Capitolo 8

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Levi
<<Levi, mi odi?>> chiede sussurrando, dall'altra parte della porta.

Rimango in silenzio.
Si, ti odio.
Ma non riesco a pronunciare queste semplici parole.

Ti odio perché mi fai capire che tipo di persona io sia.
Ti odio perché i tuoi occhi riescono a scrutarmi dentro, più di quanto lo facciano gli altri, e più di quanto io voglia.
Ti odio perché hai degli amici, con cui passare le serate.
Ti odio perché hai una madre, che si occupa di te.
Ti odio perché sei sincero, sempre.
Ti odio perché sei ingenuo, non conosci ancora il male.
Ti odio perché riesci ancora ad innamorarti.
Ti odio perché riesci a fidarti della gente, quasi subito.
Ti odio perché ridi. Ridi, sempre.
Il tuo sorriso è sempre lì, sul tuo volto, anche quando non dovrebbe esserci. Ed è per questo che, ora che non ce l'hai, mi sento male.
Ti odio per questo.

Ti odio.
Ti odio.
Ti odio.

Perché non mi esce la voce?
Perché non riesco a dirlo?
Stringo i pugni.
Cazzo Levi dillo.
Se lo dico tutto tornerà come dovrebbe essere.

Io sono solo il suo maggiordomo, non dovrei nemmeno essere qui, di fronte alla sua porta, a cercare di comprendere il motivo delle sue lacrime.

Tutto questo è successo per colpa mia. Perché ho salito quelle scale?
È stato istinto, vederlo in quello stato mi ha fatto preoccupare.
È normale. Dopotutto anche io ho dei sentimenti, anche se nascosti.
Silenzio.
Non riesco a dire nulla.
Rimango in ascolto, fermo sul posto, aspettando una reazione da parte del più piccolo.

<<Capisco...>> sento solamente sussurrare.
Cosa? Cosa hai capito?
Perché io non ho capito nulla.
Cosa mi passa per la testa?
Nemmeno io riesco a comprendermi.

Mi ricompongo fissando un'ultima volta la porta davanti a me.
Mi giro, percorrendo il lungo corridoio, ed andando verso la mia camera, spezzando il silenzio tombale con il suono dei miei passi, che riecheggiano per la casa.

Eren
Tre giorni.
Sono passati tre giorni.

Mi alzo dal letto, con aria stanca. Mi siedo sul materasso e mi poggio le mani sulla fronte, rimanendo immobile.
Chiudo gli occhi rilassandomi, ripensando a tre giorni fa.

Levi mi odia, non l'ha detto a parole, ma io l'ho capito.
Quel silenzio era colmo di odio ed io l'ho sentito.
Me lo dovevo aspettare, sono solo un ragazzino di diciassette anni che non fa che infastidirlo. Sin da quando ero bambino, le cose vanno così.

Quando l'ho conosciuto non ho fatto che lanciargli occhiate cariche d'odio, e lui è stato costretto a starmi dietro per un anno intero.
Ed anche ora, che sono cresciuto, non faccio che dargli preoccupazioni.
Ha dovuto ripulire casa a causa mia tante di quelle volte. Mi ha dovuto asciugare i capelli, per evitare di farmi ammalare. Ha dovuto subire le mie innumerevoli domande che, adesso me ne rendo conto, non dovevo porgergli.
Mi ha dovuto aiutare a studiare inglese fino a tardi, ed io, dopo tutto questo, non ho portato nemmeno buoni risultati.
Mi ha dovuto portare in spalla fino a casa, perché ero ubriaco.
Mi ha sopportato per tutto questo tempo, è ovvio che, ad un certo punto, è scoppiato.

Ho continuato a fargli quella domanda a ripetizione, e me ne pento amaramente. Volevo solo aiutarlo, scoprire cosa lo tormentasse tanto.
Volevo riempire il vuoto dei suoi occhi, scacciare la tempesta.
Ma sono stato stupido, come sempre.

Respiro profondamente, mia madre ultimamente non è quasi mai in casa anche se non ne so il motivo, così non viene più a svegliarmi la mattina, come ha sempre fatto da quando Levi è tornato.
Lui potrebbe sapere il motivo della scarsa presenza di mia madre, ma non potrei mai chiederglielo, questo perché io e Levi da tre giorni non ci rivolgiamo la parola.

Io lo evito il più possibile, e lui fa lo stesso.
Ma dovrebbe essere così, lui è il mio maggiordomo, è ovvio che non voglia mettersi a raccontarmi il suo passato e le sue preoccupazioni.
Chi sono io per ispirargli tanta fiducia? Levi è sempre stato freddo, con chiunque, ha sempre allontanato le persone, compreso me.
Io non sono nessuno di speciale, per un attimo mi sono illuso, ma solo dopo aver visto, dodici anni fa, la luce nei suoi occhi.
È stato un istante, un solo attimo, niente di importante.
Per me lo è stato, credevo fosse un segno che io lo facessi stare meglio, che gli facessi dimenticare i malesseri. Ma mi sono illuso.

Sono uno stupido, solo uno stupido.

Mi ricompongo appena noto l'orario. Sono in ritardo. Nulla è cambiato.
Mi alzo controvoglia, stropicciandomi gli occhi, dirigendomi al piano di sotto.

Nulla è cambiato, è tutto come dovrebbe essere.

Continuo a ripetermi queste parole per tutto il tragitto per arrivare a scuola.

La fine delle lezioni arriva più tardi del previsto, o almeno per me che, nonostante la scarsa attenzione prestata in classe, mi sono annoiato a morte.
<<Eren, oggi andiamo al bar?>> chiede Mikasa avvicinandosi al mio banco, al suono della campanella.

Al bar. No, non voglio.

<<Non ci sarà lui, non preoccuparti>> continua, dopo qualche secondo di silenzio da parte mia, capendo le mie preoccupazioni.
<<Allora va bene>> sussurro.
<<Bene! Allora direi che è ora di incamminarci, o non arriveremo mai in tempo, gli altri ci stanno aspettando!>> cerca di mostrarsi allegra, di fronte ai miei occhi, ma credo sia impossibile stando accanto a me, che non faccio che emanare un aura negativa.

Armin ci raggiunge poco dopo, permettendoci di incamminarci tutti e tre insieme, dopo aver preso le nostre cose.

Solo dopo pochi minuti di cammino, ci troviamo davanti al bar accanto alla nostra scuola, dove spesso vengo con Armin e Mikasa anche se, ora, si sono aggiunte altre persone.

Appena entrati notiamo, seduti ad un tavolo, i nostri nuovi amici.
Ci sediamo con loro, salutandoli con la mano.
Inizialmente sono un pó indeciso ma, dopo essermi guardato intorno e dopo aver notato che lui non c'è davvero, tiro un sospiro di sollievo, sentendomi immediatamente più a mio agio.

I ragazzi con noi sono: Marco, Sasha, Connie, Annie, Christa e Ymir. Da quando siamo usciti tutti insieme a cenare ci siamo ritrovati in questo bar, pochi giorni fa, ma non è andata come speravo.
Quel pomeriggio, almeno per me, si è rivelato un disastro.

I ragazzi iniziano a parlare fra loro della scuola, o di fatti giornalieri di poca importanza, anche se riesco a notare le occhiate preoccupate che mi lanciano ogni tanto.
Faccio finta di niente, forse è meglio così.

Dopo un'oretta decidiamo di abbandonare il bar. Ognuno di noi ha dei compiti da svolgere o qualcosa da fare, quindi, decidiamo di dividerci.
Usciti dal bar e pagato il conto, però, prima di salutarci, vediamo una figura venirci incontro.

Ci immobilizziamo quasi immediatamente appena scorgiamo il suo volto.

Jean si avvicina a noi, con passo veloce, e con un'espressione tutt'altro che allegra.

Spazio autrice
No vabbè! 500+ visualizzazioni! Nello scorso capitolo eravamo a 300 e in 5 giorni siamo già a 500!
Grazie mille, non so che altro dire.

Questo mi fa pensare che a qualcuno la storia piace e mi rende veramente felice!

Sono riuscita ad aggiornare finalmente dopo 5 giorni! Questo capitolo è stato particolarmente difficile... ammetto che ho avuto diverso tempo libero in questi giorni, però ogni volta che decidevo di scrivere qualcosa non avevo idee.
Ho avuto difficoltà a decidere cosa far rispondere a Levi e a cercare di far comprendere come si sentisse... il resto del capitolo, però, è stato semplice perché avevo già tutto in mente, ma la parte iniziale non lo è stata affatto.

Quindi spero che apprezziate questo capitolo, e che mettiate una stellina e magari un commento!
Ci vediamo al prossimo capitolo^^
Baci,
Autrice.

My butler | ERERI/RIRENDove le storie prendono vita. Scoprilo ora