Fine maggio 1669

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Galatea sollevò la lettera dal vassoio con un movimento il più possibile lento, ma la sua mano tremava. Aveva riconosciuto la carta e l'inconfondibile goccia di ceralacca, sebbene caduta con un guizzo brusco che l'aveva spalmata un po' dappertutto.

Ottavio la osservava: lui le aveva portato il vassoietto d'argento, lui l'aveva teso verso di lei. Ora studiava la sua espressione per trarne tutte le impressioni necessarie a interpretare il contenuto di quella lettera senza nemmeno darle una scorsa veloce.

Galatea strappò la ceralacca e distese il foglio. Era la scrittura di suo padre, tutta spigoli e righe, alta e sottile. Scritta così fitta era difficile da decifrare; i suoi occhi si fecero fessure, le sopracciglia, avvicinandosi, disegnarono piccole rughe sulla sua fronte. Ciononostante, Ottavio rimase incantato a guardarla. Il suo contegno, pur nel pallido viso, manifestava la fermezza d'animo della giovane ragazza che da poco meno di un mese era diventata sua moglie.

«Mio padre...» sussurrò Galatea, spiegando meglio un angolo della pagina.

Cara figlia - le diceva - Per quanto t'abbiamo pregato di metter ben a frutto i tuoi denari, veniamo oggi a sapere che il tuo temperamento ha avuto la meglio sui nostri consigli. Tuttavia mai avremmo potuto immaginare cosa maturasse nella tua testa, cosa macchinasse la tua mente per spingerti tanto in là dal sentiero che ti avevamo indicato. Tua madre ed io, avuta la notizia, non siamo stati in grado di dare spiegazioni neppure al nostro contadino, che l'ha saputo al mercato. Sei sulla bocca di tutti e non per il motivo che noi aspettavamo con impazienza, ossia un matrimonio onesto con un figlio della migliore nobiltà. No, prima il tuo fidanzato ti ha abbandonato a poche settimane dal giorno fissato per le nozze, e a saperlo il nostro cuore ha sanguinato e i nostri occhi hanno pianto, temendo per te una brutta caduta nel disonore. Poi, quando le acque si calmavano e tornava il silenzio attorno a te, ecco questo matrimonio, di cui forse il Damiani ha avuto sentore dal tuo atteggiamento o forse da voci indiscrete. Insomma, figlia, oggi siamo straziati dalla tua arroganza e dal tuo biasimevole atto; temiamo ora non solo l'agone dei nostri concorrenti mercanti, ma anche la vendetta della famiglia del duca, che certamente vi punirà per quanto accaduto. Noi, così lontani in molti modi da te, non potremo offrirti rifugio.

Noi ti assicuriamo le nostre preghiere e il nostro pensiero; tu promettici di fare il possibile per risolvere questa spiacevole situazione.

Saluta tuo marito

Tuo padre Vincenzo e tua madre Maddalena

Un postscriptum si snodava in fondo alla lettera; era la calligrafia sinuosa di una donna ed esprimeva questo breve ammonimento:

Ora sei una moglie; non importa chi sia tuo marito, importa il legame che ora ti stringe a lui. Stagli accanto fedelmente e prenditi cura di lui. A breve ti invierò un libriccino che potrà aiutarti.

I suoi occhi si sollevarono istintivamente su Ottavio che stava ancora in piedi di fronte a lei.

«Non sono entusiasti, vero?» domandò con un fondo amaro nella voce.

Galatea negò senza parlare; un nodo le stringeva la gola.

«Se ne dovranno fare una ragione, come ha dovuto fare mio padre d'altronde...»

«Non mi perdoneranno mai una cosa come questa» considerò Galatea a mezza voce, senza ascoltarlo. Ripiegò la lettera e la nascose in una tasca della gonna, poi si guardò attorno. Erano in uno studiolo e, all'altro capo della stanza, c'erano alcune persone intente a chiacchierare.

Tra queste persone c'era il fratello del duca, chiamato a corte con il trattamento di Sua Eccellenza il principe Ferdinando: rimasto recentemente vedovo, Ferdinando poteva vantare una prole numerosa e di salute forte, discendenti per parte di madre da una nobile famiglia tedesca cattolica. Il principe, uomo maturo di ormai cinquant'anni, aveva vissuto a corte per molto tempo, partecipando alle riunioni dei ministri e interessandosi in particolare delle spedizioni marittime delle flotte inglesi ed olandesi. Importava spezie, frutti e mercanzia di vario genere, che collezionava in un palazzo non molto distante dalla capitale. In passato aveva donato alcuni pezzi al duca, alla duchessa e ad altri grandi signori della penisola. Ma c'era di più: la sua figura era ammantata dall'ammirazione di tutti coloro che l'avevano conosciuto, soprattutto per l'innata capacità del principe di prevedere i fatti con largo anticipo, o comunque di agire con prudenza risultando sempre nel giusto. La prudenza, appunto, era una sua grande virtù; e con la prudenza lo era anche la capacità di adattarsi facilmente a diverse situazioni. Dell'intera famiglia ducale, ad esclusione di Ottavio, era stato il primo a dimostrare un qualche tipo di considerazione per lei, la figlia di mercante. E questo aveva spinto Ottavio a passare con lui alcune ore del suo tempo in pacate conversazioni. Galatea non conosceva i dettagli dei loro discorsi, ma sapeva che in breve suo marito aveva cominciato a dubitare delle buone intenzioni dello zio. Da parte sua, si era sempre mantenuta nei limiti della buona educazione, sfoggiando sorrisi abbinati a riverenze. Ottavio non veniva mai meno al suo contegno dignitoso e le consigliava passo dopo passo come comportarsi, cosa dire e cosa evitare. Benché essere guidata a bacchetta non fosse esattamente la sua condizione preferita, Galatea aveva imparato a misurare l'intonazione della voce, gli inchini e gli sguardi in modo da non risultare mai in fallo, facendo in ogni caso valere il proprio nuovo status.

Figlia di mercanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora