Londra, la Capitale d'Europa.
È qui che Riley Fisher vive e lavora da quasi due anni, dopo essere cresciuta a Holmes Chapel.
È qui che una sera ritroverà l'amico d'infanzia che non vedeva da sedici anni, nel modo più inaspettato ed improvviso.
Tra s...
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It may seem to you that I'm acting confused When you're close to me If I tend to look dazed I've read it someplace I've got cause to be
There's a name for it There's a phrase that fits But whatever the reason you do it for me, oh!
What's Love got to do with it [Tina Turner]
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Rigiravo stancamente la tazza di caffè bollente tra le mani, appollaiata su una delle sedie della cucina con una postura a dir poco improbabile. Non erano nemmeno le sette di mattina ma non sarei riuscita a restare a letto un minuto di più.
Una luce fredda e perlata filtrava nella stanza attraverso i vetri delle finestre e le tende, portando nella stanza il grigiore del cielo nuvoloso di Londra. Piovigginava appena, e quel giorno tutto sembrava in qualche modo trascinarsi. Esattamente come me.
Sospirai, passandomi più volte una mano sulla fronte. Non riuscivo a fare a meno di ripensare ad ogni momento della cena con Louis, rigirandomelo nella mente e scomponendolo fino ai dettagli più insignificanti. Tomlinson non aveva fatto il minimo passo falso, anzi: aveva guadagnato punti con Jess portandole i cupcakes di Peggy Porschen ed offrendosi di pulire la tovaglia dopo aver rovesciato il calice di vino. Il suo comportamento era stato impeccabile, mentre io avevo decisamente mostrato il mio lato meno diplomatico.
Dei passi ovattati mi distrassero dai miei pensieri; quando alzai gli occhi trovai Jessica sulla soglia dell'open space. Si era bloccata quando mi aveva vista, e dietro l'aspetto ancora assonnato sembrava titubante ad avvicinarsi.
«Buongiorno» tentai di spezzare quel silenzio teso, un mezzo sorriso cauto sulle labbra. «Ti sei svegliata presto stamattina»
«Devo andare al lavoro tra un'ora» rispose, distogliendo lo sguardo e stringendosi le braccia intorno al corpo. «Hai fatto il caffè?»
Annuii, grata che non avesse deciso di rispondere a monosillabi. Senza che me lo chiedesse mi alzai per versarle una tazza della profumata bevanda scura, e gliela porsi quando si sedette al tavolo. Avvertii un muto ringraziamento nei suoi movimenti, e questo mi fece sperare che non fosse più così arrabbiata con me.
Per alcuni minuti restammo entrambe sedute in silenzio al tavolo, prendendo di tanto in tanto un sorso dalle nostre tazze ed ascoltando il fioco rumore di Londra che si risvegliava.
«Scusa per quello che ti ho detto ieri sera, Riles. Sono stata una vera stronza»
Il suono limpido della voce di Jessica mi fece quasi trasalire, tanto era stato improvviso. Quando portai lo sguardo su di lei notai che mi stava già guardando; il suo tono era stato meno piatto e monocorde rispetto a prima, e le labbra erano leggermente premute l'una contro l'altra. Sentii le spalle rilassarsi per il sollievo, quindi sorrisi.