26: "Un colpo semplice"

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Le mani dolevano così tanto da esser diventate quasi insensibili, le braccia erano attraversate da deboli scosse provocate dalle nocche che venivano a contatto con il duro cuoio del sacco da boxe e la mia testa sembrava non esser mai stata così leggera, priva di pensieri. Forse, rifiutarsi di utilizzare i guantoni era stata una mossa stupida, ma avevo bisogno di sentire ogni colpo che davo per poter riacquistare la fiducia persa negli ultimi mesi di quasi totale inattività.
«Al mio via ti giri e mi affronti, senza perdita di tempo» mi ricordò Bucky, la voce spezzata dal respiro affannoso dovuto alla sua corsa di riscaldamento.
Un sorriso si fece spazio sul mio viso e avvertii ogni muscolo tendersi ancor più di prima, pronti a scattare nel sentire quella misera parola. Sembrava proprio d'essere sulla linea di partenza per i cento metri, con il cuore a mille per l'aspettativa e la testa già proiettata al traguardo.
«Via!» esclamò Bucky e mi voltai di scatto, pronta ad attaccare o difendermi.
Fui colta da un leggero giramento di testa che gli diede il tempo necessario per fare un passo avanti e tentare un destro diretto al mio viso. Riuscii a schivarlo appena in tempo.
Inspirai profondamente nel tentativo di recuperare il fiato sprecato contro il sacco da boxe; ritrovandomi al suo fianco, azzardai una poderosa gomitata sulla sua spalla sinistra, laddove il metallo del braccio artificiale sembrava fondersi con la carne. Gli sfuggì un debole singulto che fu ben presto vendicato da una spinta che mi fece cadere faccia a terra.
«Cosa sei, un bambino?» sbottai, rotolando di lato per evitare che mi finisse addosso nel tentativo di schiacciarmi al suolo.
Mi rimisi in piedi con un balzo veloce e fui capace di colpirlo alla coscia destra con un calcio improvvisato, cosa che mi diede il tempo di dargli un forte pugno alla base del collo. Sfortunatamente, Bucky riuscì ad afferrarmi per il polso, strattonandomi così verso di sé.
«Mossa alquanto stupida» sussurrò ad un soffio dalle mie labbra. Tentai un'altra volta con la mano sinistra, ma fu anch'essa bloccata. «Pure questa.»
«Non giocare con il fuoco» mormorai di rimando e mi allontanai da lui il più possibile, cercando così di liberarmi dalla sua presa ferrea. Poi realizzai che mi stava servendo su un piatto d'argento l'opportunità di atterrarlo: tornai quindi ad avvicinarmi pericolosamente a lui - giocando un po' sporco, finsi di volerlo baciare -, non appena lo vidi distratto feci scivolare la gamba destra dietro il suo ginocchio e la spostai verso di me, facendogli perdere l'equilibrio. Fu veloce nel realizzare la situazione e cercò di non cadere a terra spingendosi verso di me, ma l'unica cosa che ottenne fu una mia poderosa spinta.
Mi si mozzò il fiato in gola quando impattai con il petto di Bucky e ci mancò poco perché sbattessi la testa contro la sua, però vedere l'espressione di puro stupore che gli dipinse il viso fu davvero inappagabile.
«È un po' scomodo farlo qui» mormorò con fare suadente, dopo aver riacquistato contegno. Scossi la testa con una risata, ormai completamente immune dall'imbarazzo che mi davano le sue allusioni, e gli lasciai un veloce bacio a fior di labbra.
«Non cominciare» mugolò appena, ma senza lasciare la presa dai miei polsi.
«Arrenditi e potrei farci un pensierino» replicai, cercando di mettermi seduta. Gli diedi un altro fugace bacio e lo vidi incupirsi quando mi allontanai nuovamente.
Gli bastò la forza del braccio artificiale per capovolgere la situazione: grazie al Cielo pensò bene di non schiacciarmi con tutto il suo peso, limitandosi dunque a tenermi ferma bloccando le mie gambe con le sue e stringendomi con ancora più forza i polsi.
«Fidati che è molto fraintendibile questa posizione» dissi, nel tentativo di dissimulare il fastidio che mi pizzicava gli avambracci.
«E cosa mi cambia? L'importante è che ho vinto!»
«Sei un vero bambinone» brontolai mentre cercavo di liberarmi.
«Vecchio di cent'anni» scherzò Bucky, permettendomi finalmente di sedermi. «Sei stata brava comunque, non hai alcun motivo di temere lo scontro.»
Mi limitai a guardarlo, cercando nella sua espressione anche il minimo accenno di dubbio: mi fidavo tremendamente di lui, ma non riuscivo a concepire del tutto l'idea che da lì a pochi giorni avrei dovuto affrontare la mia vecchia famiglia. Temevo di farmi prendere dal panico, di ritrovarmi a fissare il vuoto alla loro mercé, incapace di ferirli anche solo di striscio.
Per non parlare di Alpha. Nonostante cercassi in tutti i modi di convincermi che non c'erano possibilità che la incontrassi, avevo comunque l'ansia di trovarmela davanti in tutta la sua rabbia. A dir la verità, a preoccuparmi non era tanto lei, quanto piuttosto i danni che avrebbe potuto causare alle persone a cui volevo bene... sapeva essere fin troppo crudele quando le venivano portati via i suoi giocattoli.
«Lo sai come la penso» sussurrai, rimettendomi in piedi grazie alla mano che mi stava porgendo. «Non voglio che ti faccia del male.»
«Non me ne farà, tesoro, te lo prometto.»
Sorrisi a quel nuovo nomignolo così strano detto da un uomo grande e grosso come lui e non potei fare a meno di ricordare una sua precedente confessione: "Sei una delle poche cose belle della mia vita". Piansi nel sentirlo pronunciare quelle parole perché era esattamente ciò che pensavo anch'io e mi strinse a sé finché il pianto non divenne un singhiozzare sommesso.
«Va bene, mi fido» concessi alla fine, sporgendomi verso di lui per reclamare un piccolo bacio che subito ottenni.
Dovevo godermi a pieno quegli ultimi giorni sicuri e concentrarmi per trovare un benessere psicologico tale da non fermarmi davanti a niente e nessuno.

Ombre alla deriva »Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora