49.Pianti

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«Giulio?» Lo svegliai allungando la 'o'. Mugolò qualcosa mentre si stiracchiava.
«Mi lasci dormire?» Disse freddo, passando le sue morbide e calde mani tra i suoi morbidi ricci.
«Giù...» sussurrai.
«Sai che ti dico? Hai ragione, me ne vado.» Disse frettoloso.
«Cosa? No! Voglio far-» Provai. Mi guardò titubante.
«Giò, mi hai fatto stare una fottutissima merda per una cazzata. E tu? Ti fai il primo che passa! Va a fanculo. Mi raccomando, però eh, non farlo letteralmente. Che poi si sfonda.» Sapevo, ero certo, che fosse arrabbiato, ma non credevo che dicesse quelle cose. Aveva ragione, ed io, avevo appena capito cosa avesse provato quel giorno in cui lo cacciai di casa.
«Giulio, tu resti qua.» Il mio piano di essere forte e farmi perdonare, era andato a puttana. Quella frase, la dissi lentamente, con il cuore in gola. Ma quello che provare a dimostrare, non lo convinse, anzi, sì girò e prese il suo telefono.
«Ma come cazzo ho fatto ad innamorarmi di te?» Ripeteva mentre ammucchiava la sua roba.
«Non dovevo seguirti su Twitter.» continuò, le gambe mi cedettero e crollai sul letto.
«Sei uno stronzo.» con le gambe penzoloni, il cuore in frantumi, strinsi i palmi delle mie mani sulla mia faccia.
«Devi morire.» Iniziai a singhiozzare lentamente. Le lacrime mi offuscavano la vista. Non sentivo più niente se non il rumore delle mie gambe che sbattevano sul ferro del letto. Probabilmente Giulio se ne era andato. Sentì la serratura della porta nella mia stanza, scattare. Ok, è finita. Mi venirono in mente tutte le mie canzoni più tristi: Mondo Cane, Nave Fantasma, Lettera D'Addio, Sabato Sera, E Fumo Ancora, Sento, Il Meglio Del Peggio, Non Perderò...
Iniziai a singhiozzare più forte.
Provai ad alzarmi, ma delle piccole braccia mi fermarono. Mi abbracciarono e mi strinsero forte.
«Vattene!» Gli urlai contro singhiozzando. Non avrei convinto nessuno, e, infatti non lo convinsi.
Mi tolse le mani dal volto, prese il mio capo tra le mani e mi bacio. Un brivido si propagò dalle mie labbra, fino al mio cuore.
Si staccò:
«Scusa per quello che ho detto.» mi sussurrò asciugando le lacrime che scendevano ancora copiose.
«Giulio...» dissi con un tono così basso, che cazzo, non avevo sentito nulla nemmeno io.
«Giulio faccio schifo, vattene. Ti prego. Non voglio farti più male.»
«Giò, mentre dormivo, hai fumato?» disse stupefatto, confondendomi.
«No, perché?» dissi smettendo di piangere per qualche istante.
«Dici le classiche cazzate da drogato depresso figlio della minchia. Riprenditi, Cristo! Ho esagerato prima. Ma hai sbagliato, più di quanto io non abbia mai fatto. Io ti amo, non voglio vederti morto. Al massimo voglio vederti urlare il mio nome sotto di me, mentre ti scopo a sangue.» affermò facendomi l'occhiolino. Iniziai a ridere di gusto, in un modo quasi isterico, senza un motivo, mentre lui mi fissava scorrendo coi pollici sulla mia faccia, per rimuovere qualche lacrima stantia sul mio viso.
«Giorgio, questo non implica che io ti perdoni così velocemente. »Si alzò e mi diede un bacio sulla fronte.
«Io... È meglio se me ne vado. » Non risposi e lo guardai andare via insieme ad un pezzo di me.

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*Comuque, questo è il mio capitolo preferito.
Nella mia classe, la lezione di Civiltà, è così importante che sei di noi si sono addormentati e io non la smettevo di sbadigliare. Però sto al primo banco, fila centrale, quindi niente pisolino secolare.*

 Twitter; MoslowDove le storie prendono vita. Scoprilo ora