Volevo essere arrabbiata, incazzata nera, con la dottoressa Gill per avermi nascosto la nostra parentela, ma mi era pressoché impossibile: la mia gratitudine nei suoi confronti superava ogni limite immaginabile ed era difficile credere che il suo silenzio non fosse dettato dagli ordini di Fury. In questo caso, potevo capirla; disobbedire non era mai la scelta più opportuna da fare.
Rivelai la scoperta soltanto a Tony e Wanda e quest'ultima fu capace di utilizzare la "strana relazione con James" come giustificazione per la mia rinnovata serenità, cosa che mi fece morire d'imbarazzo.
Sorprendentemente, Bucky non provò neanche per un istante ad ignorarmi, nonostante gli Avengers lanciassero continue frecciatine su ciò che era successo il giorno della visone del film. Non aveva neppure cominciato a starmi appresso, cosa più che normale dato che tra di noi non era successo nulla, se non un paio di tranquillissimi abbracci. Gli altri, però, sembrava non riuscissero a capirlo.
«Hecate, ho qualcosa che ti riguarda» annunciò Steve, entrando nella mia stanza senza neppure bussare. Lo guardai accigliata, quasi aspettando che si scusasse per il mancato avviso, ma tutto scemò via quando vidi il voluminoso dossier che stringeva tra le mani.
«Dallo SHIELD, non è vero?» chiesi, la voce tremante e le mani già protese in avanti, in un silenzioso invito ad avvicinarsi.
«Sì. Se hai bisogno di qualcosa, sono in palestra» rispose lui, la voce appena sopra un sussurro, quasi avesse il timore di peggiorare la situazione. Annuii e presi il pesante fascicolo dalle sue mani, non prima d'aver incrociato gli sguardi. Mi sorrise rassicurante e se ne andò senza aggiungere altro, mi bastò questo per capire che nel suo comportamento centrava Bucky: erano rare le volte in cui Steve si toglieva la maschera da impavido e inflessibile Capitano per parlare con me.
Aspettai che chiudesse la porta prima di aprire il dossier e spargere tutti i fogli sul letto, cercando di mantenere l'ordine con cui li tiravo fuori. Presi il certificato di nascita e la prima cosa che cercai fu il mio nome: Millicent Turner. Era la mia seconda scelta dopo Melisande e non potei fare a meno di pensare che, sotto sotto, il mio istinto aveva cercato di farmi trovare un piccolo pezzo di verità.
«Millicent» mormorai, con le lacrime agli occhi e un sorriso a incurvarmi le labbra. Non ero più Hecate, non serviva più identificarmi con quel nome che non faceva altro che ricordarmi Alpha e il suo orrendo esperimento.
I miei genitori si chiamavano Mark Turner e Josefine Gill ed erano rispettivamente agente dello SHIELD e pediatra. Quasi pregai che mi tornasse alla mente un ricordo su mia madre per riuscire a collegare a quel nome un viso ben preciso, ma dovetti rinunciarci quando mi resi conto che era tutto inutile.
Passai poi alle pagelle delle elementari e fui sorpresa nel constatare che me la cavavo piuttosto bene in matematica, mentre ero al limite dell'accettabile in arte. Qualcosa sembrò stuzzicarmi la memoria, ma svanì non appena presi in mano un piccolo plico di fotografie: erano foto di classe che coprivano una fascia d'età dai sette ai quindici anni e in tutte ero vestita con jeans e magliettina semplice, chiaro segno che l'eleganza non faceva parte del mio dna.
Trovai alcuni documenti ospedalieri che parlavano di una tonsillectomia avvenuta nel duemilatre e del seguente ricovero d'urgenza dovuto all'apertura della ferita non del tutto cicatrizzata.
«Assurdo» sussurrai, leggendo una relazione incentrata sul mio comportamento un po' troppo vivace all'età di undici anni. Riuscii quasi a immaginare mio padre prendersi tutte le colpe perché era l'unico in famiglia a cui piaceva vivere una vita ricca d'azione e ostacoli, dopotutto cos'altro c'era da aspettarsi da un uomo che lavorava nello SHIELD?
Lasciai da parte tutti i fogli che parlavano di viaggi d'istruzione e non, per concentrarmi su un modulo timbrato SHIELD e completato con una grafia piuttosto spigolosa e disordinata. Nella firma in calce riuscii a malapena a distinguere il nome di mio padre.
«Segni identificativi: cicatrice da proiettile sulla spalla sinistra e tatuaggio nel rispettivo polso» lessi, totalmente confusa. Era pressoché impossibile che mi fossi fatta una ferita del genere da piccola, chi diavolo poteva sparare ad una bambina? Hecate, ad esempio, sì. «Qualifiche: abile stratega con riferimento a Missione Mare e Venerdì 17, addestrata in svariate arti marziali quali karate, aikido e jiu jitsu, specializzata nell'utilizzo della balestra e dei coltelli.»
Nulla ebbe senso finché un ricordo mi tornò alla memoria, questa volta con una delicatezza tale che sembrò letteralmente di sognare ad occhi aperti: in una fugace sequenza di immagini rividi mio padre compilare quel modulo insieme a me, in uno dei soliti pomeriggi liberi. Rideva come un bambino mentre scriveva tutte quelle false abilità ed io lo seguivo a ruota, immaginando ad alta voce come sarebbe stato il mio futuro nello SHIELD.
«Papà sarebbe orgoglioso di me adesso» mormorai a mo' di consolazione, proseguendo nella lettura dei documenti.
I pezzi della mia infanzia erano per la maggior parte tra le mie mani, ma senza i ricordi era come avere il dipinto di un bel tramonto senza colori: piuttosto triste.
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Ombre alla deriva »Bucky Barnes
FanfictionErano passati quasi due anni da quando Hecate era stata arruolata nel MOS, un'organizzazione criminale segreta, e aveva perso ogni ricordo del suo passato. Bastarono soltanto un paio di mesi per abituarsi a quella nuova vita fatta di armi, esperimen...