35: "Va tutto bene"

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Nei momenti di nostalgia, mi piaceva aprire quelle poche chat che avevo su Whatsapp e rileggere i messaggi che andavano da lì a circa trenta giorni prima, ovvero quando ero partita per il Wakanda. Per quanto avvertissi il gruppo degli Avengers come qualcosa a me ancora un po' estraneo - si può dire che non credevo di meritare davvero un posto accanto a loro, eroi che erano arrivati a mettere in gioco la propria libertà per inseguire degli ideali pacifici -, avevo ormai capito che erano diventati la mia famiglia... specialmente Tony. Per quanto mi ostinassi ad accantonare l'idea, era difficile non vedere in lui una figura paterna, soprattutto quando se ne usciva con certe accuse assurde riguardo il mio ragazzo.
"Ma insomma, quando torni? È quasi un mese che non ti si vede e non è che ti impegni molto per farti sentire... mica James ti sta circuendo, eh?" lessi, tra me e me, un suo messaggio di due giorni prima a cui era seguita una videochiamata di un'ora e mezza in cui mi aveva aggiornato riguardo un suo nuovo progetto - purtroppo, nonostante le innumerevoli spiegazioni, capii ben poco -, sull'ultima missione affrontata da Natasha e Steve e riuscii a farmi salutare pressoché ogni persona presente al Complesso.
Proseguii con la lettura della chat e mi sfuggì una risata all'ennesimo riferimento a Bucky, cosa che destò proprio la sua attenzione.
«Che succede?» mormorò, facendo leva sui gomiti per girarsi a pancia in giù, e con la coda dell'occhio lo vidi affondare il volto sul morbido cuscino. Mi misi di fianco e, dopo aver abbandonato il telefono sulla striscia di materasso che ci separava, allungai una mano sulla sua schiena scoperta per tracciarvi ghirigori privi di senso con l'indice.
«Stavo rileggendo i vecchi messaggi di Tony, quelli in cui ci dice di comportarci bene.»
Girò il volto verso di me ed un sorriso gli incurvò le labbra, donandogli un'espressione ancora più rilassata di quanto già non fosse. Lo sentii trattenere il fiato quando il mio dito arrivò a sfiorare la serie di profonde cicatrici sulla sua spalla sinistra, ma azzardai a proseguire, seguendo quelle linee frastagliate che sapevano di dolore e tristezza. Il suo sguardo vagò verso il soffitto e se non fossimo stati nella penombra del primo mattino avrei potuto giurare senza problemi d'aver visto i suoi occhi colmarsi di lacrime.
«Bucky?» lo richiamai, spostando la mano al suo volto per accarezzargli una guancia.
In tutta risposta, mi diede una leggera spinta che mi fece finire a pancia in su e il suo braccio artificiale fu ben veloce ad impedirmi ogni movimento: in un batter d'occhio le sue labbra raggiunsero le mie in un bacio lento, carico di tutto ciò che non c'eravamo detti negli ultimi tempi, e m'aggrappai alle sue spalle nel tentativo di rimanere in qualche modo ancorata alla realtà. Tremai quando sentii la sua mano intrufolarsi sotto la leggera maglietta del pigiama, praticamente l'unico indumento che ero riuscita a raccattare nel buio della notte trascorsa, ed un sospiro pesante mi sfuggì dalle labbra.
«Bucky» mormorai ancora quando tornò a guardarmi negli occhi. Alzò le sopracciglia un paio di volte come a chiedermi cosa c'era che non andava e ci mancò davvero poco al lasciarmi andare, priva di qualsivoglia inibizione. Era bello, dannatamente bello, come potevo fare a meno di lui? «Non credi abbiamo già dato? Se Shuri mi vede troppo stanca potrebbe obbligarmi a rimanere ancora» sussurrai e più parlavo, più mi sentivo una stupida a farmi condizionare in quel modo. Bucky rise di gusto e affondò il volto nell'incavo del mio collo, facendomi alzare gli occhi al cielo con disappunto: ero già stanca di mio - a quanto pareva, per quanto il corpo avesse ormai assimilato la cura, la spossatezza non voleva andarsene - e, di certo, una serata a fare l'amore non m'aveva aiutata poi molto.
«Tu non dovresti fare nulla» disse piano, intervallando ogni parola con un delicato bacio sulla spalla. «Penso di essere abbastanza adulto da cavarmela da solo.»
Scoppiammo entrambi a ridere, cosa che mi privò prematuramente del fiato considerando che mi era ancora addosso, e bastò un mio «Ma siamo sicuri?» per farlo tornare serio.
«È una sfida?» brontolò, tirandosi su così da potermi guardare direttamente negli occhi. L'espressione imbronciata sul suo viso lo faceva sembrare proprio un bambino.
«Sai già la risposta.»
Non mi sorpresi neanche troppo quando, senza aggiungere nulla, mi sfilò la maglietta.

Ombre alla deriva »Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora