Capitolo 33

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Eren
<<Isabel è la madre di Jude?>>
Il silenzio cala improvviso nella stanza.
Il viso di Levi, in un'espressione di puro stupore, continua a fissare esterrefatto il foglio.
Jude alza il viso dalla spalla di mia madre e, dopo aver visto la lettera fra le mani di Levi, con occhi improvvisamente spalancati, allunga la mano verso di lui.
<<RIDAMMELA È MIA!>> urla, ancora con le lacrime agli occhi, con voce tremante.

Si slega dalla presa di mia madre e corre verso Levi che, immobile, si fa rubare il foglio di mano.
È ancora sconvolto a fissare il punto in cui stava il foglio, prima che gli venisse rubato.
<<È mio...>> fa piangendo a dirotto Jude, stringendo il foglio al petto con tutta la sua forza.

Io sto immobile, con la mente piena di domande che, a quanto pare, per ora non avranno risposta, visto il silenzio glaciale che continua a regnare nel salotto.
Viene rotto solamente dopo qualche minuto, dalla voce squillante di Hanji.
<<Senti Levi... so che devi sentirti molto scosso ma...>> inizia, ma si blocca quando Levi si alza all'improvviso.
<<Sto bene>> fa solamente, alzandosi lentamente dal divano sotto lo sguardo di tutti e salendo al piano superiore a passo felpato.

Il silenzio cala nuovamente nella stanza, un silenzio assordante, ma non imbarazzante, semplicemente siamo tutti troppi scossi per dire qualcosa.
Ho già sentito parlare di Isabel, ma chi è? Conosceva Levi? È morta? È la madre di Jude, come faceva a conoscere Levi? Perché è rimasto così scosso?
Le mie domande si interrompono nel momento in cui Erwin, con espressione malinconica, poggia una busta sul tavolo, silenziosamente, e parla.
<<Noi andiamo, credo che ora non voglia vedere nessuno. Lasciamo qui il regalo di Levi, più tardi dateglielo>> fa semplicemente, avvicinandosi alla porta d'ingresso seguito da Hanji.
<<Regalo?>> domando spontaneamente, senza nemmeno accorgermi di aver parlato.
<<Sì, del compleanno no? Il 25 Dicembre... comunque, ci scusiamo per il disturbo. Noi andiamo, arrivederci>> rivolge l'ultima frase a mia madre, immobile ancora sul pavimento, che annuisce.

La porta si chiude alle spalle della castana che mi lascia con un'ulteriore domanda nella testa, in un groviglio di dubbi ed incertezze.
Il suo compleanno?
<<Jude, vieni qui>> dice mia madre dopo poco, aprendo le braccia e accogliendo il piccolo corpo di Jude, in lacrime, con la lettera ancora stretta al petto.
<<Io... vado...>> dico dopo poco, strascicando le parole.

Salgo velocemente al piano superiore e, quasi senza accorgermene, mi ritrovo di fronte alla stanza del mio maggiordomo.
Rimango fermo di fronte a quest'ultima.
Se sei rimasto così ferito da quella lettera, significa che Isabel per te era importante. Cosa le è successo? Lei era qualcosa per te? Lei è qualcosa per te?
Anche se già lo sapevo, in questo momento, di fronte a questa porta bianca, mi rendo conto più che mai di quanto poco io sappia di te.

Poggio lentamente la testa sul legno della porta e chiudo gli occhi tentando di aguzzare i sensi per captare ogni minimo movimento dall'altra parte.

Questo è l'unico modo che ho per avere un contatto con te? Io non sono nessuno, io non faccio differenza.
Questa porta rappresenta il muro che hai costruito fra te e tutto il resto del mondo, delle persone.
O forse Isabel poteva sorpassarlo?
Io non so chi siamo, cosa ci lega, tutti quei baci, quelle carezze, quei tocchi delicati, quegli sguardi.
Sì, gli sguardi.

Se ci penso a quante volte ci siamo guardati a vicenda, siamo affogati l'uno negli occhi dell'altro, ci siamo osservati intensamente, e poi abbiamo sorriso.
La vedevo, anche se quasi invisibile, quella traccia di un sorriso sul tuo volto.
Ero felice solamente così, è sempre stata una delle cose più belle che faccio con te.
Ci guardiamo e basta.

Eppure adesso hai innalzato questo muro. Non posso romperlo, non ne ho la forza.
Quando mi guardavi sembrava che ogni muro fosse stato distrutto.
Solo noi due, da soli, a guardarci, toccarci, sentirci.
Dio, quanto ero felice.
Ma chi mi vieta di esserlo ancora?
Io voglio tornare a quei momenti, e, nonostante tu non abbia detto nulla, nonostante siano passati solo pochi minuti dal nostro ultimo sguardo, mi sembra già tutto finito, lontano irraggiungibile.
Voglio riaverlo, e farò di tutto.
Posso distruggere questo muro, perché ti amo. Anche se io non posso curare tutte queste tue ferite, anche se io non sono niente per te, solo un inutile moccioso, farò di tutto per non vederti triste, hai già sofferto abbastanza, lo vedo dai tuoi occhi, voglio cancellare il tuo dolore.

Apro la porta in un'attimo, facendomi forza e trovando il coraggio, più determinato che mai, trovandomi di fronte alla figura di Levi, seduta sul letto, di spalle.
Mi avvicino a passo lento, cercando il suo sguardo.
<<Vattene>> sento solamente da parte sua, una parola secca, detta con tono freddo, gelido.
Mi guarda, gli occhi vuoti, la tempesta sempre incombere in quel grigio cenere.
<<Levi...>> sussurro, il suo volto è inespressivo, come sempre, ma i suoi occhi sono diversi. Come la prima volta che l'ho visto, dopo dodici anni.
Quando dolore, in quegli occhi.

<<Vattene moccioso, non ho bisogno di te>> fa ancora, sempre più duro.
Io continuo ad avvicinarmi e, lentamente, mi siedo sul letto.
Vorrei fare tante domande in questo momento, ma sento che non è il momento giusto.
Le risposte possono anche tardare, o anche non arrivare mai, in questo momento voglio solo aiutarlo ad uscire da questo vortice di sofferenza.
<<Levi... puoi mostrarmelo>> sussurro, continuando a guardarlo.
Mi riferisco al suo dolore, ma credo che lui lo abbia capito, dal mio sguardo.
<<A me... puoi mostrarlo...>> continuo a sussurrare, avvicinandomi alla sua figura.
Tendo una mano verso la sua spalla e, tentando di nascondere il mio tremore, la poggio su quest'ultima.

Stringo il tessuto della giacca e, con movimento lento, avvicino il suo corpo al mio, facendo poggiare la sua testa sul mio petto.
<<A me puoi mostrarlo>> dico, questa volta più sicuro.
Il silenzio cala nella stanza per qualche secondo, fino a quando un singhiozzo non rompe la quiete.
Calde lacrime bagnano la mia maglia, il mio braccio stringe il corpo del corvino, cercando di dargli il mio sostegno con una stretta.
Io ci sono, ci sono, ci sono.
L'unica cosa che riesco a vedere è la sua nuca, eppure, attraverso le sue lacrime, riesco a sentire tutto ciò che prova.
È così strano, sembriamo in qualche modo connessi.

Poggio le labbra sui suoi capelli corvini, chiudendo gli occhi e stringendolo più forte ad ogni singhiozzo.
Non servono discorsi.

Io ci sono, ci sono, ci sono.

Questo mio pensiero... gli sarà arrivato?

Spazio autrice
Che depressione... sto guardando Harry Potter e il principe mezzosangue... è per questo che questo capitolo è così deprimente...
SCUSATE IL RITARDO NON SONO SCOMPARSA.
Il problema è che sono stata impegnata il weekend e anche Lunedì... scusate, davvero.

Visto che domani ricomincia scuola (da me, a Roma, fino a ieri è stata chiusa a causa della neve) volevo darvi una piccola gioia aggiornando (una piccola gioia un pó deprimente però ok).

Ora vi lascio, buonanottee^^
Baci,
Autrice.

My butler | ERERI/RIRENDove le storie prendono vita. Scoprilo ora