36: "Bentornata a casa!"

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Avevo paura. Paura di non esser più vista come la Millicent di sempre, paura di non essere più utile alla squadra, paura che la mia decisione di andarmene dal Complesso da lì a poco tempo non fosse accettata. Avevo paura di molte cose, in quel momento, ma non potei evitare un grosso sospiro di sollievo nel vedere la sagoma dell'imponente edificio comparire dietro gli alberi. Mi mancavano terribilmente gli Avengers, erano diventati la mia nuova famiglia allargata e sapere che da lì a pochi minuti avrei potuto riabbracciarli mi dava una felicità immensa.
Non era la prima volta che provavo emozioni così contrastanti tra loro, ma solo in quel momento mi resi conto di quanto strana effettivamente fossi anche senza poteri: di certo non mi serviva qualche luminescenza colorata attorno alle dita per essere un po' fuori dalle righe e ne erano la prova, ad esempio, quei due anni di allenamento intensive che m'avevano privato dei ricordi, ma dotato di un'impressionante consapevolezza.
Lanciai un'occhiata a Bucky che sedeva sul sedile dietro il guidatore e abbozzai un sorriso nel vederlo ancora addormentato: probabilmente era stato lui quello che aveva patito di più in quel mese in Wakanda; tornare nel luogo in cui era riuscito a tornare in sé - niente più modalità assassino, come mi piaceva chiamare quel suo piccolo "problema" - superando chissà quante visite e sedute psicoterapeutiche, non doveva esser stato facile... soprattutto se si considerava il fatto che stava accompagnando una persona perché subisse un percorso molto simile.
Per quanto volesse fare l'uomo forte, l'invincibile soldato pronto a farsi carico dei problemi altrui, sapevo perfettamente quanto avesse bisogno d'affetto e proprio per questo, accantonando per un po' il malessere, avevo sempre cercato di stargli accanto per amarlo al massimo delle mie possibilità.
«A quanto pare non mi è permesso entrare, devo lasciarvi qui» disse il tassista, interrompendo il flusso di pensiero. Spostai lo sguardo sul cancello della proprietà e annuii assente, mentre già cercavo il portafoglio all'interno della borsa.
«Ehi, James» cercai di svegliare il bel addormentato, scuotendolo per una spalla. Spalancò gli occhi all'improvviso, si guardò velocemente attorno e poi la sua espressione si addolcì; avrebbe mai perso quella sua urgenza di cercare il pericolo attorno a lui? «Tenga pure il resto, è stato davvero molto gentile.»
L'uomo di mezza età alla guida accettò il denaro di buon grado, abbozzando un sorriso impacciato e forse pure imbarazzato.
«Non si preoccupi per i bagagli, facciamo noi» disse Bucky, dopo essersi tolto tutto il sonno di dosso con una scrollata di spalle. Il tassista, che stava per scendere dall'auto, tornò ad accomodarsi e chiuse la portiera.
«Oggi mi va di lusso, allora. Probabilmente siete i migliori clienti che abbia mai incontrato in dieci anni di attività» rispose lui, accennando una risata.
Ringraziai il cielo d'aver scelto dei trolley anziché valige senza ruote perché, altrimenti, non ce l'avremmo mai fatta a portare tutto in una sola volta e il Cielo solo sapeva quanto ero stanca in quel momento.
«Buona vita, ragazzi» salutò l'uomo, poco prima che il cancello si richiudesse dietro di noi.

La porta era aperta ed uno strano silenzio aleggiava in quella parte del Complesso, era pressoché impossibile una situazione del genere per due motivi ben precisi: Wanda era una maniaca dell'ordine e odiava vedere le cose fuori posto e il binomio Avengers-quiete sembrava più un ossimoro che la realtà dei fatti.
Incrociai lo sguardo preoccupato di Bucky, allora era una perplessità condivisa! Mi fece cenno con la testa di lasciare immediatamente i trolley e mi invitò ad avanzare con cautela, un piccolo passo alla volta. Lo seguii ubbidiente, rimanendo dietro per coprirgli eventualmente la schiena, e riuscimmo ad arrivare alla fine dell'androne senza sentire nessun rumore sospetto. Poi, però, un sonoro "crack" ci fece gelare sul posto. Spalancai gli occhi allarmata, cosa diamine stava succedendo?
«Riesci a vedere qualcosa?» sillabai, evitando qualsiasi suono, e gli indicai quel poco che si vedeva del salotto dalla fessura.
Lo osservai avanzare di due passi, aprire la porta quel tanto che bastava per passarci e scomparire nel buio. Aspettai con l'adrenalina a mille e i muscoli pronti ad un eventuale scatto, ma non tornò. Mi aveva seriamente abbandonata lì?
Mi ci volle un po' di dibattito come me stessa per trovare finalmente il coraggio di farmi avanti per scoprire cosa stava succedendo... chi l'avrebbe mai detto che avrei avuto un ritorno a New York così frizzante!
Varcai la soglia e fui subito accecata dall'improvviso accendersi delle luci del grande salotto: chiusi d'istinto gli occhi, mi portai le mani al volto per contenere il più possibile gli effetti di quel repentino cambio di luminosità e fui assordata dalle voci degli Avengers che mi davano il bentornato. Sbirciai l'ambiente tra le dita e quando realizzai che erano proprio loro, tirai un un grosso sospiro di sollievo atto soprattutto a calmare il battito accelerato del mio cuore: non mi sarei mai abituata a rumori così forti e improvvisi.
Non ebbi nemmeno il tempo di guardarmi bene attorno che mi ritrovai tra le braccia di Wanda.
«Mi sei mancata tantissimo» si limitò a sussurrare, la voce forse incrinata dall'emozione. Le diedi un paio di colpetti leggeri sulle spalle a mo' di rassicurazione, incapace di formulare una frase di senso compiuto che potesse davvero rincuorarla.
Ero rimasta piacevolmente sorpresa da quel bentornato organizzato con tanto di bibite - individuai subito qualche bottiglia di alcol, mi sarei stupita della loro assenza -, salatini, cioccolato e caramelle. C'erano pure dei piatti poggiati al centro del tavolo, che ci fosse pure una torta ad attendermi?
Passai i successivi cinque minuti a stringere le mani di tutti i miei compagni e a rispondere alle loro domande che, giustamente, vagavano sempre intorno allo stesso argomento: se n'erano davvero andati i poteri? Non c'erano tutti i supereroi; gente come Thor, Scott, il dottor Strange - di cui conoscevo a malapena il volto - e Peter erano assenti, ma, nel profondo, l'unica persona che mi dispiacque non vedere era il giovane Spider-man.
«Oh, ma guarda chi si rivede» borbottò sarcastico Tony, quando mi ritrovai libera da qualsiasi possibile interlocutore. Alzai le sopracciglia dubbiosa, come a sfidarlo nel continuare con quell'atteggiamento, ma mi tolse letteralmente ogni parola di bocca quando, anche lui, mi strinse in un forte abbraccio. «Sono contento di riaverti qui.»
Mi lasciai cullare da quella stretta che sapeva di casa e famiglia e per un attimo sperai che il tempo si fermasse, così da poter recuperare tutto il tempo perso. Mi piaceva Tony, mi era sempre piaciuto il suo essere schivo ma con l'animo prono a sacrificarsi per il bene altrui prima che per il proprio. Avrei voluto essere un po' come lui.
«È andato tutto bene? Hai accennato a certi effetti collaterali, bisogna prendere qualche provvedimento?» s'interessò subito, non appena fece un passo indietro per liberarmi dalla stretta delle sue braccia.
«Be', a quanto pare pure il mio organismo sa rompere le palle quando vuole» ridacchiai, in un banale tentativo di alleggerire la situazione perché non mi andava di rinvangare troppo quel piccolo particolare quando finalmente stavo bene - o quasi. «Scherzi a parte, avrò soltanto bisogno di continuare le sedute con Rachel sia per cercare di accogliere al meglio tutti i ricordi che torneranno sia per l'assenza di poteri che, a quanto pare, potrebbe trascinarmi in un pozzo di depressione e sfiducia.»
«Oh, quindi posso disattivare qualsiasi controllo di Friday?»
«Cosa?! Sei fuori di testa?» sbottai, colta di sorpresa e anche un po' ferita. Va bene, non ero mai stata chissà che agnellino - il quasi assassinio di Sam ne era una prova più che tangibile -, ma arrivare a tal punto? Sembrava un vero e proprio affronto.
«Su, calmati un attimo, mica ero serio... li ho disattivati prima della tua partenza per il Wakanda» tentò di recuperare, abbozzando uno dei suoi soliti sogghigni. Lo gelai con un'occhiata sprezzante, incapace di vedere la situazione dal suo punto di vista, ed in risposta ottenni una sua grossa risata. «Stavo scherzando, Millicent! Sono rimasti attivi per ben poco tempo.»
«Ti odio quando fai così, sappilo» borbottai, incrociando le braccia al petto, e il mio sguardo cadde su Bucky che parlottava in disparte con Steve e Sam. Un sorriso tradì qualsiasi mio pensiero ed espressione fintamente arrabbiata perché Tony m rifilò una leggera gomitata sul costato.
«Dai, non ti ha ancora chiesto di sposarlo?» domandò, facendo cenno con la testa proprio verso il trio che avevo appena adocchiato. Dalle labbra mi scappò un verso a metà tra una risata strozzata ed uno sbuffo innervosito che non gli sfuggì, portandolo evidentemente sulla strada sbagliata. «Vi siete lasciati? Guarda che se ti ha fatta stare male lo disintegro, eh.»
«Andremo a vivere insieme, fuori di qui» dissi tutto d'un fiato, abbassando la voce a poco più di un sussurro in modo tale da non farmi sentire dagli altri. Lo avrei comunicato pure a loro, certo, ma a tempo debito... tra tutti, la mia priorità rimaneva comunque Tony.
«Okay, sei riuscita a prendermi alla sprovvista» rispose lui, storcendo appena il naso. Deglutii un fiotto di saliva nel vederlo così poco coinvolto perché si stava proprio realizzando uno dei finali che m'ero immaginata e non volevo che Tony fosse deluso di me. «Però sono sicuro sarà un ottimo modo per ricostruirti una vita lontana dal controllo dello SHIELD... anche per lui. Certo, mi mancherà non punzecchiarvi ad ogni ora del giorno, ma credo sia giusto che facciate questo passo adesso che si è tutto sistemato, perlomeno per vedere se funziona davvero così bene.»
«Quindi non sei arrabbiato?» domandai incredula, accantonando l'ennesima frecciatina che gli aveva fatto spuntare un sogghigno in viso. Mi guardò stupito e forse un po' perplesso e parve soppesare le parole prima di prorompere in un «Sei fuori di testa?!» che tanto assomigliava a quello che gli avevo precedentemente detto - con tanto di tono più acuto per imitarmi. «Pensavo che... non so... non ti andasse bene.»
«Pensavo fosse implicito che, finché sei felice tu, qualsiasi cosa mi va bene» rispose con noncuranza, scrollando pure le spalle come se avesse appena detto una cosa da niente.
«Ti voglio bene» mormorai, stringendolo in un forte abbraccio che, ne ero certa, attirò l'attenzione di minimo un paio di persone. Chiusi gli occhi nel tentativo di fermare le lacrime che avevano cominciato ad inumidirmi gli occhi: sfortunatamente avevo scoperto di essere fin troppo emotiva quando si parlava di persone a me care e la cosa mi portava ad emozionarmi anche per la più piccola sciocchezza.
«Ti voglio bene pure io, Millie.»

Alla fine, la mia intuizione si rivelò essere realtà e potei mangiare una deliziosa torta al triplo cioccolato con tanto di "Bentornata a casa!" scritto elegantemente sulla superficie lucida. Tutto ciò era definitivamente uno dei miei sogni proibiti.
«Ho sbagliato pantaloni» borbottò Bucky, lanciando un'occhiata innervosita verso la cinta dei jeans seminascosta dalla felpa nera - più blu scuro, secondo me, ma lui insisteva sul fatto che fosse nera. Lo guardai perplessa, incapace di dire se la sua uscita fosse dettata dal nervosismo o una vera e propria affermazione. «Non ci sono le tasche e neppure il maglione ce le ha, quindi non posso nascondere la mano.»
«Ancora?» sbottai, forse un po' troppo aggressivamente. «Non dovresti porti questo problema, te l'ho già detto, è una parte di te e se gli altri sono così stupidi da giudicarti per questo... be', sono loro a perderci, non di certo tu.»
Mi circondò le spalle con il braccio artificiale per attirarmi a sé e mi stampò un bacio sulla fronte, indugiando poi prima di darmene uno a fior di labbra. Gli sorrisi, sperando non aver esagerato con quel mezzo rimprovero, e accelerai il passo finché mi ritrovai a poco più di un passo da quella che, forse, sarebbe diventata la nostra nuova casa.
Dopo giorni di attesa avremmo finalmente potuto vedere dal vivo l'appartamento che ci aveva conquistati e, soprattutto, questa sarebbe stata la nostra unica occasione per convincere la signora Sanders che eravamo noi due i perfetti inquilini per la sua proprietà.
Fu James a bussare e poi la sua mano corse alla mia, per intrecciare le dita.
La porta si aprì con due secchi schiocchi e dallo spiraglio che si venne a creare riuscii a vedere una donna sulla cinquantina dai corti capelli biondi ed un amabile sorriso ad incurvale le labbra. Non potei fare a meno di sentirmi un po' in soggezione davanti a lei perché sapevo benissimo che sarebbe bastata anche solo una frase fuori posto per precluderci ogni via.
«Oh, benvenuti! Accomodatevi pure» esclamò lei, spalancando la porta e allargando il braccio destro verso l'interno dell'abitazione.
Incrociai lo sguardo di Bucky un attimo prima di varcare la soglia e avrei tanto voluto dirgli che, in quel preciso istante, ero probabilmente la donna più felice del mondo e gran parte del merito andava a lui, ma mi bastò un suo cenno d'assenso per capire che non servivano ulteriori parole. Lui sapeva già.






Angolo autrice.
A quanto pare sto recuperando la capacità di aggiornare con regolarità, che splendida notizia! Peccato questo sia il penultimo capitolo... quantomeno spero di postare l'epilogo prima degli esami, cosa che è più facile da dire che da fare considerando la mole di studio acquattata dietro l'angolo.
Tralasciando 'sti soliti discorsi da maturanda ansiosa, come procede a voialtri? Avete già piani per questa estate? Sempre che 'sto caldo si decida ad uscire!
Questo capitolo è un po' così, diciamo una sorta di "passaggio" per  un futuro (forse) molto più radioso e felice... non ci resta che aspettare l'epilogo.
Se notate errori, segnalate pure!

Ombre alla deriva »Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora