15: "Chiamami Bucky"

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Un pomeriggio libero. Quattro ore senza il controllo pressante di Tony, senza sentirmi ripetere che dovevo impegnarmi a fondo negli allenamenti e negli incontri con la dottoressa Gill: una gioia, insomma. Non sarei stata sola, questo era ovvio, ma nessuno aveva voluto dirmi chi mi avrebbe accompagnato, lasciandomi ad aspettare sul divano.
Ero completamente sola quando arrivò un ragazzo mai visto prima, sembrava essere al tempo stesso entusiasta e timoroso. Rimasi a fissarlo in modo quasi imbarazzante finché lui non abbassò lo sguardo su di me, accennando un sorriso di cortesia.
«Chi sei?» domandammo all'unisono, per poi ridere entrambi. Fu come se un'ondata di normalità mi travolgesse, dandomi l'illusione di essere una ventiquattrenne come tante altre.
«Parker, alla buon'ora!» s'intromise Tony, entrando di fretta e furia nell'ampio salone. Vidi il ragazzo raddrizzare la schiena e incrociare le braccia al petto mentre borbottava un saluto fin troppo formale. «Vi siete già presentati? No? Bene, lei è Hecate e lui è Peter Parker.»
«È un piacere!» esclamai, alzandomi in piedi per stringergli la mano. Lui ricambiò subito il gesto.
«Ottimo, ragazzi. Vi lascerei andare da soli, ma Steve ha suggerito la presenza di almeno un adulto» continuò Tony, forse un po' troppo sarcastico nelle ultime parole. Né io né Peter gli demmo la soddisfazioni di sembrare offesi, facendogli sparire il sorriso divertito. «Okay... insomma, verrà con voi anche Barnes.»
Mi limitai ad annuire, consapevole che James avrebbe badato a me quel tanto per evitare che scappassi - non che fosse tra le mie idee - o finissi nei guai. Da quando era successo quel casino con Sam, sembrava non avesse più voglia di parlarmi, cosa che mi dispiaceva abbastanza.
«Ti va se andiamo da Starbucks? Penso sia il posto migliore per rilassarsi un po' mantenendo un basso profilo» domandò Peter, piegando leggermente la testa da un lato. Era da secoli che non mi sedevo in un bar per bere un caffè in santa pace e l'idea di farlo in quel momento e con un ragazzo normale mi entusiasmava parecchio.
«Certo, mi sembra perfetto!»

Come avevo pensato, la presenza di James quasi non si avvertiva tanto se ne stava in disparte ed in silenzio. Sembrava completamente assorto nei suoi pensieri e non obiettò nulla quando Peter spese tutte le sue forze per convincermi a entrare nel Disney Store: non che mi aspettassi granché, ma un minimo di resistenza sì dato che sarebbe stato super affollato.
«Mi spiace che tu sia obbligato a farmi da babysitter» parlai ad un certo punto, mentre Peter era intento a scattare foto a svariati set LEGO di Star Wars.
«Direi che il babysitter è qualcun altro» rispose con un sorriso divertito, guardando alle mie spalle. Dall'espressione stupita compresi che c'era qualcosa che non andava, allora mi voltai e non vidi neanche l'ombra di James. «Scherzavo, a quanto pare ci ha abbandonati.»
«Ti ricordi l'avvertimento? Non devo allontanarmi da lui» mugugnai, sospirando pesantemente. Purtroppo Tony era stato chiaro: se mi fossi allontanata da James, non avrei più messo piede fuori dal Complesso fino alla missione del Presidente ed era una cosa che volevo evitare il più possibile.
«Dai, nessuno lo verrà a sapere, vieni!» disse lui, prendendomi per mano per poi guidarmi tra la folla esagitata di bambini e genitori. Quasi travolsi una bimba e mi beccai un mezzo insulto da parte della madre che sembrava tutto tranne tranquilla.
Non opposi troppa resistenza a Peter perché, dopotutto, l'unica cosa che volevo era lasciarmi andare e vivere un pomeriggio di assoluta normalità.
«Oh mio Dio, cos'è questa meraviglia?» domandai esterrefatta, richiamando l'attenzione di Peter su una tutina con la stampa dell'armatura di Iron Man. «Ci sono davvero genitori che vestono i propri figli così?»
Scoppiai a ridere all'idea di vedere tanti bambini con addosso vestiti del genere e Peter ne approfittò per scattarmi una foto, non provò neanche a farlo di nascosto dato che lasciò il flash attivo.
«Il signor Stark ne sarà proprio contento» disse lui, probabilmente inviando l'immagine a Tony.
«Se poi mi reclude al Complesso pretendo che tu mi venga a far visita ogni giorno, chiaro?» ribattei, dandogli un buffetto sulla spalla. «Sarà meglio ritrovare James, dai.»
«Volevo vedere un'ultima cosa» bonfichiò Peter, provando a impietosirmi con la tipica espressione da cucciolo bastonato che tanto utilizzava Enoch.
«No, Peter, dobbiamo uscire e aspettare James» sbottai, forse un po' troppo convinta e mi incamminai a passo di marcia verso l'uscita del negozio.
Steve ci aveva messo Barnes alle costole perché ci controllasse e invece lui se n'era andato come se nulla fosse, senza neanche darci il minimo avviso. Sinceramente, non sapevo se ero più innervosita per il suo disinteresse o per la possibilità di vedere rovinato quel primo pomeriggio di libertà.
Una volta all'aria aperta, con Peter alle calcagna, mi guardai scrupolosamente attorno e ad una prima occhiata non individuai nessuno. Dovetti concentrarmi su ogni viso che mi passava davanti per individuare James, ora con un cappellino da baseball nero calato sul volto. Lo raggiunsi quasi di corsa, sentendo il nervoso quasi scomparire, e gli afferrai il braccio artificiale, pronta a fermare qualsiasi suo scatto.
«James!» lo richiamai, facendolo voltare. Mi guardò sorpreso, ma non provò neanche ad alzare un dito. «Credevamo te ne fossi andato!»
«Ho ricevuto una chiamata e li dentro non sentivo nulla» si scusò, mostrando il telefono che stringeva ancora nella mano destra. Arricciai appena il naso, forse un po' infastidita da quell'affermazione che sembrava tutto tranne che la verità, e alzai le spalle, abbandonando l'idea di impuntarmi sulla cosa.
«Ehi, cos'hai lì dentro?» domandò Peter, rompendo la tensione che cominciava a crearsi e indicando la borsa di plastiche che James reggeva con la mano sinistra. Abbassai lo sguardo su essa anch'io, ma non riuscii a identificarne il contenuto.
«Affari miei, grazie.»
«Avresti dovuto controllarci e invece sei andato a fare compere, non credo che gli altri sarebbero molto felici di saperlo» rincarò Peter, picchiettandosi il mento con l'indice. Abbozzai un sorriso tirato, quasi non riuscivo a credere alla sfrontatezza di quel ragazzo.
«Oh, Starbucks! Che ne dite se andiamo a bere qualcosa?» domandai velocemente, in un ultimo tentativo per cambiare argomento di conversazione... avessero continuato, avrebbero senza dubbio cominciato a litigare.
Afferrai entrambi per le braccia e mi incamminai verso il caffè, al solo pensiero di un bel Frappuccino al cioccolato mi venne l'acquolina in bocca.

Ombre alla deriva »Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora