41.Incinto.

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Matteo, dopo un settimana, non era ancora tornato, e contrario alle mie supposizioni, io e Massimo stavamo ancora insieme. Non era quello che volevo. Non era chi volevo. E me ne accorgevo ogni secondo in più con Nick.
«Giò? Ho un problema.» mi chiamò dall'altra stanza.
«Che c'è?»
«Sono...» S'interruppe, per poi iniziare a balbettare.
«Cazzo fai, inizi a buggare?» Risposi scocciato.
«No, cioè, Giò, sono incinto.» Ma che cazzo fuma?
«Incinto?»
«Sì, ho un bambino.»
«Se c'è l'hai vicino, dietro, in macchina, o chissà dove, non vuol dire che tu sia incinto.» Dissi sbuffando.
«No, ma dai, cazzo, potresti fingere di caderci!» me ne andai di nuovo a sistemarmi la cresta: volevo uscire un pò di casa, non lo facevo da quando c'eravamo fidanzati. Cioè praticamente sei giorni. La mia stessa aria mi opprimeva.
Lo salutai e scesi di corsa le scale.
Mi diressi verso uno dei centri commerciali di quella zona. Ero solo, e la cosa mi dava fastidio. Iniziai a scorrere col dito nella mia rubrica, per trovare qualcuno da chiamare. Uno dei numeri più chiamati, era quello di Giulio. Ma in quei giorni, quelli prima del litigio, lui non mi aveva risposto. Poi avevamo litigato, e quindi, non lo avevo più sentito, se non sui suoi post.
E, poi, porcodue, parli del diavolo, e spuntano le corna. Eccolo lì, a comprare una delle sue inguardabili felpe.
Entrai in quel negozio, per comprare una felpa della Trasher. Ma chi voglio fottere? Ero entrato per lui. Mi avvicinai ad una felpa carina. Allontanai il mio braccio da corpo, istintivamente. Sentì una presenza calda, subito, vicino il mio arto.
Mi girai. Si era aggrappato al mio braccio. Maccheccarino!!
«Che cazzo di paura!» Esclamai.
«Scusa, non volevo. Io, non so perché l'ho fatto. Ne avevo bisogno. E poi tu... E tipo io... Mi mancava. Il tuo braccio, intendo. Scusa, me ne vado.» Balbettò
«Giù? Calma.» Non riuscivo ad essere arrabbiato con lui.
«Io...»
«Calmati.»  Mi guardò, con gli occhi lucidi, e mi abbracciò. Sentì la mia felpa inumidirsi. Piangeva?
«Cazzo Giulio, che succede?»
«Tipo te, che non ci sei. Tipo Mattia che mi ha abbandonato. Tipo mamma che è morta.» Disse singhiozzando.
Mi inginocchiai alla sua altezza, e proprio come si fa con i bambini, gli asciugai le lacrime.
«Io lo sapevo. È solo un succhiacazzi di merda, quello.»
«Io gli volevo bene.» ignorai quella frase.
«Dai, piccolo, ci andiamo a prendere un caffè? » Proposi calmo. Era passato poco, e già quel piccolo, era parte della mia vita.
Mi riabbracciò.
«Giorgio. Grazie.»

 Twitter; MoslowDove le storie prendono vita. Scoprilo ora