Primi di aprile 1670 **

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«È appena giunta una lettera di cui credo vogliate conoscere il contenuto» disse Antonio non appena Ottavio ebbe messo piede nel suo studio. Il duchino sentì il sangue gelare nelle vene e affrettò il passo, andando incontro al fratello con frenesia.

«La Vostra generosità è troppo grande, Vostra Grazia» ribatté, cercando di apparire tranquillo.

Il duca fece cenno a un paggio che aspettava un po' discosto. Il ragazzo si avvicinò tendendogli un vassoio d'argento su cui si trovava una sola lettera piegata e ripiegata, chiusa da una goccia di ceralacca rigonfia. I due fratelli ebbero giusto il tempo di scambiarsi un'occhiata tesa ed eloquente, prima che il maggiore raccogliesse la lettera e la rigirasse tra le dita.

«Lasciateci tutti, ora» ordinò il duca alla servitù e ai collaboratori presenti, cinque o sei persone in tutto. Il paggio fu l'ultimo a uscire e chiuse la porta dietro di sé. Ottavio si precipitò a girare la chiave nella serratura, trattenendo il respiro.

«Non qui, Antonio» bisbigliò, accennando alla porta di una stanzetta attigua. Il duca annuì e aprì la strada, invitandolo a sedere e serrando personalmente l'uscio.

Era un salottino privato con quattro poltroncine, un tavolino e due scaffali colmi di libri. Le pareti erano affrescate con immagini di varia provenienza, riferite in qualche modo al tema dell'otium. Lo stile cinquecentesco non faceva che dare ulteriore equilibrio e misura all'insieme della composizione. L'arredamento lineare e per nulla elaborato contribuiva a rafforzare la prima impressione; cosicché Ottavio, che non pensava minimamente di dover prestare attenzione all'ambiente, si rilassò un poco senza quasi accorgersene.

La sua attenzione era tutta per la lettera che Antonio si passava ancora di mano in mano: nell'atteggiamento tradiva una certa esitazione, quasi che preferisse non dover spiegare il foglio e leggere ciò che comunicava. Il duchino si morse il labbro, dubitando all'improvviso dell'affidabilità di quel messaggio: avrebbe potuto trattarsi dell'ennesima mossa di Ferdinando nel tentativo di depistare le ricerche. Quel sospetto gli consigliò di sollevare al più presto la questione: «Il mittente è degno della nostra fiducia?» domandò semplicemente, dando voce a tutta la propria paura.

«Io non ho motivo di dubitare di lui. Ha già dimostrato di essere un servitore fedele e un informatore arguto» lo difese Antonio e, con un gesto rapido e sicuro, staccò la ceralacca. Ottavio rabbrividì a quello schiocco e non riuscì più a stare fermo. Cominciò, quindi, a rigirarsi una mano nell'altra, affondando le unghie nella carne tenera dei palmi.

«All'Eccellenza della Vostra Grazia duca Antonio dei Malancisi, il Vostro umile servo corrisponde nel modo più sincero e chiaro quanto ha sin qui scoperto, che non è poco» lesse il duca, alzando gli occhi alla fine della frase. Ottavio si accomodò meglio sulla poltroncina e volse lo sguardo a lui, fissandolo intensamente.

«Nel principio del mio viaggio ho seguito le direttive lasciate dal reverendo abate, come Voi e la saggezza Vostra avete ordinato. Arrivato dunque nel borgo di Terrachina sulla strada che conduce alla capitale, ebbi conferma della presenza, non è ancora un mese, di colei che si reputa fosse la duchessina. E qui, dove il venerabile monaco si era fermato, mi fermai anch'io. Non v'è molto da cercare in quelle parti, perché quanto è stato già detto è tutto»

Ottavio chiuse i pugni e, senza lasciarlo proseguire oltre, sbuffò: «Se questo è tutto ciò che deve dire, non è d'aiuto affatto!»

«Sta' calmo! – lo rimproverò l'altro – Ti pare questo il momento di dar di matto? Da dette parti di Terrachina dovetti dunque avventurarmi affidato alla fortuna, ch'è guida infida a chi non sa dove metter piede. Ma così inciampai in un trio bizzarro che subito mi fu sospetto e presi perciò a seguirlo lungo la strada, finché non seppi da loro quanto ora vi narrerò»

«Ha qualche velleità letteraria, questa tua spia? Da come scrive, sembra intenda scrivere un romanzo su questa faccenda» osservo Ottavio, fremendo di stizza.

Il duca sollevò appena gli occhi dalla lettura e lo guardò con rassegnazione, quindi riprese: «Una sera, in questa stessa locanda dove mi trovo, forse spinti dal buon vino o forse dalla mia modesta compagnia, mi raccontarono di aver scortato una persona, una fanciulla, insomma la fanciulla per cui tanti sembravano affannarsi, la sorella del venerabile abate della Vergine stellata»

Ottavio scattò in piedi, il cuore in tumulto, la vista offuscata. Corse ad appoggiarsi al davanzale della finestra, respirando con fatica: «Scortato dove?!» trasalì, voltandosi solo a quel punto verso Antonio. E Antonio sbigottì a vedere come la paura gli deformasse i tratti del viso: occhi sbarrati, nervi tesi, labbra pallide.

«Spero per lui che sappia dove l'hanno portata» disse tra i denti subito dopo, mordendosi una nocca.

«Io feci finta di non saperne nulla e mi feci dire per filo e per segno tutto quanto, in atto di quello che, forestiero, si interessa delle storie strane e inaudite per farne tesoro e portarle a casa. Non credevano fossi persona di cui non fidarsi e mi dissero infino il nome del loro mandante. Il suo nome è Isabella De Spini; a detta dei tre, la fanciulla fu consegnata alla signora dopo tre giorni di viaggio dall'osteria di Terrachina. Dissero di averla condotta ad un palazzo in riva al mare sul litorale, in una baia che prende il nome dalla forma di Mezzaluna. Non so altro, ma protesto sempre la mia fedeltà a Vostra Grazia, con la promessa di mandare le mie nuove, quando ve ne saranno di notevoli»

«Nient'altro?» ansimò Ottavio, smaniando.

«I soliti saluti» rispose scontato Antonio, ripiegando la lettera e lasciandola cadere sul tavolino.

Il duca prese posto su una poltroncina e sospirò, prendendosi il mento tra le dita. Suo fratello, invece, rimase alla finestra, aggrappato al davanzale, con lo sguardo basso e le labbra tese a trattenere parole avventate e singhiozzi di pianto.

«Se non altro – borbottò Antonio ad un tratto – Adesso sai dove cercarla...»

Ottavio sbuffò, cercando così di buttare fuori tutta la frustrazione e godere di quel piccolo passo in avanti; eppure, un briciolo di paura rimaneva lì, come se non volesse andare. E quel briciolo aveva un nome: Isabella De Spini. Gli vorticava in testa in un'eco senza fine. Voleva ricordare dove e quando l'avesse già sentito, perché era sicuro di averlo già sentito prima di allora.

«A cosa pensi?» domandò Antonio, ingenuamente curioso.

Il duchino scosse la testa: «C'è qualcosa... Qualcosa che non va come dovrebbe...»

Suo fratello accavallò le gambe e si spinse contro lo schienale: «Sai dov'è, ora. Vai e prenditela»

Non gli bastava quell'incitamento per abbandonare i dubbi: più si soffermava su quel nome, più lo trovava in qualche modo familiare.

«Non ti ricordi di lei? Di questa Isabella? Chi è?» pensò ad alta voce, rivolgendoglisi più per comodità di ragionamento che per un reale bisogno di confronto. Tuttavia, Antonio gli rispose ugualmente: «Io non ho mai avuto notizia di nessuno che avesse quel nome... Ricordo un De Spini, ma è da tanto tempo che non lo sento nominare a corte»

«Alfonso, forse?» ipotizzò Ottavio.

«No, non Alfonso. Credo fosse Baldassarre, o Battista, o...»

«Orazio!» esclamò, illuminandosi. Antonio, indicandolo dalla poltroncina, replicò: «Giusto! Orazio! Era del Consiglio dei ministri di nostro padre quando noi eravamo bambini, ricordi?»

«Ricordo qualcosa, più notizie riferite che altro – confermò il duchino – Ma non ricordi, piuttosto, che avesse una sorella di nome Isabella?»

Antonio chiuse gli occhi, poi mugugnò qualcosa, picchiettandosi un dito sulla punta del naso. Poi, di colpo, il suo viso si incupì e le sue pupille, volgendosi a Ottavio, si adombrarono di un nuovo sospetto.

«Ora mi ricordo bene di lei; allora ero troppo giovane per capire – disse, alzandosi e cominciando a camminare su e giù per la stanza – Spero di non sbagliare, o forse sarebbe proprio meglio che mi sbagliassi...»

Ottavio lo afferrò per un braccio quando gli passò vicino, cercando un contatto visivo che Antonio, strenuamente, eludeva.

«Dimmi quello che ricordi e basta» tagliò corto, stringendo la presa fino a fargli male.

«Era la sua amante, temo. L'amante dello zio Ferdinando»

Figlia di mercanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora