19: Parola chiave: protezione -parte 1

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Le otto ore trascorse nel cosiddetto Air Force One furono le più lunghe della mia vita: nonostante la mia presenza fosse necessaria affinché la missione non coinvolgesse la popolazione innocente, ero stata trattata al limite dell'accettabile, con tanto di occhiatacce e silenzi imbarazzanti non appena passavo accanto ad alcuni membri della scorta. Nemmeno Tony e Bucky furono di gran compagnia dato che passarono la maggior parte del tempo a riguardare gli identikit che avevo fatto, a fare conoscenza con la scorta del presidente Ellis e a dormire. Non che mi aspettassi granché, certo, ma speravo di poter godere di un minimo di considerazione!
«Hai dormito, Millicent?» domandò piano Tony, non appena fummo invitati a riallacciarci le cinture di sicurezza per l'imminente atterraggio. Un delicato brivido mi corse lungo la schiena nel sentirmi chiamare con il nome di battesimo, ma non mi impedì di voltarmi verso di lui con l'espressione più adirata di cui ero capace e lo scoprii a stropicciarsi gli occhi come un bambino, probabilmente la voce dell'assistente di volo l'aveva svegliato.
«Ti pare? Stiamo per mettere in gioco la mia libertà, non vedo come potrei essere abbastanza tranquilla da dormire» borbottai, facendo saettare lo sguardo fuori dal finestrino. Lo sentii ridacchiare piano, com'era solito fare quando trovava qualcosa di piuttosto inutile per i suoi canoni.
«Stai tranquilla, ti preoccupi troppo!» disse lui, prendendomi delicatamente per i capelli e spingendomi la testa contro il sedile. Lo lasciai fare, ormai abituata ai suoi modi di fare fin troppo espansivi, e provai pure a chiudere gli occhi per gli ultimi minuti di viaggio. «A proposito, dov'è James?»
«Da un tale Noah della scorta, credo.»
Non feci in tempo a finire la frase che fui colta da un violento capogiro dovuto all'atterraggio a cui non ero affatto abituata, a quanto pareva non avevo mai viaggiato troppo con la mia famiglia. Ciò significava anche che non avrei rivisto Bucky prima dell'uscita dall'aereo e solo lui sapeva quanto avevo davvero bisogno della sua vicinanza, soprattutto adesso che avevamo instaurato una bella amicizia fatta di confidenze e tranquillità.
Le ginocchia mi tremarono quando poggiai piede sull'asfalto della pista d'atterraggio dell'aeroporto di Roma Fiumicino, ma trovai subito appoggio sul braccio che Tony prontamente mi porse. Notai subito l'assenza dei giornalisti e l'assoluta abbondanza di uomini e donne delle forze dell'ordine che sembravano fare da scudo umano per il presidente italiano Giovanni De Santis.
Una mano sfiorò appena il mio braccio, quasi non servì voltarmi per riconoscere chi c'era al mio fianco e d'istinto feci un passo di lato, avvicinandomi in modo quasi imbarazzante a quella presenza che avevo imparato ad accettare da un po' di tempo.
Tornando alla realtà, passai lo sguardo su ogni viso lì presente per cercare anche la minima somiglianza con i miei vecchi compagni: avevo paura di sbagliare, di ignorare degli indizi fondamentali per la sicurezza del presidente e non potevo permettermelo, non in quel frangente. Non individuai nulla di sospetto, ma tanto bastò per farmi sorgere ulteriori dubbi... dopotutto Alpha era una strega.
«Rilassati o penseranno che non sei all'altezza del tuo compito» sussurrò Bucky a mezza bocca, abbassando appena il viso come c'era stato chiesto di fare - "Per evitare che leggano le labbra" era la scusa.
«Non cominciare pure tu» sibilai, lanciandogli una veloce occhiataccia prima di tornare a focalizzare la mia attenzione sui due presidenti che si stringevano la mano. Avrebbero discusso di una nuova base americana sul suolo italiano perché, per quanto avevo origliato, Ellis voleva maggiore controllo sulle nazioni europee e sugli eventuali avvenimenti sospetti legati a nuovi umani potenziati. A mio parere, sarebbe stato meglio stabilirla in Germania o Austria, così da essere ben al centro del continente, ma i rapporti con quegli stati non sembravano abbastanza approfonditi.
Feci un respiro profondo e mi obbligai a pensare positivo: sarebbe filato tutto liscio, non avrei incontrato nessuno del MOS e il presidente non avrebbe corso nessun rischio tale da comportargli il men che minimo danno psicologico. Bastava crederci davvero, no?

Complice il buio già inoltrato, gli abitanti della capitale non badarono molto alla nostra presenza, permettendoci di raggiungere il nostro hotel senza troppi problemi. Per non so quale ragione logistica, la maggior parte della scorta soggiornava al penultimo piano mentre pochi altri, il presidente Ellis e i "tre delegati della CIA" - simpatico soprannome che c'era stato affibbiato - stavano all'ultimo piano.
Prima di poter anche solo pensare al nostro letto, fummo costretti a passare a setaccio tutto il piano, compresa la stanza in cui avrebbe dormito il presidente. Tra il jet lag e la stanchezza dovuta dall'ansia che m'aveva consumato ogni energia, fu un'impresa ardua controllare ogni singolo angolo senza trascurare alcun dettaglio.
«Non hai qualche magia particolare, Hecate?» domandò con sarcasmo una delle tante guardie che mi trascinavo dietro da New York. Alzai la testa, abbandonando per un momento la cassettiera che m'era stata affidata, e lo guardai perplessa.
«Millicent Turner, grazie» lo corressi con un sorriso di cortesia, giusto per non peggiorare la situazione. Lanciai un'occhiata a Tony che, poco distante da me, si stava occupando del grande armadio insieme ad un altro membro della scorta e lo scoprii a fissarmi intensamente, quasi cercasse di attirare la mia attenzione. Scosse piano la testa e compresi che era meglio rimettersi al lavoro.
«Stessa cosa. Non puoi fare qualche incantesimo così possiamo andarcene a dormire prima?» insistette lui, facendo un passo avanti. Incrociai le braccia al petto, feci un respiro profondo e mi imposi di non perdere la pazienza per alcun motivo.
«Se tu fossi rimasto a controllare il bagno, avresti già finito.»
Gli feci cenno di tornarsene nella sua stanza e fortunatamente così fece, senza nemmeno proferir parola. Certe volte la diplomazia ripagava molto più di un bel pugno sullo stomaco, solo certe volte però!
Quando raggiunsi la mia stanza avevo le gambe distrutte e un assurdo mal di testa che sembrò acuirsi non appena mi ritrovai davanti Bucky senza maglietta e Tony con solo un asciugamano addosso. Cosa ci facevano loro nella mia stanza? E soprattutto, perché erano mezzi nudi?
«Mi sono persa qualcosa?» domandai attonita, ancora immobile alla soglia della stanza. James si affrettò subito a indossare una canottiera, mentre Tony continuò a digitare sul suo smartphone, come se fosse normale tutto ciò. «Faccio un'ulteriore domanda allora, perché siete nella mia camera?»
Chiusi piano la porta dietro di me e mi concessi un'occhiata alla stanza: un grande armadio a tre ante occupava la parete alla mia sinistra, due grandi finestre ci davano una perfetta visuale sulla paesaggio notturno di Roma, una scrivania stava accanto alla porta del bagno e tre letti occupavano la parete davanti a me. Avrei dovuto dividere la camera con loro per quale assurdo motivo?
«Nostra vorrai dire» parlò finalmente Tony, poggiando il cellulare sul letto di mezzo.
«Il concetto di privacy è andato a farsi un giro?» domandai ancora, spostando lo sguardo da un Avenger all'altro. Pretendevo una risposta sensata tipo subito e non avrei accettato nulla di vago o campato per aria.
«Assolutamente, se vuoi girare nuda puoi farlo senza problemi» fu la risposta. Lo guardai con tanto d'occhi, colta alla sprovvista da tanta sfacciataggine, e mi sentii le guance ribollire d'imbarazzo.
«Abbiamo pensato che lasciandoti in stanza da sola saresti stata un bersaglio più facile per il MOS» s'intromise Bucky, forse cercando di calmare la situazione. Mi sfuggì una debole esclamazione nello scoprire che tutto ciò era stato fatto per proteggermi e non potei far altro che sentirmi in colpa per aver subito cercato un motivo che comprendesse qualche loro egoismo.
Raggiunsi l'unico letto sgombro - quello vicino al bagno - e mi distesi, affondando il viso sulle coperte morbide e profumate. Sentii subito le palpebre pesanti, quasi fossi rimasta sveglia per pura inerzia, e dovetti sforzarmi non poco per concentrare l'attenzione sulle parole di Tony.
«Domani mattina dobbiamo essere pronti per le dieci, non un minuto in ritardo, e seguire il presidente al Quirinale. James, tu sarai all'interno quindi mi riferirai ogni virgola che vien detta. Io e te, Millicent, saremo nel perimetro esterno e dovremo fermare eventuali imboscate del MOS. Tutto chiaro?»
«Sì sì» risposi a malapena, chiudendo gli occhi e nascondendo le mani sotto al fresco cuscino. Sentii appena la risposta di Bucky e poi mi addormentai, forse mai così stanca in vita mia.

Ombre alla deriva »Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora