Dicembre 1669 pt. 2

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Ottavio chiuse la porta a chiave e si preoccupò di controllare che la serratura tenesse. Quando fu sicuro che nessuno sarebbe potuto entrare si diresse a passo sicuro verso la porta comunicante: il fatto che non ci fossero candele accese nella sua camera rendeva ancora più evidente lo spiraglio di luce che si apriva sotto l'uscio di Galatea. Questo significava che era sveglia, che l'aveva aspettato. Le avrebbe chiesto scusa, lo giurò a se stesso; le avrebbe detto che Matteo era stupido e amava prendersi gioco di lui. Ma ci sarebbe stato bisogno di così tante parole? E ci sarebbe stato il tempo per proferirle, magari a bassa voce? Era di fronte al rude legno della porta, trepidante, ma qualcosa lo tratteneva dall'entrare.

Tutto sarebbe cambiato; non avrebbe più potuto tornare indietro. Galatea sarebbe stata diversa, non sarebbe più stata pura. Mosse un passo indietro quasi senza accorgersene; il sorriso era scomparso dalle sue labbra e dai suoi occhi, che ora vagavano nell'oscurità come annegandoci.

E chi era lui per chiederle un così alto sacrificio? Lui aveva fatto la propria scelta in totale libertà, si era riservato il diritto di allontanarla e ora si prendeva quello di possederla. Forse Galatea avrebbe avuto da ridire. Era anche vero, d'altronde, che non poco tempo prima gli si era offerta spontaneamente; era vero anche che lei stessa aveva aspettato il giorno di Natale con crescente trepidazione.

Ma ancora: avrebbe sofferto, forse avrebbe pianto; forse l'avrebbe odiato, una volta comprese le implicazioni del fatto. Non sarebbe più stata la stessa, avrebbe cominciato a invecchiare, a corrompersi, a cambiare. Gli avevano insegnato che la verginità era perfezione, purezza, eternità. Strapparla a Galatea, forse per un intento egoistico, avrebbe voluto dire condannarla al destino di tutti i mortali.

O forse pensava troppo, mentre in quel momento avrebbe dovuto superare la porta senza esitazioni, rapirla alla tranquillità della sera innevata e farla sua. Forse pensava ancora troppo da diacono, quando diacono non era più da un pezzo. Forse Galatea aspettava soltanto che lui lo facesse, che entrasse in camera come un vero marito avrebbe fatto. Non le importavano le implicazioni, si offriva a lui, ingenua e innamorata. A quel pensiero tornò vicino alla porta, ma vi appoggiò la fronte sconfortato: non sarebbe più stata la stessa. E lui, allora, l'avrebbe amata ancora? E lei l'avrebbe amato più?

Singhiozzò al pensiero di farle male; singhiozzò al pensiero di deluderla; alla fine si separò dall'uscio camminando all'indietro, si sedette sul letto e si prese la testa tra le mani. Non doveva permettere alla mente di prendere il sopravvento sul corpo, non in quel momento; se Matteo fosse stato lì, l'avrebbe certamente deriso: tutte le sue paturnie gli erano estranee, lui viveva le gioie della vita per sottrarre attimi alla caducità verso cui tutto scorre. Godere era il modo che usava - che aveva sempre usato - per fermare il tempo. Lui, Ottavio, duchino fortemente persuaso di diventare un buon vescovo e cardinale, leggeva il mondo nella prospettiva di un futuro di speranza, l'appagamento era collocato in un'altra vita. Aveva ragione suo padre a dirgli che avrebbe dovuto mutare la coda con le zampe, come un girino che diventa rana: non c'era prospettiva più diversa per un uomo che si appresti a fare ciò che deve, vedendosi sfuggire sempre più in là ciò che ricerca. Forse la rinuncia non era che questo, in fondo: un tentativo di spostare tutto l'appagamento in un aldilà eterno, a fronte di un presente fatto di singoli istanti che in un attimo scivolano nel passato e non esistono più.

Si alzò di scatto, afferrò la maniglia e la abbassò, determinato a mettere a tacere i moniti della mente. Aprì uno spiraglio, il cuore cominciò a battergli forte in petto, un leggero sudore gli fece sentir fredde le braccia e la schiena. Intravide la pediera del letto e chiuse gli occhi, sospirando. Spinse ancora la porta, si introdusse furtivamente, si volse: Galatea era a letto, addormentata con il libretto di devozione ancora aperto in grembo. Maria, nel suo giaciglio, dormiva profondamente.

Ottavio chinò la testa sul petto con un sorriso disincantato. Come previsto: l'aveva aspettato, invano. Aveva tentato di ingannare il tempo con la lettura, ma non era bastato. Si avvicinò, le trasse il libriccino dalle mani e lo posò sul comodino accanto alla candela. Poi la sollevò delicatamente, badando di non svegliarla, e la fece scivolare sui cuscini; quindi le rimboccò le pesanti coperte fino al collo, perché non prendesse freddo con quella sottile camicia da notte che indossava. Si inginocchiò al suo capezzale, le accarezzò i capelli per qualche minuto, in un silenzio di contemplazione. Poi si alzò, soffiò sulla candela e tornò nella propria camera, nel buio.

*

La mattina dopo Ottavio uscì presto, per essere già fuori quando Galatea si fosse svegliata. Lei lo raggiunse nella cappella, lo salutò con voce squillante e gli venne accanto.

«Ti ho aspettato» disse subito, quasi a scusarsi della poca resistenza opposta al sonno.

«E' colpa di Matteo - si giustificò lui, senza cogliere i suoi sottili sensi di colpa - Mi ha trattenuto a parlare fino a tardi»

«Non fa niente. Non c'è fretta» considerò sorridendo.

E Ottavio avrebbe voluto dirle che sbagliava, che la fretta c'era ed era tutta sua, nel suo cuore che sembrava esplodere nel petto. Ma tacque, le prese la mano e gliela baciò educatamente.

«Adesso posso ricambiare» pigolò Galatea, già pronta in punta di piedi. Ottavio la afferrò per gli avambracci appena in tempo: «Non è questo il luogo» sussurrò, lasciandosi scappare un piccolo bacio sulla sua guancia. Galatea rise a bassa voce, lui si sottrasse e scappò fuori; lei lo inseguì. Si ritrovarono nel portico a schermirsi a vicenda, rifiutando per gioco le effusioni dell'altro. Le loro risate riempirono le volte a vela e si dispersero nel chiostro innevato. Le loro voci erano l'unico suono nel manto bianco che li circondava e sembrava che al mondo esistessero solo loro due; e nessun altro. Alla fine mancò il fiato alla dolce schermaglia e Ottavio per primo si appoggiò a una colonna per respirare. L'aria fredda sembrava ferirgli i polmoni, ma ne era assetato e ignorava le fitte. Galatea sbuffava, e il suo respiro si cristallizzava come fumo bianco.

«Stasera... - cominciò, ma ansimava ancora - Stasera di' al tuo amico di farla breve...»

Ottavio sorrise e lasciò cadere la sua battuta scuotendo la testa: «Non si fa scappare nemmeno un'occasione per parlare»

«E tu non dargliene» ribatté. Le sue guance erano rosse per il freddo e per l'affanno; Ottavio si concentrò a guardarle e notò, con piacere, che avvampavano ancora.

«Non gliene darò» promise, porgendole il braccio per riaccompagnarla nella foresteria, al caldo di un camino.

Pranzarono insieme, scherzando teneramente. Poi si separarono, Galatea tornò in camera e Ottavio fece un giro nella biblioteca, per scovare qualche libro interessante negli scaffali segreti; due ore dopo, il duchino si avviava alla propria camera per lasciarvi qualche libro e invitare la moglie fuori per una passeggiata, approfittando dell'ultimo sole - quel giorno le nuvole di neve si erano diradate e il cielo era azzurro come in primavera. Arrivato quasi alla porta, vide entrare Maria con una pila di stoffe bianche di cotone e lino. La fermò sulla soglia e lei, che in un primo tempo non l'aveva visto, si dilungò in scuse senza lasciargli il tempo di parlare.

«Cosa sono questi panni? - domandò quando poté interromperla - Mia moglie non sta bene?»

«Signore, - rispose desolata - vostra moglie sta come tutte le donne sane in certi giorni del mese»

Ottavio distolse lo sguardo, lo abbassò sulle piastrelle di cotto.

«Be', se è così sbrigatevi a raggiungerla, Maria. Credo abbia bisogno di voi in queste circostanze»

«Sì, signore» rispose la serva chinando il capo e accingendosi ad entrare.

«In ogni caso, - la richiamò, facendole un segno - Voglio che mi diciate quando la luna sarà passata»

Maria annuì, senza accorgersi che una tale richiesta arrivava improvvisae inconsueta. Ottavio, d'altro canto, tese le labbra, perché parlare di certecose lo imbarazzava ancora profondamente.

Figlia di mercanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora