29: Inferno...

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Quanto tempo era passato dallo scontro? Pochi minuti? Delle ore? O giornate intere? Il mio ultimo ricordo risaliva alla mano magra di Alpha stretta al mio collo e al conseguente desiderio di morire all'istante pur di non tornare ad essere una sua marionetta, per il resto c'era soltanto buio... lo stesso buio che riempiva la stanza in cui mi trovavo. L'unica fonte di luce era lo schermo di un piccolo portatile poggiato su un tavolo e se era acceso significava che qualcuno doveva aver smesso di usarlo da poco, cosa che mi fece drizzare la schiena all'istante. Mi sfuggì un mugolio non appena i polsi grattarono sulla spessa corda che me li bloccava ai poggioli della sedia su cui sedevo, realizzai dunque d'essere completamente limitata nei movimenti e un brivido di puro terrore mi attraversò da capo a piedi.
Tentai di allungare una gamba alla volta - un po' per verificare eventuali ferite, un po' per scoprire quanto fossi davvero immobilizzata - e cercai di spostare il busto: ottenni lo stesso sconfortante risultato, ero legata a quella fottuta sedia.
Fu soltanto quando racimolai il coraggio per parlare che realizzai d'avere del nastro adesivo a chiudermi la bocca. Provai ad ignorare tutti i campanelli d'allarme che avevano cominciato a suonare nella mia testa quasi volessero invitarmi a farmi prendere dal panico e cominciai a strusciare morbosamente una guancia contro la spalla coperta dal tessuto della divisa.
Dovevo liberarmi, dovevo andarmene da lì il prima possibile.
«Oh! Qualcuno si è svegliato?» sibilò la voce di Lupin, facendomi gelare sul posto. Pensavo d'averlo ucciso a suon di palate, credevo d'esser riuscita a metterlo fuori gioco permanentemente e invece non avevo fatto altro che peggiorare la mia posizione.
Dovetti serrare gli occhi quando si accesero le luci e avvertii una fitta di mal di testa attraversarmi la fronte per poi fermarsi, con mio estremo fastidio, sulle tempie. Sembrava d'esser tornata al giorno dell'operazione tanto mi sentivo a disagio con me stessa.
Non appena aprii gli occhi il mio sguardo cadde sul braccio sinistro: la manica era stata brutalmente strappata all'altezza della spalla e trovai un paio di puntini rossi a costellarmi l'interno del gomito, quasi avessi subito svariati prelievi di sangue. Fu quest'ultimo pensiero a farmi alzare la testa, terrorizzata all'idea d'aver subito altri esperimenti a mia insaputa.
«Te l'avevo detto che non avresti combinato nulla» continuò l'uomo, avvicinandosi a passo svelto e silenzioso. Infilò una sua mano tra i miei capelli, per poi tirarmi la testa indietro cosicché potessi vederlo senza voltarmi e non potei evitare una smorfia di disgusto nello scoprire la faccia gonfia e piena di ematomi. Mi costrinsi a pensare che se lo meritava, che non dovevo affatto sentirmi in colpa, ma i sensi di colpa erano dei gran stronzi. «Sei stata sempre troppo difficile da ammaestrare
Mi lasciò i capelli per accendersi una sigaretta che, però, portò alla bocca soltanto una volta e il fumo mi pizzicò fastidiosamente il naso. Con le orecchie tese, seguii il suono dei suoi passi finché non fu davanti a me: un sorriso sprezzante gli incurvava le labbra spaccate mentre avvicinava la sigaretta al mio braccio scoperto. Cercai di urlare il mio disappunto, di pregarlo affinché non spegnesse la cicca sulla mia pelle, di allontanarmi da lui, ma si rivelò tutto inutile quando avvertii la carne bruciare laddove l'estremità accesa mi toccò. Di riflesso, le lacrime mi riempirono gli occhi e ci misi tutta me stessa per evitare che sfuggissero al mio controllo.
«Non sei affatto gentile con la nostra ospite» parlò la voce melliflua di Alpha e per un istante fui sollevata nel vederla arrivare di gran carriera. Sollievo che scemò via non appena le vidi una sigaretta quasi consumata tra le labbra tinte di rosso.
Mi si avvicinò così tanto che avrei potuto facilmente darle una testata, ma ero fin troppo cosciente della mia situazione per rischiare con un gesto così sconsiderato. Se prima volevo morire, ora non desideravo altro che tornare viva tra le braccia della mia famiglia.
«Vedo che ti sei data da fare» mormorò tranquilla, prendendo tra il pollice e l'indice l'angolo di nastro adesivo che ero riuscita a sollevare. Lo strappò via con un gesto secco e avvertii la bocca andarmi a fuoco tanto ero stata presa alla sprovvista. Passai la lingua sulle labbra nel vano tentativo di alleviare il fastidio e cercai di riflettere sulle parole che avrei tanto voluto sputarle addosso.
«Quanto tempo è passato?» domandai, la voce ridotta ad un sussurro roco ed estraneo per colpa del mal di gola che mi impediva di alzare il tono. Avevo la bocca secca, doveva esser passato più di un giorno.
«E cosa ti importa? Credi forse di poter uscire viva da qui? O che ti verranno a prendere?» fu la risposta di Alpha prima che anche la sua sigaretta si scontrasse contro il mio braccio. Mi sfuggì l'ennesimo mugolio di dolore e serrai gli occhi, questa volta incapace di trattenere le lacrime.
«Do-Dove siamo?» chiesi ancora, cercando in tutti i modi di prendere tempo. Mi avrebbe uccisa da lì a poco, me lo sentivo.
«Chi tornerebbe mai sui suoi passi quando è stato scoperto?»
Mi guardai attorno con attenzione alla ricerca di qualsiasi dettaglio che potesse suggerirmi una risposta sensata: a parte il tavolino con il computer, un altro coperto da un telo azzurrino e degli scaffali sgangherati non trovai nulla di rilevante.
A terra trovai delle chiazze di sangue e di altri liquidi non ben identificati - solo poi, dall'odore, realizzai anche la presenza di urina -, ma soltanto quando il mio sguardo cadde su una misera piastrella a pochi passi da me un'idea si fece spazio nella mia testa. In rilievo su di essa c'era il simbolo dell'HYDRA con sotto tre semplici lettere, MOS: ci trovavamo nei sotterranei della vecchia base.
«Cosa vuoi da me?»
«Io? Niente, penso di essermi presa già tutto» disse lei, sorridendo sorniona alla mia espressione perplessa. «La figura paterna, com'è che si chiama? Ah sì, Tony Stark! Potrebbe aver subito gravi ferite, tanto gravi da obbligarlo a lasciare lo scontro prima degli altri. E poi quell'altro, il tuo Bucky! Potrebbe esser stato ucciso da Fort, avresti dovuto vedere come l'ha ridotto.»
Mi sentii mancare il fiato e la testa sembrò galleggiarmi nel vuoto per un paio di secondi, quasi avessi perso il contatto con la realtà. Doveva essere per forza una bugia: loro due sapevano muoversi bene, difendere se stessi e gli altri... era impossibile che fosse successo tutto ciò. Mi rifiutavo di crederci.
«Non è vero» urlai e la gola mi bruciò per lo sforzo. Diedi una spinta con i piedi nel tentativo di far cadere la sedia all'indietro e, di conseguenza, liberarmi, ma sembrava che fosse saldamente bloccata al suolo. «Eri con me, non potevi essere all'aeroporto!»
«Mi auguro che siano i sonniferi a renderti così stupida, non hai ancora capito che genere di poteri ho?» sbottò lei, raggiungendo di gran carriera il tavolo coperto dal panno azzurro. Lupin la seguì come un cagnolino fedele, ma fu brutalmente spinto indietro con una manata. «Ti prego, caro, falla tornare in qua come solo tu sai fare.»
«No, no, no» balbettai, incassando la testa tra le spalle nel vano tentativo di proteggermi al meglio.
Nei pochi secondi successivi non avvertii più nulla se non il rumore sordo delle sue mani che impattavano con il mio corpo: un ceffone mi arrivò dritto sulla guancia destra, un pugno mi colpì allo zigomo sinistro e poi non riuscii più a distinguere un colpo dall'altro tanto il dolore che m'aveva intorpidito il corpo. Non ne sarei uscita viva, poco da sperarci.
Ci misi un attimo per comprendere che era tutto finito e mi concessi un profondo respiro, ma subito una fitta mi attraversò il petto. 
«Ho visto che ti sei ricordata del nostro primo incontro» cominciò a parlare Alpha, come se nulla fosse successo, e si spostò verso il computer il cui schermo aveva cominciato a lampeggiare fastidiosamente. «Dovresti ringraziarmi, sai? Non avevi più nessuno dopo che tua madre se n'era scappata... io ti ho cercata e portata in un luogo molto più accogliente di quella specie di appartamento buio che ti ritrovavi.»
«Ringraziarti?» sbottai, avvertendo il sapore del sangue invadermi la bocca. Mi sfuggì una risata nervosa che dovetti interrompere quasi subito per riprendere fiato, avessi potuto alzarmi o anche solo utilizzare i miei fottuti poteri l'avrei uccisa a suon di colpi di computer in testa. «C'era mia zia, me la sarei cavata da sola!»
«Oh, ma non sono affari miei questi, io ti ho solo trovata nel momento giusto.»
Al momento giusto? Cosa diamine doveva significare? Piantai i denti sul labbro inferiore per evitare d'esser trascinata dall'istinto a porre domande di cui, sotto sotto, non volevo affatto conoscere le risposte e, incoerentemente, mi ritrovai ancora a sperare di morire all'istante. Non volevo tornare ad essere una sua marionetta.
«Magia e tecnologia: un abbinamento perfetto, non trovi?» disse tutta contenta Alpha, distogliendo l'attenzione dallo schermo per regalarmi un sorriso radioso. Era così contenta che mi veniva il voltastomaco.
«Non me ne fotte un cazzo» sbraitai, ignorando di proposito il dolore che mi attraversò il petto. Strattonai le braccia nel tentativo di liberarmi da quella maledetta sedia che mi stava intorpidendo pure l'anima, battei i piedi a terra come una bambina capricciosa nel tentativo di ottenere anche il benché minimo risultato e mi trattenni a stento dal cacciare un urlo disumano: se dovevo morire, volevo farlo lottando fino all'ultimo istante, non limitandomi a subire senza spiccicare parola!
«Vuoi davvero che i tuoi amici vedano questo tuo comportamento?» chiese ancora, la voce ridotta ad un sussurro suadente. Parlava degli Avengers? Cosa stava succedendo? «Chiudele quella boccaccia, voglio godermelo questo momento.»
Sentii uno strappo e l'ennesimo pezzo di nastro adesivo mi chiuse la bocca, mancando di poco il naso ma appiccicando un mucchio di capelli. Scalpitai ancora nel tentativo di ribellarmi a quel trattamento ingiusto e da pazzi, perché solo ad una persona come Alpha poteva venire in mente di registrare tutto ciò.
La osservai terrorizzata mentre tornava al tavolino coperto dal telo azzurro che ben presto fece cadere a terra, rivelando un'assurda sfilza di coltelli e pistole. Dalla mia posizione riuscii a distinguere la sagoma di quella che sembrava una mazza da baseball. Un brivido mi percorse da capo a piedi al solo pensiero di cosa avrei ricevuto da lì a poco, per non parlare del fatto che gli altri avrebbero probabilmente visto tutto.
«Stark, credevi davvero d'essere capace di resistere ai miei attacchi hacker?» sputò con disprezzo, piazzandosi a pochi passi da me con un paio di coltelli infilati nella cintura che le stringeva la vita. Non mi sarei stupita se avesse utilizzato anche quella.
Rimasi a testa bassa, incapace di guardare la webcam senza avvertire le lacrime bagnarmi gli occhi, e una fitta di emicrania mi attraversò di nuovo la fronte. Dolore che venne solo accentuato dalla presa ferrea di Lupin sui miei capelli che mi obbligò quindi ad alzare lo sguardo, per poi poggiare la mano libera sulla mia spalla scoperta. Avvertii la bile pizzicarmi fastidiosamente la gola e, non con poca difficoltà, cercai di darmi un po' di contegno.
«Alla fine ho vinto io, come potete vedere. Con Spettro in fin di vita e Hecate qui con me, credo non vi resti altro da fare che arrendervi all'idea che mi prenderò pure Ellis se ciò significa ottenere la giusta ricompensa. Mi avete rubato il lavoro di sei lunghi anni, me lo avete distrutto come fosse la cosa più lercia di questo mondo, ma sapete cosa vi dico? Non siete meglio di me» parlò melliflua Alpha, come se fosse normale spendere tutte quelle parole prima di commettere l'ennesimo omicidio. Non ebbi nemmeno il tempo di processare la scoperta riguardo le condizioni di Enoch che un dolore lancinante si diffuse sulla mia coscia sinistra: tentai di guardare cosa diamine fosse successo, ma tra le lacrime che mi annebbiavano la vista e la stretta di Lupin sui miei capelli non riuscii a distinguere altro se non l'estremità del manico di un coltello.
Non dovevo lasciarmi prendere dal dolore, dovevo rimanere concentrata sui miei pensieri ed ignorare tutto ciò che mi avrebbe trascinata nell'incoscienza.
Il mio papà sarebbe stato felice di conoscere la nuova persona che ero diventata, capace di prendere spunto dagli avvenimenti passati per creare una vita più completa.
La mia mamma, sebbene non la ricordassi, avrebbe senza dubbio apprezzato la forza con cui ero stata capace di rialzarmi.
Zia Rachel mi voleva bene.
«Avete ucciso centinaia di persone perché pensavate di essere capaci di generare una creatura in grado di proteggere la Terra da nemici alieni; io, invece, mi limitavo a colpire le giuste persone per accontentare chi poteva essere davvero capace di migliorare il Mondo in cui anche voi vivete!» continuò con il suo discorso inutile e fuori luogo, mentre cominciavo già ad avvertire i sensi venir meno. «Avete cominciato il lavoro e non si lascia mai nulla a metà, questo è soprattutto per voi, Barnes e Stark.»
Serrai gli occhi con il cuore che batteva a mille dalla paura, già pronta a subire il colpo di grazia, ma il tempo sembrò fermarsi.











Angolo autrice.
Innanzitutto, scusatemi per il falso allarme dell'altro giorno!
Detto ciò, sono proprio contenta d'essere arrivata a questo punto della storia perché, detta papale papale, è come se l'avessi (quasi) già finita.
E niente, come sempre sono disponibile a rispondere a qualsiasi domanda e/o dubbio.
Ah, sì, quanti di voi cominciano scuola domani? Ditemi che non sono sola lol.

Ombre alla deriva »Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora