Ci fu un tonfo sordo seguito da un basso cigolio e scattai subito a sedere sul letto, il cuore che già batteva all'impazzata per la paura: da un paio di settimane avevo cominciato a stare sveglia fino a tardi - era estate, dopotutto! - per leggere romanzi rosa e guardare film fantascientifici, ma ogni rumore strano che sentivo riusciva a farmi pentire della mia nuova abitudine.
Cercai di tendere l'orecchio per capire cos'era stato a provocare quel suono e riuscii a sentire qualcuno che camminava proprio fuori la porta della mia camera, una piccola stanza dalle pareti rosa pastello tappezzate di poster di ragazzi famosi. Dalla cadenza dei passi capii che si trattava di mio padre, ma era strano che fosse sveglio a certe ore, vista soprattutto l'assenza di mamma.
Scesi piano dal letto, stando attenta a non inciampare sul cuscino che avevo precedentemente abbandonato a terra, e raggiunsi la porta della mia camera, per poi aprirla il più piano possibile. Controllai il corridoio e intravidi mio padre imboccare le scale che portavano al piano terra: lo seguii in punta di piedi, silenziosa come mai prima, mentre il cuore mi martellava nel petto. Sembrava di essere in un film di spionaggio tanta era la tensione che sentivo.
«Chi diamine sei e cosa ci fai in casa mia» sbottò la voce severa di mio padre, facendomi sobbalzare dallo spavento. Velocizzai il passo e arrivai alla balaustra di finto marmo, non riuscendo a vedere nessuno scesi le scale, un passo alla volta per evitare qualsiasi rumore sospetto. Le mani cominciarono a tremarmi quando una voce sconosciuta rispose.
«Non pensavo che fossi così vigile anche durante il sonno, Mark. Non avrai mica qualcosa da nascondere, vero?»
Si trovavano in cucina, lo compresi dalla debole luce che usciva dalla stanza, e allora mi nascosi velocemente dietro il divano: forti brividi cominciarono ad attraversarmi il corpo nonostante ci fossero minimo settantasette Fahrenheit fuori, le mani tremavano violentemente e dovetti stringerle tra le cosce per fermarle.
«Ripeto, chi sei e cosa vuoi?» disse mio padre, la voce sempre più decisa e tagliente. In tutta risposta ottenne una grossa risata quasi malvagia. Dalla mia posizione non riuscivo a vedere alcunché, ma non ebbi il coraggio di spostarmi.
«Taglia una testa e altre due prenderanno il suo posto, te lo ricordi?» domandò lo sconosciuto una volta terminata la sua macabra risata. Fece una pausa, forse ricevendo un cenno di testa da mio padre, e poi proseguì. «Credo proprio che questa volta non funzionerà.»
Vi furono due spari e lo sconosciuto corse via, uscendo dalla porta di casa. Mi ritrovai a boccheggiare, completamente atterrita dall'idea di vedere mio padre disteso a terra in una pozza di sangue. Qualcosa cadde e solo in quel momento l'adrenalina entrò in gioco, facendomi alzare e raggiungere la cucina in un batter d'occhio: una volta vista la scena però, desiderai d'essere rimasta chiusa in camera mia.
«Papà» mormorai, crollandogli accanto, incurante del sangue che da lì a poco mi avrebbe sporcato le gambe.
«Dolcezza, stellina mia» rispose lui, allungando una mano insanguinata verso il mio viso e ritraendola subito. La canottiera bianca che utilizzava per dormire aveva due grandi chiazze rosse che continuavano ad espandersi senza tregua, facendomi intuire che c'era ben poco da fare.
«Non puoi andartene, papà! Io e la mamma abbiamo bisogno di te, per favore!» urlai tra le lacrime, cercando di tamponare le ferite con la tovaglia a fiori rovinata. Lui scosse la testa sconsolato, un sorriso triste ad incurvargli le labbra da cui tante volte erano uscite promesse d'amore e felicità.
«Non piangere, bimba mia. Lo sai anche tu che, fosse per me, ti seguirei fino in capo al mondo» rispose, la voce ridotta ad un sussurro. Tossì un paio di volte e del sangue cominciò ad uscirgli dalla bocca, piansi ancora più forte e schiacciai la tovaglia sul suo petto in un vano tentativo di salvarlo.
«Ti scongiuro, non abbandonarmi, non chiudere gli occhi! Guardami papà, non cedere!»
«Vi amerò per sempre.»
E il suo corpo si rilassò, abbandonando ogni accenno di vita, gli occhi fissi sul mio viso. Urlai con tutto il fiato che avevo in corpo; urlai la mia disperazione, la mia rabbia, il mio odio verso quel mondo infame che aveva portato via il mio papà.
Provai ad asciugarmi le lacrime che scorrevano imperterrite sulle guance, ma quando vidi le mani coperte di sangue urlai ancora, ancora e ancora, probabilmente distruggendomi le corde vocali.
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Ombre alla deriva »Bucky Barnes
FanfictionErano passati quasi due anni da quando Hecate era stata arruolata nel MOS, un'organizzazione criminale segreta, e aveva perso ogni ricordo del suo passato. Bastarono soltanto un paio di mesi per abituarsi a quella nuova vita fatta di armi, esperimen...