27: "Non combinerai nulla"

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Niente Quinjet, elicotteri o automobili troppo appariscenti: era stato deciso che la missione "New York bis" doveva mantenere il più basso profilo possibile, evitando così di attirare l'attenzione di spettatori indesiderati - quali stampa, esercito o forze speciali.
Ci rimasi di sasso quando Tony mi mostrò il bozzetto di una divisa fatta apposta per me, molto simile a quella di Steve ma senza stelle e strisce, e mi ci volle ben poco per immaginarmi a combattere contro il MOS vestita così. Purtroppo, Nick Fury - nonostante avesse messo in chiaro che Alpha non era più un problema dello SHIELD, ma degli Avengers - decise in altra maniera, obbligandomi ad indossare un completo dalle tonalità di grigio e nero molto discutibili.
Natasha vestiva una divisa piuttosto simile eppure su di lei sembrava fare tutt'altro effetto; neanche la comodità con cui riuscivo a muovermi era capace di superare quella costante sensazione di imbarazzo che mi accompagnò per tutto il tragitto verso la nuova base del MOS.
In quei venti minuti riuscii a stento ad ascoltare le ultime indicazioni di Steve tanta era l'adrenalina che mi attraversava il corpo: i pensieri viaggiavano per conto loro generando i finali più disparati e facendomi crescere la nausea che mi accompagnava dalla sera precedente. Ero sicura che se al mio fianco ci fosse stato Bucky sarebbe risultato tutto più semplice.
Tastai la fondina che avevo alla coscia - gesto che ero solita fare poco prima di entrare in azione - e con un sospiro di sollievo constatai che la mia pistola era ancora lì, inutile ma presente. Di certo non avrei perso tempo ad utilizzare un'arma quando potevo neutralizzare l'avversario con la telecinesi, sarebbe stata soltanto una perdita di tempo e munizioni.
Lanciai un'occhiata veloce a Sam e Rhodey, appostati sopra il tetto di un edificio vicino al nostro obiettivo, e pregai che non fosse rimasto neanche un cittadino nei dintorni: la CIA si era occupata dello sgombro con cautela, ma soprattutto con largo anticipo, permettendo così che non si venisse a creare un altro disastro come a Sokovia. Non sapevo molto di questa battaglia, ma Wanda aveva promesso che una volta ritornata la tranquillità mi avrebbe aiutata a ricordare la mia vita nel periodo di Ultron - cosa fosse quest'ultimo non mi era ancora ben chiaro - e non vedevo l'ora di scoprire nuovi particolari del mio passato.
«Il presidente sta arrivando» udii Tony nell'auricolare e il mio cuore fece una capriola al solo immaginarmi Enoch con indosso un cappotto lungo quasi fino ai piedi e un cappello calato in testa per nascondere il suo volto. Si era offerto volontario come esca, del tutto consapevole dei rischi che avrebbe corso.
Dal mio nascondiglio riuscii a vedere Steve alzare un braccio, chiaro segno che da lì a poco saremmo entrati in gioco. Anche lui stava rischiando grosso - così come tutti coloro che non avevano firmato gli Accordi - e non potei fare a meno di avvertire il nodo allo stomaco farsi ancora più stretto; nessun povero innocente doveva morire, non più, non con gli Avengers.
«Uno, due, tre» contò rapidamente Clint, sempre facendosi sentire da tutti attraverso l'auricolare. «Undici, sono in undici!»
Erano troppo pochi per un colpo così potenzialmente grosso. C'era qualcosa che non andava, ma solo io sembravo sospettarlo.
«È il nostro turno», questa volta fu la voce di Steve a riempirmi le orecchie e la testa.
Tentennai prima di uscire da quella specie di buco in cui mi ero nascosta e non seppi mai se dare la colpa alla paura di ritrovarmi davanti coloro che fino a poco tempo prima consideravo la mia famiglia o all'ansia, capace di giocarmi brutti scherzi.
Fu Steve stesso a sfondare la porta d'ingresso di quella che, ad una prima occhiata, poteva sembrare una villetta come tante altre... solo un po' più grande. Appena varcai la soglia, un'ondata di sensazioni accantonate da un paio di mesi sembrò sommergermi, privandomi del respiro per un istante, ma bastò incrociare lo sguardo di Natasha per riemergere.
«Benvenuti a casa nostra» trillò una voce che conoscevo fin troppo bene. Vagai con lo sguardo finché non vidi Flamme poggiata allo stipite della porta, un delicato sorriso ad incurvarle le labbra e una pistola calibro 22 per mano. Ci fu un attimo in cui la sua espressione sfrontata sembrò vacillare, forse quando notò la mia presenza, ma ben presto riacquistò il proprio contegno e batté sul muro tre volte.
Bastò quello perché il resto dell'esercito sbucasse dai posti più inimmaginabili, scatenando così il tanto temuto e atteso scontro.
Qualcuno mi strattonò violentemente all'indietro, ci mancò poco perché cadessi a terra, e in cuor mio sperai fosse uno dei nostri intento a trascinarmi via dalla bolgia che s'era creata. Com'era immaginabile, fu una speranza del tutto vana dato che mi ritrovai faccia a faccia con Lupin stesso. Il ghigno che mi riservò mi fece tornare alla mente il nostro primo "allenamento" insieme e repressi a stento l'impulso di vomitare, preferendo colpirlo sugli stinchi con un calcio.
«Non combinerai nulla» mi sibilò divertito e in un battito di ciglia mi ritrovai all'esterno dell'abitazione, completamente priva di qualsivoglia protezione. Mi guardai attorno per controllare se ci fosse qualcosa di utile per un'eventuale difesa in extremis e non trovai niente oltre ad una pala e un paio di finti mattoni che formavano un'aiuola.
Aspettai la sua prima mossa con maniacale pazienza, ben consapevole che se l'avessi colpito per prima l'avrei fatto arrabbiare e ciò lo avrebbe aiutato a trasformarsi più facilmente nella sua forma animale. Non gli avrei permesso un altro pestaggio, non ora che ero un agente fatto e finito.
Tentò subito un approccio aggressivo e mi sferrò un pugno allo stomaco che, in tutta sincerità, proprio non mi aspettavo. Barcollai appena, mi scansai di lato quando si preparò per un altro colpo e con la telecinesi mi impossessai della pala che giaceva a pochi metri da me. Della pistola non c'era più traccia, ma non sprecai tempo a controllare il giardino per ritrovarla: avrei rischiato di finire stesa a terra con lui sopra a mozzarmi il fiato in meno di un secondo.
«Cosa vuoi fare, scavarti la fossa?» sogghignò lui, pulendosi la bocca con il dorso della mano. Stava sbavando come un cane randagio davanti alla futura vittima dei suoi canini.
Avrei voluto rispondergli a tono, ma l'adrenalina fu così tanta che lo colpii alla spalla con tutta la violenza possibile. Si piegò in due, accennando un brivido che conoscevo fin troppo bene, e non persi tempo per colpirlo ancora, ancora e ancora. Mi fermai soltanto quando lo vidi stramazzare al suolo, il volto tumefatto e un rivolo di sangue a macchiargli la guancia pallida.
Potevo ucciderlo con un altro colpo alla testa ben assestato, privarlo della vita che lui stesso aveva contribuito a togliere a me per quasi due anni, ma non lo feci: sarebbe stata una punizione più giusta chiuderlo per sempre in prigione, così da poter rimuginare sui suoi errori fino all'ultimo respiro.
Gli voltai le spalle per tornare dentro l'abitazione e scoprii che la battaglia si era trascinata all'esterno, lungo la strada e i limitrofi giardini. Come in un videogioco, mi ritrovai la strada sbarrata da un'Ombra mai vista prima che non perse tempo a mettermi le mani addosso.
Era una ragazza dai corti capelli biondi a caschetto e sembrava avere due pozzi neri al posto delle iridi, peculiarità che rispecchiava perfettamente il suo potere per certi versi molto simile alle normali capacità umane. Bastò la sua mano stretta attorno al mio collo per farmi precipitare in un baratro di malinconia e dolore a me quasi del tutto estranei; riuscii a liberarmi facilmente dalla sua presa e con essa se ne andò pure il vortice di emozioni sconosciute.
«Empath» sussurrai, più a me stessa che al lei, quando realizzai di trovarmi davanti ad una nuova recluta potenziata.
Impiegai qualche secondo per riprendere padronanza del mio corpo ancora scosso dai brividi di dolore e questa misera frazione di tempo mi fu quasi fatale: la donna tirò fuori un coltellino grande neanche quanto la sua mano e senza pensarci due volte cercò di colpirmi dritta al cuore, riuscendo solamente a ferirmi al fianco.
Era scoordinata, non aveva ancora imparato ad utilizzare armi e poteri contemporaneamente e se avesse continuato così si sarebbe ritrovata morta prima di fine giornata. O forse la pressione della situazione la stava mettendo in difficoltà, cosa non del tutto impossibile.
La colpii con un pugno sullo zigomo sinistro, tanto bastò per farla finire a terra con un urlo di dolore, ma non si perse d'animo e si rimise in piedi con un balzo.
«Non te ne andrai da qui sulle tue gambe» sibilò lei, il volto contorto in una smorfia di dolore nel pronunciare quelle poche parole.
Mi prese per i capelli con una tale violenza che riuscì a strapparmi un singulto di sorpresa e mi sbatté faccia al muro contro la parete esterna della casa di cui non aveva quasi notato la presenza data la mia attenzione sull'Ombra. Una scossa di dolore mi attraversò l'orecchio e si concentrò all'angolo della bocca probabilmente spaccato visto che avvertii il sapore del sangue sulle labbra.
Tirai un calcio indietro alla cieca, sperando in qualche modo di colpirla, eppure non sembrava trovarsi più dietro di me. Con una mano mi strinse i polsi appena sopra il fondoschiena mentre con l'altra continuava a spingermi il volto contro il muro ruvido e orribilmente freddo e non potei fare a meno di ricordare Steve che, quasi nella stessa maniera, mi aveva catturata il giorno dell'imboscata al Complesso.
«Una volta dentro non si torna più indietro» parlò la donna bionda, solleticandomi l'orecchio con il fiato tanto era vicina. Sputò a terra senza troppi problemi - con la coda dell'occhio vidi un grumo di sangue impiastricciare l'erba - e accennò una risata priva di emozioni. «Pensavi di poter vincere tu? Magari insieme a questi squattrinati? Credevo fossi un po' più intelligente, Hecate
Provai ad utilizzare la telecinesi per riprendermi quella maledettissima pala che avevo lasciato appena Empath mi aveva attaccata, ma non combinai nulla. Mi si strinse il cuore quando realizzai cosa stava accadendo, quando risentii quel nome che pensavo di non dover più sentire, e non riuscii a fare altro se non arrendermi a quella nuova recluta che mi aveva soggiogata con il suo potere fin troppo subdolo.
«No, tesoro, non verranno i tuoi amici. Vedi quanto poco ci tengono a te? Fortuna che dovevano proteggerti a tutti i costi» continuò a mormorare la bionda e non sembrava più provare alcun dolore.
Tesoro. Bucky mi aveva chiamata così. Bucky avrebbe fatto di tutto per proteggermi. Bucky.
Un'altra risata priva di emozioni, di voglia di vivere, mi assordò l'orecchio destro e compresi che stava avvertendo ogni mio singolo pensiero e dispiacere.
«Fosse per me ti lascerei pure andare, dopotutto hai fatto fuori quel gran bastardo di Lupin, ma c'è qualcuno che ha tanto piacere di vederti.»
Chiusi gli occhi, il cuore che martellava violentemente nel petto, e feci di tutto pur di non scoppiare a piangere: non doveva andare così, non era quella la svolta che doveva prendere lo scontro.
«Stai tranquilla, i tuoi amici non vedranno la tua resa» parlò una voce che riconobbi all'istante. Empath mi fece voltare con una tirata di capelli e subito cercai con lo sguardo gli Avengers, quando vidi Rhodey atterrare a pochi passi da me senza neppure degnarmi di un'occhiata compresi che non ero visibile a nessuno all'infuori delle due donne che avevo vicino. «Sei troppo diffidente.»
«Dai, uccidimi» le gridai, strattonando con violenza le braccia ancora bloccate dietro la schiena. «Uccidimi adesso, prima che gli Avengers ti scaraventino dentro una fottutissima cella del Rift.»
«Sarebbe troppo facile, non trovi? Loro, così come lo SHIELD, devono capire che non scherzo, che il MOS non è una trovata da bambini per assecondare la voglia di sangue. Ti hanno preso molto a cuore, non è così? Stark, Fury, Maximoff, Rogers... perfino Coulson che non ti ha mai vista! Direi che farli penare un po' non è una cattiva idea» spiegò, per poi sfiorarmi la guancia non ferita con una delicata carezza. Non appena avvertii il contatto cercai di spostarmi, conoscevo bene i poteri di quella strega e non volevo che scavasse negli ultimi ricordi, ma Empath mi impedì ogni movimento.
«Lasciali stare, non se lo meritano! Loro non centrano nulla» mi ritrovai a pregarla con le lacrime che scendevano imperterrite, peggiorando il fastidio procurato dalla ferita al viso.
La mano ossuta di Alpha scivolò al mio collo e strinse, strinse finché non cominciai a vedere tutto annebbiato e le braccia non avevano più alcuna forza per opporsi a quella strega che stava per rovinarmi la vita di nuovo. O peggio, che stava per uccidermi.
Il mio pensiero corse inevitabilmente a Bucky, al nostro ultimo bacio, alle nostre ultime promesse d'amore scambiate poco prima di partire per quella missione nella tana del lupo... senza di me sarebbe stato più felice.
Lasciai che il buio mi prendesse con sé senza più opporre resistenza perché, alla fin fine, avrei dovuto saperlo che sarebbe finita così: non mi restava che sperare di morire presto, prima che mi facesse tornare Hecate.







Angolo autrice.
Aspettavo di arrivare a questo scontro da mesi! Scrivere questo capitolo mi è piaciuto moltissimo, devo essere sincera, e penso di poterlo mettere tranquillamente nella mia "Top 5".
Facendo qualche conto generalizzato, mancano all'incirca una decina di capitoli (forse un pochino di più, okay) alla fine della storia e ho già in mente un buon epilogo.
Manca ancora un po' di tempo all'inizio della scuola, ma già vi avviso che la frequenza con cui aggiorno rischia qualche modifica in quanto sarò in quinta e ho bisogno (purtroppo) di concentrarmi molto più del solito sullo studio.
Ditemi voi, che ne pensate di questo capitolo e di ciò che è successo?

Ombre alla deriva »Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora