12: "Direttrice James"

3.4K 154 22
                                    

L'incontro con la psicologa Gill mi aveva fatto davvero bene e ne era prova il mio umore negli ultimi giorni: le frecciatine di Sam e Clint non erano riuscite a innervosirmi, avevo insegnato a Rhodey come fare alcuni origami ed ero pure riuscita a far ragionare Steve sul fatto che, ormai, non aveva più alcun motivo per non fidarsi di me - cosa che lo rese ancora più sospettoso di prima.
Inoltre, riuscii ad avvicinarmi a Natasha, impresa non affatto facile dato che dal giorno in cui avevo ricevuto i miei effetti personali mi evitava come la peste. Dovetti insistere quasi una giornata intera per convincerla a guardare insieme un qualsiasi film spaparanzate sul divano senza troppi pensieri. Le promisi che, se avesse accettato, avrebbe deciso lei il titolo... bastò questo a convincerla.
«Pensavo fosse molto peggio» dissi, non appena i titoli di coda di Zoolander fecero capolino sullo schermo della televisione. «Voglio dire... un modello che deve assassinare qualcuno?»
Natasha alzò gli occhi al cielo e mi diede una leggera gomitata, come a voler dire che non avrei dovuto dubitare di lei. Non avevamo parlato molto durante il film e nessuno era venuto, stranamente, a disturbarci, ma già il fatto di poter ridere con lei era un passo avanti: lì tra gli Avengers avevo imparato ad accontentarmi delle piccole cose.
«Un po' come te, non ti pare?» rispose lei con un sorrisetto divertito.
«Lo so, sono bellissima» dissi, portando i capelli dietro le spalle come fanno le modelle delle pubblicità sugli shampoo.
La rossa scoppiò a ridere e in quell'istante compresi che, forse, Natasha mi era parsa sempre un po' distante perché quello era il suo modo di fare: era indubbiamente meglio non fidarsi di nessuno piuttosto che venir traditi da chi si credeva amico. Non credevo fosse una filosofia di pensiero corretta, ma aiutava senza dubbio ad evitare molte delusioni e grattacapi.
«Aspetta un attimo, tu non avevi un allenamento?» domandò Natasha, smettendo di ridere di colpo e rifilandomi un'occhiata sospettosa.
«Sì, ma Wanda doveva uscire e abbiamo rimandato» la tranquillizzai, scrollando appena le spalle. Il sorriso sornione che si dipinse quel volto della rossa mi lasciò completamente spiazzata, sapeva forse qualcosa che io ancora ignoravo? «Su, dimmi tutto!»
«Credo che esca con Visione, è da un po' che lo sospetto» bisbigliò guardandosi attorno con con circospezione, probabilmente alla ricerca di qualche collega un po' troppo impiccione - come Tony, per esempio.
Presa alla sprovvista dalla notizia, battei le mani tutta esaltata: le storie d'amore erano sempre le mie preferite, adoravo sentirne parlare e viverle sulla mia pelle, delusioni comprese. La mia vita sentimentale era ancora un mistero per me, ma negli ultimi giorni alcuni ricordi avevano fatto capolino, tant'è che ricordavo quasi perfettamente la mia ultima storia risalente alla quarta superiore e il viso del mio ex ragazzo - aveva gli occhi chiari, verdi forse, e sempre un sorriso a incurvargli le labbra. Purtroppo non sapevo come si fosse conclusa la nostra relazione, ma date le sensazioni che mi aveva provocato il ricordo, sembrava fossimo rimasti amici.
Non ero più la Hecate che aveva creato Alpha, stavo cambiando radicalmente e non potevo che esserne soddisfatta. Non avrei mai creduto che potesse esserci un'altra me dietro la facciata di crudele assassina.
«Li terrò sott'occhio, certo che lo farò!» esclamai, quasi incapace di contenere la felicità.
«Proprio questo volevo sentire! Quattro occhi sono sempre meglio di due» ammiccò lei, ora totalmente rilassata.
Rimanemmo a fare le più strampalate congetture su Wanda e Visione finché un agitato Tony Stark non venne a interromperci: guardò prima me, poi Natasha e senza smettere di torturarsi le dita chiamò quest'ultima fuori dalla stanza per avere un parere su una tale missione che ancora non potevo conoscere. Il fatto che non si fosse limitato a un semplice "Natasha, vieni fuori" mi fece pensare, sembrava una bugia davvero mal architettata.

Prendere in mano il mio fidato quaderno per leggervi la mia vita era nettamente più difficile che prenderlo per scriverci qualcosa. Era come se ne avessi paura, paura di poter rivivere i ricordi con le stesse forti emozioni della prima volta e perdermi in essi. Non che averli di nuovo nella memoria fosse tanto più facile, soprattutto se si trattava di mio padre. Ripensarci mi faceva male, ma con il passare dei giorni avevo capito che non potevo continuare a piangermi addosso... lui non lo avrebbe voluto.
D'altro canto, Fury non mi aveva più comunicato nulla dopo avermi fatto avere i famosi dossier senza foto identificative e cominciavo un po' a perdere le speranze.
Sospirai appena e aprii il quaderno alla prima pagina, dove c'era ancora scritto "Ansia sociale" bello in grande. Era passato un mese dalla mia cattura e, proprio come aveva detto Tony, non avevo quasi più problemi a rivolgermi ad uno qualunque degli Avengers. Con i pastelli blu e arancione ci disegnai sopra un paio di fiori stilizzati - e bruttini - e segnai la data del giorno, giusto per ricordarmi che i passi avanti li sapevo ancora fare.
Cominciai la lettura, inciampando ogni riga in qualche errore ortografico o in parole scritte male, e subito mi ritrovai nel giardino di casa mia con un vestitino dalle maniche appena sporche di terra. C'era la mia mamma a trapiantare dei fiori e la sua voce dolce mi rimbombava nella testa, peccato non ci fosse quasi nulla di vero in tutto ciò.
«Hecate!» sbraitò Tony, entrando nella mia stanza senza preavviso. Cercai di rimanere il più calma possibile evitando di fare smorfie strane, non doveva sapere neanche per sbaglio che mi aveva pressoché terrorizzata con la sua entrata a effetto.
«Non ho fatto nulla, non voglio andarmene!» mi difesi subito, quasi involontariamente. Quando incontrai il suo sguardo capii che c'era davvero qualcosa che non andava, ma non sembrava arrabbiato o infastidito.
«Abbiamo un appuntamento, hai vestiti decenti?» disse, cogliendomi di sorpresa. «Non fare domande, hai cinque minuti.»
E se ne andò, senza chiudere la porta della stanza però. Odiavo chi accennava a qualcosa di curioso e poi mi chiudeva la bocca impedendomi di fare qualsiasi domanda, ma obbedii comunque: l'ultima cosa che volevo era perdere la fiducia di Tony.
Indossai velocemente un paio di jeans scuri e una vecchia felpa e mi precipitai in bagno per darmi una sistemata ai capelli che, quel giorno, sembrava fossero dotati di vita loro. Prima o poi li avrei tagliati, poco ma sicuro.
Infilai un paio di scarpe e rimasi ad osservare lo smartphone che utilizzavo ben poco, serviva portarlo? Alla fine lo infilai in tasca comunque, presi il giubbotto e uscii dalla mia stanza. Il tutto a tempi record!
Trovai Tony e James che parlottavano animatamente in cucina e li sentii accennare a una missione all'estero che sarebbe andata davvero male se le direttive non fossero cambiate. Stavano davvero andando d'accordo o avevo le allucinazioni? Mi ero forse persa qualcosa di fondamentale?
«Ho fatto tutto di fretta e voi siete qui a chiacchierare?» domandai con ironia e passando lo sguardo sui due uomini. Mi resi conto che erano vestiti piuttosto eleganti, come se stessero per incontrare qualche autorità davvero importante.
«Ti stavamo aspettando» prese parola James, precedendo qualsiasi cosa volesse dire Tony. Quest'ultimo lanciò un'occhiata sospetta ai miei vestiti e accennò un sogghigno divertito che non faceva prevedere nulla di buono.
«Sa vestirsi meglio Steve che ha passato settant'anni nel ghiaccio» disse alla fine, accennando una risata. Provò a mettermi un braccio sulle spalle per farmi strada verso l'esterno del Complesso ma lo scansai in malo modo, avvicinandomi per dispetto a James.
«Dove stiamo andando?» domandai al Barnes, consapevole che da Tony non avrei ricevuto nessuna risposta.
«Ufficio newyorkese della CIA» si limitò a rispondermi, guardandomi a malapena.
«Ho combinato qualcosa? Avete deciso di incarcerarmi? Qualcuno mi vuole morta? Giuro che non ho pensato al MOS neanche per un secondo!» blaterai, gesticolando più del dovuto e ormai in preda al panico.
«Visto? Mai dare troppe informazione a questa fuori di testa» disse Tony colpendomi le mani con uno schiaffo leggero. Mi prese per una spalla facendomi voltare verso di lui. «Se vuoi davvero rimanere con noi devi essere accondiscendente con chiunque incontrerai da qui a venti minuti, chiaro?»
Annuii e nascosi le mani tremanti tra le pieghe del giubbotto che non mi ero ancora decisa a indossare. Questa volta lasciai che Tony mi circondasse le spalle con un braccio, ora James sembrava piuttosto attento ai movimenti del compare.
Appena fuori dal Complesso, ad aspettarci poggiato al cofano di un suv nero c'era un uomo vestito in giacca e cravatta. Non appena ci vide uscire si alzò subito e puntò lo sguardo su di me, studiandomi proprio come aveva fatto Tony. Cosa c'era di male in un paio di jeans e una felpa?
«È lei quindi?»
«Certo, Ross. Pensavi avessimo inventato tutto?» rispose Tony, stringendomi appena la spalla destra. Deglutii a vuoto: stavo cominciando ad avere paura.
«Sai com'è, tenere tra voialtri un'assassina non mi pare una buona scelta.»
Vidi James abbassare la testa con aria colpevole mentre l'uomo dai capelli chiari lo guardava sprezzante. Il tempo parve congelarsi in quell'istante, neanche Tony provò a distogliere l'attenzione di tale Ross dal Soldato d'Inverno. Mi dispiaceva davvero vederlo così abbattuto, sottomesso.
Salimmo quindi nel suv nel più assoluto silenzio e mi ritrovai seduta tra i due Avengers. Alla guida c'era Ross, affiancato da un altro agente della CIA dall'aria piuttosto burbera.
Puntai lo sguardo sulle mie mani ancora tremanti e sperai con tutto il cuore che non mi giocassero brutti scherzi: data l'assenza di rapporti amichevoli che avevo potuto constatare, se avessi perso il controllo sarebbe uscito un vero casino, ne ero certa.
Una mossa sbagliata e avrei perso la mia libertà, come avrei potuto uscirne viva? Messa sotto pressione avevo problemi a contenere la rabbia e i miei stessi poteri, non uscivo all'aperto da un mese e non avevo contatti con gente esterna al Complesso da altrettanto tempo: speravano davvero che potessi cavarmela?
Sospirai innervosita, pressoché incapace di mettere un freno alla serie di cataclismi che si susseguivano nella mia testa, e mi resi conto che la mia "ansia sociale", forse, non era poi così priva di fondamenta.
Cercai di focalizzare i miei pensieri sulle cose positive che mi erano accadute nell'ultimo mese e mi rividi al Complesso con Tony e Wanda mentre Alpha era soltanto una macchia indefinita in lontananza. C'erano anche Sam e Clint con le loro frecciatine, Bruce e Rhodey che cercavano di cominciare una conversazione, Natasha e Visione sempre un po' distaccati, Steve con il suo scetticismo e James con la sua maschera indecifrabile. Nonostante tutto, mi sentivo a mio agio tra di loro.
Fu un leggero tocco sulla coscia destra a riportarmi alla realtà e abbassando lo sguardo realizzai che era la mano artificiale di James a sfiorarmi appena. Non appena lui si rese conto della situazione, allontanò le dita con un movimento veloce, quasi lo infastidisse sapere che aveva toccato qualcuno.
Mi costrinsi a voltarmi dall'altra parte, altrimenti sarei rimasta a fissare quella mano per un'eternità.

Stavo rischiando un mancamento, poco ma sicuro: il cuore mi batteva all'impazzata, quasi volesse sfondarmi la cassa toracica, e mi girava la testa come se fossi appena scesa dalle montagne russe. Deglutii a vuoto quando l'agente Ross si fermò davanti ad una porta semiaperta e fece segno di entrare, ma mi obbligai a guardare dritto davanti a me senza paure.
«Buongiorno» salutò una donna dai corti capelli scuri seduta dietro la scrivania. Il sorriso che mi rivolse fu tutto tranne caloroso.
«Direttrice James» risposero cordialmente e all'unisono i due Avengers.
«Oh accomodatevi, prego» proseguii la donna, facendo cenno con la mano alle tre sedie vuote posizionate difronte a lei. Lasciai che gli altri due mi precedessero, così da non incappare in qualsiasi tipo di disguido, e mi ritrovai seduta proprio davanti alla direttrice. «Mi è innanzitutto doveroso ringraziarvi per la tempestività con cui mi avete raggiunta; sarò sincera, temevo di fare un buco nell'acqua.»
Rabbrividii appena e mi strinsi nel giubbotto che avevo addosso, avevo la sensazione che stesse per accadere qualcosa di brutto.
«Per quale ragione la CIA vuole la sua collaborazione?» domandò di getto James, indicandomi con un cenno della testa. La donna spostò lo sguardo su di me e sembrò vagliare ogni dettaglio del mio viso prima di rispondere.
«Non la chiamerei collaborazione: attualmente è in stato di fermo con una condanna pronta ad essere applicata, le sto solo fornendo la possibilità di evitarla. Niente di più, niente di meno.»
Si stava davvero parlando della mia libertà. Avevo ucciso così tante persone che avrei ricevuto come minimo un paio di ergastoli se le procedure si fossero concluse e non volevo finire in prigione per il resto della mia vita. Lo avrei meritato - me ne resi conto solo in quel momento -, ma non era questo il futuro che volevo.
«Cosa dovrei fare?» presi parola, impedendo a Tony di intromettersi. Avevo ventiquattro anni suonati ed ero io a rischiare di finire in prigione per il resto dei miei giorni, dovevo cavarmela da sola.
«Seguirai il presidente nel suo prossimo viaggio in Europa. Sappiamo che il MOS ha ricevuto ordine d'ucciderlo, il tuo compito sarà quello di proteggerlo controllando che nessuno a te familiare gli si avvicini a più di dieci metri.»
«Posso farcela» risposi pacata, annuendo vigorosamente. Non era impossibile, no? Bastava tradire i miei vecchi compagni...
«Se la situazione lo richiedesse dovrai ucciderli» continuò la direttrice, facendomi gelare sul posto. Non potevo farlo, non ci sarei mai riuscita. «Non devi né avvicinarti né parlare con loro, men che meno utilizzare i tuoi poteri. Basta una qualsiasi di queste cose e finisci al Raft per sempre.»
«Gli accordi erano che lei non dovesse partecipare a nessun tipo di missione» parlò Tony, incrociando le braccia al petto. Dalla sua espressione non riuscii a capire se fosse incazzato o più semplicemente serio.
«Qualsiasi tipo di accordo interno salta quando si parla della vita del presidente Ellis e l'unica persona che potrebbe a suo discapito opporsi è lei, non tu Stark» ribatté con fermezza la James, spostando di nuovo la sua attenzione su di me.
Fossi stata ancora sotto il controllo di Alpha avrei sicuramente rinunciato alla mia libertà per il bene della squadra, ma adesso ero Hecate e il mio bene doveva venire prima di tutto il resto.
Per un anno e mezzo avevo vissuto una vita fatta di morte, menzogne e dolore e solo nell'ultimo mese ero riuscita a capire cosa volesse dire vivere per davvero: quella missione sembrava essere il giusto passo per abbandonare definitivamente il passato.
«Sono a sua disposizione per qualsiasi incarico, direttrice James.»





Angolo autrice.
Non mi dilungherò molto, voglio solo dirvi di tenere gli occhi ben aperti perché da qui comincia la vera avventura di Hecate con gli Avengers!

Ombre alla deriva »Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora