Ottobre 1659-Giugno 1660

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Come aveva profetizzato madonna Dorina prima di congedarla, quello fu l'ultimo incontro che Galatea ebbe con suo padre; si sarebbero rivisti dopo un anno – sempre se nel frattempo avesse superato la ferrea disciplina della corte e fosse entrata nel novero delle damigelle permanenti; cosa che non era affatto scontata in quel momento.

Si inaugurò da quel giorno un calvario di lezioni: imparò a leggere, a scrivere e a contare, nonché a ricamare, a suonare il liuto, a cantare e a ballare. E questo nel corso di mesi in cui diede prova a tutti gli esaminatori di possedere un intelletto sveglio e avido di sapere. Il primo a rendersene conto fu il Provo, che non aspettò la scadenza del primo mese per congratularsi con la giovanissima allieva per i progressi inattesi.

La lontananza da casa veniva addolcita dalle carezze di donna Pappa – e anche dalle sue frittelle: una sorta di comune origine le univa in un ambiente che risultava estraneo a entrambe; donna Pappa non aveva sperato neanche per un momento nella scelta di Galatea, ma aveva gonfiato il petto quando la duchessina Elisabetta si era fatta forte dei suoi diritti regali e aveva imposto il nome della bambina a padre Saverio mentre stilava l'elenco delle damigelle. Aveva gonfiato il petto che aveva nutrito con buon latte campagnolo le labbra sagge e generose della principessa. L'orgoglio non era cosa sua, essendo dolce e arrendevole di carattere, eppure in questa occasione donna Pappa si era sentita decisamente orgogliosa.

Il confessore conservava le sue riserve, senza dimenticare che anche buona parte degli appartenenti alla sua Compagnia erano parimenti di origini non nobili e spesso anche meschine. Ciò nonostante, ammesso che davanti a Dio e alla morte si è tutti uguali, non lo stesso si può dire trovandosi davanti a un re di questa terra. E intimamente il confessore temeva che l'ospitare una bambina nobile solo a metà attirasse alla duchessina lo scherno delle madri nobili, quando non lo sdegno e l'odio per una preferenza personale che – avrebbero potuto ritenere – aveva danneggiato le loro figlie e impedito loro la carriera. Per questo motivo, il giorno in cui gli esaminatori si ritrovarono insieme allo scoccare dei primi sei mesi, al momento di decidere del destino di Galatea preferì un dignitoso silenzio. Sapeva bene che, con l'appoggio spassionato della principessa e l'ammirazione dell'istitutore, cui si sommava l'affetto di donna Pappa, le lamentele di madonna Dorina avrebbero potuto davvero poco. Il peso delle parole di un gesuita sarebbe stato tenuto in conto diversamente; il silenzio, nel suo segreto, rimaneva ambiguo e non soddisfaceva realmente nessuno.

Fatto sta che Galatea superò anche la selezione più spietata dei sei mesi e poté ritenersi inserita a pieno titolo nella vita di corte. Madonna Dorina era l'unica dei suoi esaminatori a non cedere davanti a questo traguardo ormai superato: invece che riconoscere che, in fondo, i suoi lavori di ricamo e i suoi gorgheggi miglioravano quanto l'attitudine personale permetteva, insisteva nel caricarla di esercizi e nel sacrificare le poche gioie di una vita di prove. Più e più volte era toccato alla bambina bere intrugli di erbe amare che avrebbero dovuto addolcire – chissà come – la sua voce, più e più volte era rimasta sveglia fino a tardi, al lume di una candela, per terminare l'ennesimo ricamo lasciatole come punizione per non essere stata sufficientemente veloce durante la lezione del giorno. Galatea evitava prudentemente di confessare le angherie alla sua nobilissima protettrice, la quale le riservava le attenzioni più tenere. Divideva la sua patrona con le damigelle rimaste: Caterina, Bice – le due bambine con cui aveva condiviso la prima stanza a palazzo –, Ginevra, Aura e Tessa. Il gruppetto era coeso e non pativa ancora delle invidie e dei disaccordi degli adulti; talvolta si bisticciava per un vestito, per una collana o per qualche piccola gioia, ma erano bisticci innocenti. Ed Elisabetta traeva tanto beneficio dalla compagnia delle bambine che con il tempo non seppe più fare a meno dei momenti di vita comune.

Nella nuova, ordinata quotidianità, Galatea visse a corte senza quasi mai scorgere altri membri della famiglia ducale che non fossero Elisabetta o Eleonora, sorella minore della sua protettrice, di dieci anni. Sapeva che c'erano altre due sorelle, Livia e Maria Teresa, ma erano ancora piccole per potersi unire a loro. I figli maschi invece erano pressoché assenti sia dalla sua vista sia dalla sua conoscenza: aveva sentito parlare molto solo del primogenito maschio, Luigi; sapeva poi dell'esistenza di altri fratelli, ma non sapeva quanti fossero, come si chiamassero e quanti anni avessero. Quando la duchessina non era con loro, le bambine erano impegnate nelle loro lezioni; e quando era con loro si giocava, si rideva, ma non si parlava mai della famiglia ducale.

Il duca e sua moglie erano distanti, quasi intangibili: li si nominava raramente e solo nei contesti più importanti, quasi che nominarli fosse peccato. Galatea raccoglieva più impressioni che certezze e le fu presto chiaro che parlare dei sovrani era cosa riservata solo agli adulti.

Allo scadere dell'anno le furono accordati alcuni giorni di licenza da trascorrere a casa con i genitori e i fratelli. Allo scadere di quelli, poi, tornò alla sua seconda famiglia più convinta ancora di voler dimostrare a tutti gli scettici il proprio valore.

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