La prima volta che ti ho vista, tre mesi fa, pensavo fosse un sogno: non avevo tue tracce da così tanto tempo che ormai ti davo per morta eppure eri lì davanti a me, smarrita e provata da una vita che chiaramente non faceva per te. Avrei voluto dirtelo subito, ma gli ordini erano altri. Mi dispiace di non essermi presa cura di te prima.»
«Va tutto bene, non devi affatto sentirti in colpa. Dopotutto è stata Alpha ad avermi trovata, sarebbe successo comunque anche se ci fossi stata tu al mio fianco» parlai, completamente in imbarazzo e incapace di essere più comprensiva. Potevo immaginare lo sconforto e il dolore da lei provati, ma non ero mai stata brava a consolare gli altri, perlomeno non le persone a me quasi totalmente sconosciute.
«Se non ti dispiace, vorrei che ti confidassi con me perché sei mia nipote e non mia paziente. Sono disposta a sentire qualsiasi cosa e nulla uscirà da queste quattro mura, non più.»
Ecco perché non aveva tra le mani la cartellina! Non appena realizzai la portata della sua dichiarazione compresi che la mia posizione all'interno dello SHIELD era drasticamente cambiata, questa volta per davvero: non ero più una prigioniera che aveva osato troppo per accontentare il suo capo, né un agente che doveva eseguire gli ordini per potersi redimere. Ero una ragazza qualunque - se si escludevano la telecinesi e la sfortuna un po' oltre la media - che si apprestava, una volta sconfitto il MOS, a ritrovare un'esistenza più serena.
Non potei evitare di pensare che fosse l'ennesimo ordine di Fury, ma qualcosa dentro di me mi spronava a darle quel pizzico di fiducia in più da poterle raccontare ogni mio più intimo pensiero.
«Da piccola mi faceva davvero schifo il gelato?» buttai lì, cercando un punto di partenza tranquillo per quella che si prospettava una lunga chiacchierata. Rachel accennò una risata e la vidi rasserenarsi, con tanto di spalle visibilmente meno irrigidite.
«Mangiavi solo ghiaccioli alla menta o al limone. Tuo papà si era così intestardito che provò a fartelo mangiare un sacco di volte finché non hai cominciato ad apprezzarlo!»
«Sì!» esclamai, collegando il suo racconto a un frammento di ricordo da poco tornato: una fragorosa risata di mio padre, seguita dalle sue esultanze per una tale "coppa scomparsa". «Era così felice che quasi cadde dalla sedia!»
«Sarebbe da lui, sì. Era un uomo davvero allegro, nonostante il suo lavoro non gli desse molte ragioni per esser felice» spiegò Rachel e la spronai a raccontarmi meglio del suo impiego, cosa di cui sapevo pressoché nulla. «Era un infiltrato nell'HYDRA, ha trascorso gli ultimi anni della sua vita a passare informazioni allo SHIELD. Ammirerò sempre tua madre per averlo supportato, io non ce l'avrei mai fatta.»
Con quel dettaglio in più, l'omicidio di mio padre acquistava un senso del tutto nuovo, così come la frase che per giorni m'era rimasta impressa nella memoria: Taglia una testa e altre due prenderanno il suo posto. L'avevano fatto fuori di notte, a casa sua, e a questo punto non mi sarei stupita nello scoprire che l'HYDRA era colpevole anche della morte di mia madre.
«Parliamo d'altro, però. Che so, ti va di raccontarmi di Tony? Wanda? Mi pare che il tuo rapporto con loro sia il più solido» tentò di sviare Rachel, invitandomi con un gesto della mano a parlare di ciò che più mi aggradava.
«Sono i miei punti di riferimento all'interno del Complesso. So che li conosco da poco tempo, ma sono stati i primi a darmi una seconda possibilità senza richiedere nulla in cambio... Tony soprattutto! Ero ufficialmente una prigioniera, ma mi ha difesa lo stesso quando si parlò di mandarmi via e non mi ha mai trattata male sebbene avessi portato solo guai. Mi è stato vicino fin dall'inizio nonostante gli immancabili litigi» risposi subito, sorridendo quasi senza volerlo.
Mi mancò il fiato quando realizzai che vedevo Tony non come un amico o un compagno di squadra, bensì quasi come una figura paterna: in quel momento non avrei avuto alcun dubbio su chi andarmi a confidare per primo e mi sentivo davvero al sicuro quando lui era al mio fianco. Avvertii un profondo senso di colpa nei confronti di padre che cominciavo a ricordare, ma sapevo - lo supponevo, perlomeno - che la mia associazione di Tony con la figura paterna era soltanto una normale reazione d'adattamento alla mancanza d'affetto.
«Lo conosco da un paio di anni e posso tranquillamente dire che ti ha preso davvero a cuore, tra te e Peter Parker non so come faccia Pepper a sopportarlo!»
«Peter? Cosa centriamo noi due con la sua fidanzata? E poi, come fai a conoscerlo?» le chiesi, drizzando la schiena interessata.
«Non fa altro che parlare di voi due, di quanto non si fida a lasciarvi da soli, di quanto teme che vi facciate del male... siete sempre nei suoi pensieri» spiegò Rachel, interrompendosi per una risatina. «E, be', diciamo che sono fidanzata con Rhodey da quattro anni.»
«Oh Cielo, cosa? A quando il matrimonio?» domandai entusiasta, cercando di immaginarmeli fianco a fianco sulla navata di una chiesa. Sì, potevano sembrare una buona coppia a primo impatto.
Rachel fece per rispondermi quando il telefono sulla sua scrivania squillò, attirando la sua attenzione. La vidi sbuffare con tanto di alzata di occhi al cielo e raggiunse la cornetta di gran carriera, mi sorrise radiosa prima di rispondere alla chiamata.
«Sì, è qui, perché?» chiese e la vidi corrugarsi, ora visibilmente preoccupata. «Oh, certo, provvedo subito. Tempo dieci minuti e siamo lì.»
«Cos'è successo?» domandai, alzandomi in piedi di scatto nel vederla così agitata. Un assurdo brivido mi corse lungo la schiena quando pensai a possibili avvenimenti capaci di turbare in tal modo una persona.
«Hanno quasi ucciso il presidente Ellis e ti vogliono subito al Complesso» mormorò, senza guardarmi in viso. Raccattò la sua borsa, il cellulare e le chiavi dell'ufficio e con un veloce gesto delle mani mi invitò ad avviarmi verso la porta del suo ufficio.
La seguii in silenzio lungo le rampe di scale che portavano al parcheggio interrato, quasi scivolai quando vidi le innumerevoli chiamate perse da Wanda, Steve, Tony e Bucky: cosa diamine stava succedendo? Pensavano fossi fuggita? Era soltanto una casualità?
Aspettai che fossimo fuori dai sotterranei del grande stabilimento ultramoderno per richiamare uno di loro e la scelta del destinatario venne da sé, non dovetti neanche pensarci più di tanto.
«Bucky, sono io, dimmi.»
«Millie! Dove sei? Stai bene? Ti ha trovata?» proruppe lui, la voce evidentemente carica di preoccupazione. Okay, non avevo informato tutti del mio appuntamento con la psicologa - solo Clint, a dirla tutta, perché era di sfuggita al Complesso e gli avevo chiesto un passaggio -, ma non pensavo si potesse creare tutta questa confusione!
«Chi dovrebbe trovarmi, scusami?»
«Il tuo capo, emh, Alpha, sì! C'è mancato poco perché facesse fuori il presidente e temevamo tu fossi il suo prossimo bersaglio. Dove sei?» rispose velocemente, quasi avesse fretta di chiudere la chiamata.
«In macchina, la dottoressa Gill mi sta riportando al Complesso» borbottai, alzando gli occhi al cielo. Incrociai lo sguardo di Rachel e nonostante la situazione non del tutto rosea, la vidi ammiccare sfacciatamente... proprio come farebbe una zia con la nipote. Il sospiro di sollievo di Bucky, però, non mi sfuggì affatto.
«Perché non hai avvisato nessuno? Ci hai fatto preoccupare, maledizione!»
«Sono tornata una persona libera, pensavo non servisse più dirvi ogni mio spostamento» mormorai, ben consapevole che mi stavo arrampicando sugli specchi. Avrei dovuto avvisarli comunque dato che vivevo sotto il loro stesso tetto da tre mesi ormai ed era grazie a loro se non ero più Hecate.
«Vedi di arrivare qui sana e salva e preparati al peggio, ti aspetto.»
E mi chiuse la chiamata in faccia nonostante quelle due ultime parole che avrei tanto voluto chiarire meglio.

Non feci in tempo a varcare la soglia del Complesso che Tony mi fu addosso, pretendendo subito di sapere ogni dettaglio della mia oretta fuori dal controllo di almeno un Avenger e mi rimproverò pure per non aver permesso a Rachel di accompagnarmi fino all'entrata - cosa di per sé impossibile dato che lei si era categoricamente rifiutata di incontrare Stark in quel contesto dato che "Quando ci sono guai per gli eroi, non vuole che distragga Rhodey".
Il benvenuto riservatomi da Bucky, invece, fu ben più gradito anche se si limitò a circondarmi le spalle con un braccio. Postura che non cambiò nemmeno quando raggiungemmo Nick Fury in quello che sembrava un laboratorio da chimico.
«Agente Turner, è un piacere rivederti» salutò il direttore dello SHIELD, porgendomi una mano che prontamente strinsi.
Mi guardai intorno per controllare gli Avengers presenti e vidi soltanto Bruce, Tony e Bucky stesso: ben pochi rispetto a quanti erano presenti all'intercettazione. Il particolare che più mi preoccupava era l'assenza di espressione dai loro visi, quasi avessero scoperto qualcosa di così sconvolgente da assorbire ogni possibile reazione.
«Per quale motivo mi avete fatta venire?» domandai, senza posare lo sguardo su nessuno dei presenti. Avvertii la mano di Bucky stringermi appena la spalla e un sorriso mi incurvò spontaneamente le labbra.
«Abbiamo ricevuto una strana lettera e volevamo la tua conferma riguardo il mittente» spiegò Fury, invitandomi a seguirlo verso uno dei banconi. Sopra, coperto da una bassa teca di vetro, trovai un normale foglio da stampante scritto con inchiostro rosso opaco: ad una prima occhiata sembrava una lettera come tante altre viste prima, poi mi focalizzai sulla calligrafia tutto fuorché ordinata e un ricordo sembrò solleticarmi la memoria. «Possibile sia di Alpha?»
«Sì, è la sua scrittura» mormorai, cercando involontariamente l'appoggio di Bucky che poco prima mi aveva lasciata andare.
«Come temevamo. Ha scoperto la nostra talpa e possiamo ben dire che non ha fatto una bella fine» continuò sconsolato Fury e rabbrivii da capo a piedi quando mi spiegò il motivo di tale sicurezza. «Questo non è inchiostro, bensì il sangue dell'agente Lewis, nostro infiltrato nel MOS.»
«Ne siete sicuri? Alpha si trova tra due fuochi, terminare la sua più importante missione o vedere il suo piccolo esercito scomparire, e conoscendola mi pare strano abbia ucciso l'agente, è più logico che l'abbia reso un'Ombra.»
«Abbiamo un database con il dna di tutti i nostri agenti e il dottor Banner ha verificato più volte per essere sicuro del risultato, non siamo sprovveduti!» si difese Fury, incrociando le braccia al petto e rifilandomi un'occhiataccia. Alzai le mani a mo' di scuse e mi concessi una veloce letta al foglio scritto in rosso.

"Risulta semplice prendere sottogamba una missione, non è vero? Questa volta ci siete casati pure voi, Avengers e SHIELD, e avete fatto lo sbaglio più grande delle vostre misere vite! Un agente addestrato in missioni sotto copertura ad alto rischio, davvero? Non vi è giunta notizia che so leggere i pensieri, controllare le persone o vedere il loro passato? Vi ringrazio, però, ho avuto modo di passare due bei giorni a torturarlo, ma non credo che lui ve ne sarà tanto riconoscente.
Tra l'altro, mi è arrivata voce che una mia abile assassina mi ha pugnalata alle spalle: un vero peccato per lei, debbo dire, perché di sicuro non sarò io a finire sotto terra entro un mese. Goditi il tempo che rimane, Millicent, e spera di non finire tra le mie mani."

«Mi dispiace, è colpa mia» sussurrai, alzando lo sguardo verso Fury e avvertendo i sensi di colpa gravarmi sulle spalle.
«Pensavamo avessi smesso di incolparti per tutto» intervenne Bruce, cogliendomi di sorpresa. In questi tre mesi al Complesso, l'avevo visto sempre molto distante - probabilmente complici tutte le ore passate in laboratorio - e vedendo la mancanza di possibili punti d'incontro, non ero mai stata invogliata a cercare qualcosa di più che i soliti convenevoli.
«Concordo, devi smetterla. Siamo tutti sulla stessa barca ed è inutile perdere tempo ad autocommiserarsi quando invece bisogna concentrarsi sull'annientare quella gran stronza di Alpha» rincarò Tony, avvicinandomisi per poi darmi una poderosa pacca sulla spalla.
«Non guardare me, agente Turner, da adesso è tutto nelle vostre mani» esclamò Fury, scuotendo la testa con un accenno di sorriso in viso.
Sarei stata tutto fuorché una spettatrice di quello scontro che si prospettava ricco di insidie e problemi che avrebbero messo tutti in serio pericolo: Alpha voleva vendetta e solo uno sciocco poteva credere di farla franca facilmente.
Rabbrivii ancora nel ripensare all'implicita promessa di morte citata nella lettera, lanciai un'occhiata a Bucky e lo scoprii a guardarmi con l'espressione più preoccupata che gli avessi mai visto.
Ero nei guai e lui lo sapeva perfettamente.









Angolo autrice.
L'odio che provo per questa Alpha è quasi paragonabile a quello per la Umbridge; è la prima volta che mi ritrovo a non sopportare un mio stesso personaggio!
Non ho granché da dire, devo ammetterlo, quindi sono aperta a sentire qualsiasi vostra teoria o pensiero riguardo la storia e il suo proseguo.

Ombre alla deriva »Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora