3: "Ritirata, ritirata!"

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Pensavo d'aver schivato la parte del decorso postoperatorio che prevedeva la perdita del controllo, dopotutto era passata quasi una settimana da quando mi ero risvegliata e non avevo riscontrato nemmeno il più piccolo effetto collaterale.
Evidentemente avevo cantato vittoria troppo presto.
Capitò durante una notte come tante altre, la pioggia batteva sui vetri e la nuova tipologia di allenamento mi aveva sfinita come mai prima d'allora. Feci un incubo, sognai di essere di nuovo tra le mani di Spettro e Fort, solo che questa volta le torture erano anche peggiori. Per la prima volta vidi i miei genitori - il volto distorto, impossibile da riconoscere - e bastarono due colpi di pistola per farli sparire.
Mi svegliai urlando, le lacrime mi rigavano le guance e le mani si muovevano come dotate di vita loro. Distrussi la scrivania, le due sedie, l'anta del vecchio armadio, il lampadario che stava appena sopra il mio letto e poi Fort entrò nella stanza, buttando letteralmente giù la porta. Frantumi di arredamento gli volarono addosso mentre le stesse immagini si ripetevano senza sosta nella mia testa. Perché Alpha non si decideva a togliermi questi ricordi?
«Era solo un incubo» gridò Fort, scuotendomi così forte da togliermi il fiato. Pezzi di mobilio precipitarono al suolo e mi ritrovai a battere i denti, quasi terrorizzata di fare ancora qualcosa di sbagliato.
Piano, senza fare movimenti troppo affrettati, Fort avvolse le braccia muscolose intorno alle mie spalle e mi attirò a sé. Soffocai le lacrime contro la sua spalla mentre mi accarezzava la testa con delicatezza, non credevo avesse tanto tatto.
«Mi dispiace» mormorai, alzando le mani all'altezza del mio viso. Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto, ma vivere la situazione era tutt'altra storia. «Vedrò di sistemare tutto, scusami.»
«Non importa, stai bene?»
«Sì, solo un incubo» risposi sciogliendo l'abbraccio e tirandomi indietro. Non credevo di essere così debole mentalmente, pensavo che aver ucciso così tante persone mi avesse in qualche modo temprato dato che prima d'allora sogni del genere li facevo assai di rado. Vidi l'espressione incuriosita di Fort e con un sospiro decisi di fargli un brevissimo riassunto. «Ho visto te e Spettro, sai, ho vissuto l'esperienza piuttosto male. Poi c'erano... c'erano i miei genitori. Non li ho visti in faccia, ma sentivo che erano loro.»
«Non faccio altro che pensare a quello che ti ho fatto, mi sento così in colpa! E sapere che vedendomi provi paura mi fa ancora più male.»
«Passerà, ne sono sicura. Sei sempre stato come un fratello maggiore e sono convinta che prima o poi il mio istinto se lo ricorderà» cercai di consolarlo, allungando una mano per stringere la sua. Non avevo idea del perché Alpha li avesse istigati contro di me e nemmeno tentai mai di chiederglielo, avrei sicuramente ricevuto una strigliata.
«Conviene che ti passi piuttosto in fretta, abbiamo la terza parte della missione e non possiamo permetterci errori o incomprensioni.»
Spettro e un'altra ombra erano riusciti ad entrare nella sede degli Avengers quasi senza difficoltà, era bastato fingersi nuovi membri dell'impresa di pulizie di fiducia - copertura, a mio dire, piuttosto stupida e troppo facile da smascherare.
Nonostante le mie idee, erano riusciti a piazzare innumerevoli cimici che avevano trasmesso efficacemente ogni singola parola dei supereroi al nostro attuale datore di lavoro. A quanto pareva, però, avevano smesso di funzionare e le informazioni necessarie erano incomplete.
L'attuale target era il presidente Ellis, mai un nostro obiettivo era stato cosi protetto, e dovevamo rubare i dati sui suoi spostamenti proprio dai computer degli Avengers. Da quanto avevo capito, alcuni di loro avrebbero fatto parte della sua scorta personale per un futuro viaggio all'estero.
Per prendere le informazioni senza problemi serviva un diversivo e quale migliore di un attacco da un'organizzazione sconosciuta?
«Non dubito della nostra preparazione, ma siamo davvero pronti per affrontarli?»
Fort si alzò e cominciò a vagare per la stanza, raccolse un paio di pezzi di armadio e me li lanciò letteralmente addosso. Mi bastò un gesto della mano per farli cadere accanto a me, gli lanciai un'occhiataccia e lui scrollò le spalle con un sorriso divertito.
«Tu sicuramente sì. Alla fin fine non serve vincere, basta tenerli occupati e non farsi catturare.»
Aveva ragione, potevamo farcela senza alcun problema se riuscivamo a tenerli a bada anche solo per quindici minuti.

Ombre alla deriva »Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora