Febbraio 1669

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Era estremamente contrariata. Percorreva la stanza avanti e indietro per tutta la sua lunghezza, contorcendosi le mani una nell'altra e scuotendo la testa. Le sembrava di avere un corpetto fatto di foglie d'ortica e di non poter restare ferma senza soffrire le punture dei piccoli aghi velenosi. Presto Niccolò sarebbe arrivato e l'avrebbe trovata così, scontrosa e indisposta alla passeggiata cui lui l'aveva formalmente invitata il giorno prima. Aveva indossato uno degli abiti più belli e fatto preparare il suo mantello orlato di pelliccia, ma la vanità non l'aveva appagata come aveva creduto. Osservava come cadeva il vestito sui suoi fianchi, come le incorniciava la vita, e notava difetti, difetti e difetti. Non sarebbe mai stata all'altezza delle aspettative di lui; per questo le sembrava di non muovere nemmeno una corda dei suoi sentimenti, lo trovava distratto quando gli parlava e anche piuttosto ignorante, perché alle sue osservazioni argute non sapeva corrispondere pensieri altrettanto acuti. I suoi motti erano scardinati con sole due o tre parole, o semplicemente con il tono spento con cui le rispondeva. Tuttavia, pensava, era questione di tempo, di conoscenza e di accettazione reciproca. Anche Bice, si diceva, era stata scettica su Vincenzo dopo i primi incontri, mentre adesso non avrebbe potuto vivere senza di lui.

Sospirò fermandosi. Si fermò accanto al muro e sollevò il viso per distendere il collo e respirare liberamente. Temeva il suo giudizio e voleva apparirgli nella forma migliore: l'ultima cosa che voleva era essere giudicata inferiore per quella questione di sangue che tutti le rinfacciavano da quando era arrivata a palazzo. Cosa importava che suo padre fosse un mercante? Cosa avevano i nobili di corte che i suoi antenati popolari non avessero? Spesso i borghesi avevano una salute più vigorosa e le donne sopportavano molti parti; per non dimenticare che, allenando l'ingegno agli affari, avevano mente più lucida; e come non notare che gli aristocratici, a furia di sposarsi nella loro setta, erano diventati tutti pallidi e magri, o al contrario estremamente grassi per difetti naturali del corpo, e sviluppavano malattie invalidanti a età insolitamente precoci, e i loro figli soccombevano ai raffreddori?

Le considerazioni si scavalcavano una con l'altra, insorgendo violentemente nella sua testa. Vedeva tutti gli occhi spenti che si erano posati svogliatamente su di lei nel corso degli anni, tutti accomunati da un tedio di vivere che all'inizio aveva imputato alla mancanza di svago, al fatto di stare sempre chiusi nelle stesse stanze senza respirare mai un'aria diversa. Lei, nella sua breve vita, aveva visitato qualche posto: aveva una casa per l'inverno e una per l'estate, talvolta suo padre l'aveva portata in campagna anche quando c'era la neve e le aveva fatto assaporare tanti odori che all'interno delle mura del palazzo non aveva mai più ritrovato. Poi aveva capito, maturando in quegli stessi ambienti, che non era lo svago a mancare, così come non mancavano profumi nuovi ed esotici: ai nobili mancava una vera ragione di vita. Si svegliavano, passeggiavano, chiacchieravano, avanti e indietro, sempre ripercorrendo gli stessi passi, sempre con il solito ritmo, per vedere sempre le facce abituali. Non c'erano vere novità in quella maledetta corte dove ogni giorno scorreva uguale all'altro.

Lì per lì la colse l'angoscia: e se sposando un nobile fosse diventata come loro? La sua vita avrebbe perso di senso, sarebbe diventata monotona, condannandola al tedio?

«Madamigella?» la chiamò Niccolò Damiani apparendo sulla soglia. Galatea rimase sospesa per un attimo prima di ricambiare il saluto. Lui le tese la mano e la condusse fuori.

«Avete passato una bella mattinata?»

«Una mattinata come tutte» rispose sorridendo.

Niccolò annuì e sorrise. Poi la aiutò ad indossare il mantello, senza delegare il compito alla serva pronta ad attendervi. Galatea apprezzò quel tocco delicato, già incline a lasciare da parte le riserve che si era costruita riguardo a lui.

«E voi?» domandò, per ravvivare la conversazione.

«Come, scusate?»

«La vostra mattinata...»

«Noiosa come al solito»

Galatea preferì, a quel punto, lasciar cadere ogni interesse, e far sì che fosse lui a riprendere la chiacchierata; ma Niccolò era distratto. E non era una sorpresa. Camminarono in silenzio fino alle vetrate affacciate sul giardino e Galatea si rimboccò il collo della pelliccia preparandosi ad uscire. Ma lui si fermò davanti alle grandi finestre e puntò lo sguardo verso i rami più alti degli alberi, abbelliti non da foglie ma da lunghi cristalli di ghiaccio.

«Non usciamo?» chiese Galatea, strattonandolo leggermente.

Niccolò ebbe un brivido: «No, no di certo! Non vedete quei ghiaccioli? Chissà che freddo fa!»

«Sì, ma è per questo che abbiamo i mantelli...»

Lui la guardò e rispose: «Molto bello, il vostro... Visone?»

Galatea, interdetta, ribatté: «Sì, come il vostro d'altronde...»

«Già, credo sia visone... Ma non mi interessa molto»

«Quindi dove andremo a passeggiare?» incalzò.

Niccolò si lasciò sfuggire un sospiro di fastidio: «Non ne ho idea, madamigella. Credevo che fosse sufficiente portarvi un po' in giro a braccetto»

Galatea si risolvette a seguire la sua musa satirica per prendersi gioco di lui: «Be', sì, questo è più che sufficiente. Anzi, devo ammettere che sento già le gambe affaticate»

«Molto tipico - rispose lui, un po' imbaldanzito - Una volta ho letto che le donne, essendo di costituzione più fragile, si stancano molto prima degli uomini»

«Non siete solo saggio, signore, ma anche astuto! - continuò fingendo meraviglia - Ostentando la vostra conoscenza, mi dimostrate anche di aver pensato a tutto prima ancora di invitarmi a passeggio. Sareste così gentile da riaccompagnarmi alle mie stanze, cosicché io possa ricrearmi dalla fatica?»

«Sarebbe un onore» ammise, avviandosi con lei.

Tacque per il resto del tragitto, per paura che la spinta sarcastica alla fine la smascherasse. Lo congedò senza nemmeno fargli baciare la mano; d'altro canto, lui non parve accorgersi di questa calcolata maleducazione. Galatea entrò nella propria camera con la stessa foga del naufrago che riprende a respirare dopo una lunga apnea subacquea. Serrò gli occhi per qualche istante, poi li aprì lentamente.

«Paolo» disse sorridendo. Eros si fece avanti sfoggiando l'apparenza dello stalliere innamorato. Così Galatea voleva essere guardata, con quegli occhi sognanti, quel viso intento. Il portamento di Paolo esprimeva la tensione di un desiderio proibito: tendeva le braccia avanti, accennava un passo.

Galatea gli si gettò al collo per baciarlo; ma, come ogni volta, Eros sfumava via, si disfaceva come una nuvola di incenso mossa dal soffio di un bambino. La sua figura si mescolò all'aria e Galatea poté catturare solo un ultimo sguardo, un ultimo bacio già distante e già travolto. La vista sembrò tremante: erano lacrime che pian piano calarono sulle sue guance.

Figlia di mercanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora