7: "Meno aspettative, meno delusioni"

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Dopo neanche una settimana dalla mia cattura, quasi l'intero team degli Avengers partì per una missione ed ero pressoché certa che centrasse Spettro. Lo SHIELD doveva essere riuscito a farlo parlare in qualche maniera oppure aveva fatto tutto di testa sua, cosa da non escludere neanche per sbaglio.
Tony non fece in tempo a redarguirmi sulle conseguenza di una mia eventuale fuga che fu letteralmente trascinato via da un agitato Steve Rogers. A quanto pareva, ero affidata alla sorveglianza di FRIDAY e dei pochi Avengers rimasti alla base: Sam, Visione e James. Era come essere da sola, già.
Avevo ripensato molto alla chiacchierata con Wanda, alla possibilità che i ricordi cominciassero ad affiorare da soli ed ero giunta alla conclusione che mi serviva un quaderno per appuntare tutto ciò che mi tornava alla mente anche solo per sbaglio. Peccato che fossi in possesso soltanto di un paio di indumenti - probabilmente presi dagli armadi di Natasha e Wanda - e i contatti con i miei tre coinquilini si limitavano soltanto ai pasti principali.
Mi serviva un maledetto quaderno e dopo quasi due giorni di riflessione cedetti all'idea di chiederlo a qualcuno, dopotutto non avevo nessuna intenzione di aspettare il ritorno di Wanda o Tony. E quel qualcuno, a quanto pareva, doveva essere James dato che Visione mi aveva gentilmente indirizzato verso il collega, dicendo che lui non ne possedeva alcuno e non sapeva nemmeno dove fossero.
«Barnes» salutai, raggiungendo il super soldato nella modesta cucina. Vivere alla base degli Avengers doveva essere di una comodità assurda, non si pagava nulla e si avevano tutte gli agi possibili. Si rischiava la vita però, questo poteva essere un'argomentazione a sfavore.
Vidi il Soldato d'Inverno voltarsi con calma, come se non credesse possibile che fossi io a rivolgergli la parola. Mi squadrò da capo a piedi e poi focalizzò lo sguardo sulle mie mani, evidentemente si ricordava cosa potevo fare.
Mi ritrovai senza parole, quasi senza fiato, e mi sentii avvampare come una ragazzina qualsiasi, non sopportavo proprio quell'illogica paura di parlare agli sconosciuti!
«Visione mi ha mandato da te per un quaderno» provai, evitando il più possibile di guardarlo. Fissai un punto dietro di lui, il mobile della cucina, e inspirai profondamente. «Sai-Sai dove posso trovarne uno?»
«Ne ho un paio tra le mie cose, se aspetti un attimo te ne vado a prendere uno» rispose, il tono di voce basso e pacato. Lo guardai con la coda dell'occhio, l'espressione sul suo viso non esprimeva alcuna particolare emozione, se non una vaga aspettativa per la mia risposta.
Annuii e non feci in tempo a ringraziarlo che era già fuori dalla cucina. Colsi l'occasione per sbirciare cosa stava mangiando e scoprii un piatto con un paio di prugne tagliate a pezzetti e delle mandorle.
«Spero vada bene» parlò James, facendomi voltare di nuovo verso la porta della cucina. Tra le mani stringeva un quaderno dalla copertina arancione e una confezione di pastelli. Lo guardai confusa, non capendo perché avesse portato pure delle matite colorate, e scrollai le spalle. Ero lì, davanti a lui, potevo benissimo chiedergli una spiegazione, no?
«Sì, grazie, ma i colori?» domandai e presi ciò che mi stava porgendo. Un sorriso parve farsi spazio sul suo viso e per un secondo mi chiesi se davvero, io e lui, eravamo così simili come mi aveva fatto intendere Fury. Conoscevo la sua storia a grandi linee e sapevo che aveva sofferto molto, sia fisicamente che psicologicamente, ma non conoscevo nulla del vero James Barnes.
«Ad ogni emozione un colore. Così sarà più facile dividere i pensieri, l'ho fatto anche io.»
Bastarono quelle ultime parole per fargli scomparire l'accenno di sorriso dal viso e capii che era meglio andarsene, non volevo disturbarlo ancora né fargli tornare alla mente altri ricordi che potessero farlo innervosire - come il giorno del nostro primo incontro, quando per causa mia ricevette due proiettili.
«Grazie ancora» mormorai e uscii dalla cucina, precipitandomi nella mia stanza.
Non appena la porta fu chiusa alle mie spalle, presi il pastello viola e scrissi "Ansia sociale?" a caratteri cubitali nella prima facciata.
Furono letteralmente le prime parole che mi passarono per la testa.

Stavo abbozzando il disegno di un orribile casetta quando sentii un indistinto vociare esplodere nel corridoio. Inarcai un sopracciglio e lasciai perdere, era sicuramente Sam con la sua orribile musica motivazionale. Quel mezzo uccello provava a innervosirmi ogni singola volta che eravamo nella stessa stanza, la maggior parte delle volte facendo noiose allusioni a ciò che avevo fatto per ritrovarmi lì con loro, ma non era ancora riuscito a farmi perdere le staffe.
Tornai a focalizzare la mia attenzione sull'abitazione: stavo cercando di disegnare la casa che avevo visto nel mio primo ricordo, ma i risultati erano assai scadenti. Per non parlare delle proporzioni, le finestre sembravano essere delle porte tanto erano grandi!
Abbandonai il quaderno sulla scrivania e mi sedetti sul letto, piegando le gambe cosicché da poter poggiare la testa sulle ginocchia. Cominciavo ad avere una leggera emicrania e quella posizione mi aiutava sempre ad alleviare il fastidio. Peccato che così facendo mi ritrovai con mezza schiena scoperta: ero decisamente più alta di Natasha e Wanda e i loro indumenti mi andavano bene solo se stavo dritta e rigida come un palo. Una bella noia, ecco tutto.
Il vociare parve esaurirsi dopo un po' e stavo per abbracciare l'idea di farmi un pisolino - dopotutto erano solo le tre di pomeriggio - quando qualcuno bussò prepotentemente alla porta.
Sam. Non poteva essere nessun altro se non lui.
«Sei proprio il cagnolino di Rogers, quando non c'è lui devi annoiarmi tu?» sbottai, aprendo la porta con un colpo secco.
«Noto con piacere che sei ancora in te» disse Tony, le braccia incrociate al petto e un sorriso divertito in viso. Rimasi per un istante senza parole, presa alla sprovvista dal suo ritorno e fu come se un'ondata di tranquillità mi travolgesse, mi era forse mancato? «Terra chiama Hecate, c'è qualcuno?»
«Emh ciao Tony!» esclamai, facendogli cenno di accomodarsi e spostandomi dalla porta.
Senza troppe cerimonie, Tony si guardò intorno e andò a raccogliere il quaderno lasciato sulla scrivania. Lo lasciai fare, non c'era niente di particolare a parte la visione avuta e non volevo avere nessun segreto, soprattutto con lui.
Indossava una maglietta a maniche corte e ciò mi permise di vedere la leggera scottatura sul suo polso destro. Era arrossata, ma non sembrava troppo grave e irrimediabilmente il mio pensiero corse a Flamme. Se fosse stata lei?
«Sei venuto per dirmi che potrò avere vestiti della mia taglia?» buttai lì, cercando di rompere il silenzio che si era diffuso nella stanza. Mi lanciò un'occhiata perplessa e chiuse il quaderno, poggiandolo poi accanto alla confezione di pastelli colorati.
«Possiamo riparlarne, ma al momento sono piuttosto confuso» rispose, poggiandosi contro la scrivania e fissando lo sguardo su di me. «Non hai neanche provato a fuggire, perché? Sei forse in contatto con loro?»
«Stark, stai scherzando spero. Secondo te sono così stupida da provare ad andarmene e rischiare di morire? All'infuori del combattere non ho una fottuta vita e in poco tempo mi sarei ritrovata con voi e lo SHIELD alle calcagna. Qui almeno ho il sostegno di Wanda... e il tuo» mi ritrovai ad urlare, puntandogli il dito contro e facendogli finire un cuscino addosso. Non provò neanche a schivarlo e sospirò pesantemente, distogliendo lo sguardo da me.
«Mi fido di te, okay? Sarà perché ti capisco, perché so cosa vuol dire perdere la propria famiglia, ma credo davvero che tu non sia cattiva come tutti pensano.»
«E allora perché ti aspettavi che fuggissi?» domandai, le lacrime che pizzicavano gli occhi dopo la dichiarazione di fiducia di Tony.
«Meno aspettative, meno delusioni» rispose semplicemente e questa volta non abbassai la testa quando i nostri sguardi si incontrarono.
Vivere in un mondo come quello, talvolta, risultava difficile, soprattutto se avevi sulle spalle il peso della protezione di tutta l'umanità e in qualche modo potevo capire Tony.
«Non ho pensato neanche per un secondo di scappare e questo mi spaventa» ammisi, sentendo il cuore cominciare a battere all'impazzata. Mi ero abituata così facilmente a essere circondata da almeno un paio di Avengers che quasi avevo paura. Stavo diventando pazza oppure era quella la realtà che più si adattava alla ragazza che ero prima di entrare nel MOS?
«Vuol dire che non sei mai stata tu ad uccidere, ma le persone che ti controllavano.»
«Non è vero! Sono state le mie mani a premere il grilletto, i miei pugni a stordire le persone, i miei coltelli a tagliare le gole» dissi esasperata, mostrandogli le mani come fossero ancora piene di sangue. Sangue di persone che erano di impiccio per altre, che meritavano la morte perché disturbavano il decorrere degli avvenimenti e in quel momento sentii il peso dei rimorsi crollarmi addosso, come se fino a prima fosse stato trattenuto da qualcuno.
Dovetti sedermi sul letto per evitare di cadere a terra, mi presi il volto tra le mani e inspirai a fondo un paio di volte.
«Hecate» mi chiamò Tony, ora accovacciato davanti a me. Mi prese i polsi con delicatezza e allontanò le mani dal viso, sembrava preoccupato. «Cosa succede?»
«Sono arrivati i sensi di colpa, non-non li ho mai sentiti» sussurrai, lo sguardo fisso sulle sue mani che ancora stringevano i miei polsi. Era tutto così tremendamente confuso!
«Non devi accusarti di nulla, dolcezza. Sei sempre stata sotto il controllo di quella pazza e ora stai cominciando a riacquistare la tua vita, questo è solo il primo passo» disse Tony, sorridendo in modo rassicurante e lasciando la presa dai miei avambracci. Poi, senza alcun preavviso, mi strinse in un abbraccio. Sussultai non appena venni a contatto con il suo petto, potevo sentire il suo cuore battere velocemente e solo allora mi sfuggì un debole sorriso. «Puoi piangere, non lo dico mica a nessuno eh.»
«Sta' zitto, Stark! Se sono davvero così buona, come faccio a convincere gli altri? Mi è difficile parlare agli sconosciuti» parlai, ancora stretta tra le braccia di Tony. Era come aver trovato una figura paterna dopo tanto, troppo tempo.
«Non fissarti sull'ansia sociale, sono quasi certo che tra un mesetto riuscirai a rivolgerti a chiunque, devi solo riabituarti. Diciamocelo, il problema principale è Steve e per convincerlo seriamente puoi fare solo una cosa: accettare un colloquio con Fury e rispondere ad ogni sua domanda.»
Mi sciolsi dalla sua presa e annuii, era una soluzione più che valida e se l'aveva fatto Spettro potevo farcela pure io. Questa decisione la diceva lunga su quanto le mie idee fossero cambiate rispetto al primo giorno e soltanto perché avevo ricevuto la fiducia di due persone.
«Tony... cos'hai fatto al polso?» domandai, cambiando totalmente discorso. Dopotutto gliel'avevo data vinta, non serviva rimanere sullo stesso, triste argomento.
«Ah sì, è stata una torcia umana che penso fosse tua amica, mi ha rovinato l'armatura quella stronza.»
«Flamme! Oh Dio, siete andati alla base?» chiesi ancora, quasi felice d'avere loro notizie.
«Queste sono informazioni che non puoi ancora ricevere, mi dispiace. Che ne dici se mi fai un elenco di tutti i superpoteri che sono stati creati?» disse e fece l'espressione di un cucciolo bastonato, quasi ad implorarmi una risposta. Se lo accontentavo, tradivo Fort e Flamme, ma se restavo in silenzio era come allontanare ancora la fiducia di chi mi stava intorno.
«Siamo stati tutti creati da Alpha che è una specie di strega geniale. Poi c'è la pirocinesi, la licantropia, l'elasticità, la pelle antiproiettile, la creazione di campi gravitazionali e l'invisibilità di Spettro.»
«Complicati come pochi» concluse Tony con una risata e finalmente si rimise in piedi, non senza un basso scricchiolio delle articolazioni. «Sono contento che tu mi abbia risposto, non me lo aspettavo.»
«Riesco ancora a stupirti, visto Stark?»
Il suo cellulare squillò e non appena lesse il mittente della chiamata il suo viso parve illuminarsi.
«È Pepper!» lo sentii sussurrare e poi, forse ricordandosi che era nella mia stanza, alzò lo sguardo. «Proverò a cercare qualche informazione sul tuo passato: sono un genio, vuoi che non ci riesca?»
Parlò così veloce che quasi faticai a comprenderlo, a quanto pareva quella chiamata lo stava agitando parecchio... chissà chi era Pepper!
«L'ultimo genio che ho incontrato mi ha tolto la memoria e trascinato qui, devo fidarmi?» domandai ironica, cominciando a fargli strada verso la porta mentre lo smartphone continuava a squillare.
«E io devo offendermi?»
«Smettila di contestarmi e rispondi a questa donna, dannazione!»
Annuì vigorosamente e, dopo avermi fatto un occhiolino, premette la cornetta verde nello schermo: fu divertente sentirlo mormorare scuse e parole dolci.

Ombre alla deriva »Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora