Antonio percorreva la stanza da un angolo all'altro, passandogli davanti a passo spedito, mugugnando parole incomprensibili. Era tanto adirato da essere quasi irriconoscibile e questo era un evento raro, essendo il suo temperamento già di per sé incostante. Ottavio sedeva su una seggiola, solo in mezzo alla camera, incerto se intervenire o lasciare piuttosto che fosse il fratello a intavolare la discussione. D'altronde era stato lui a convocarlo, senza concedere il riposo che gli aveva in un primo tempo pregato di concedergli dopo il lungo viaggio. La tensione, unita ai disagi della carrozza e delle strade sconnesse, gli lasciavano ben poche parti del corpo che non fossero doloranti. Anche per questo sedeva in un momento come quello, in cui avrebbe voluto stare ben ritto a testimoniare la propria buona fede; invece si sentiva ingobbito, esausto e sfinito. Antonio non faceva quasi caso a quei piccoli segnali di fastidio che di tanto in tanto si lasciava sfuggire di proposito. Si guardò attorno: lo studio era vuoto da che anche l'ultimo servo era uscito dopo aver versato del vino rosso in due bicchieri di cristallo abbandonati da una parte, su un mobiletto accostato al muro. Se non fosse stato per i passi pesanti del duca, Ottavio avrebbe potuto credere che il tempo si fosse fermato. Riportò l'attenzione sul fratello, sperando con questo di spingerlo a parlare, ma invano. Antonio sbuffava come un toro; gli sarebbe parso addirittura minaccioso, se non l'avesse conosciuto bene: sapeva infatti che quello non era altro che un atteggiamento dettato dall'incapacità di affrontare una situazione incresciosa e, a tratti, imbarazzante.
A un tratto lo udì borbottare in preda alla collera. Stava per domandare di più, ma la prudenza fermò la sua lingua e lo mise al riparo da una reazione imprevedibile. Poi, vedendo che la cosa andava per le lunghe, si schiarì la voce e disse: «Antonio?»
«Non parlare, sta' zitto!» sbottò il duca, tagliando l'aria con la mano. Ottavio sollevò un poco le sopracciglia e lo guardò con aria di sfida, tacendo come gli veniva ordinato.
«Cosa ti ha detto lui?!» aggiunse un attimo dopo, voltandosi di scatto nella direzione del fratello minore.
«Di chi parli?» replicò secco.
«Del cardinale, ovvio! Voglio sapere cosa ti ha raccontato»
Ottavio si strinse nelle spalle: «Mi dice quello che mi dici tu, solo con parole diverse e, mi pare, più schiette»
Antonio avvampò: «Ingigantisce cose dette per scherzo e nulla di più! Ma avresti potuto dirlo subito che qualche bugia sarebbe bastata a farti tornare, e ti avremmo accontentato»
«Parli al plurale perché fai le veci del principe?» indagò, incrociando le dita in grembo.
«Parlo al plurale perché sono il duca! - strillò - E dovresti smetterla di prenderti gioco di me: prima sfuggi alle mie guardie uccidendo il loro capitano, poi ti rintani con la tua mercantina in un monastero di dubbia moralità, poi piombi qui e pretendi di essere il benvenuto!»
Ottavio aveva ascoltato con crescente livore le accuse che gli venivano mosse, trattenendo la lingua per evitare di scatenare un putiferio. Quando Antonio ebbe finito l'arringa, subito obiettò: «Per prima cosa, io non ho ucciso nessuno; casomai ero io la vittima designata di quel giorno e di questo sei tu a dovermi rendere conto. Per il resto...»
Il duca si impettì, pieno di sdegno, e non gli lasciò terminare la difesa: «Tu osi accusare me di fratricidio? Davvero credi che io possa attentare alla tua vita?»
«Se tu credi che io possa rappresentare un pericolo per te, non vedo perché io non possa credere lo stesso di te»
Antonio ammutolì, incrociò le mani dietro la schiena e lo guardò torvo per qualche secondo.
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Figlia di mercante
Fiction HistoriqueSeicento, epoca buia, epoca di sospetti, di epidemie, di guerre. Ma anche secolo della musica, del barocco, dell'amore passionale. Due sfaccettature che segnano la vita di Galatea dalla nascita alla morte. Racconto la sua storia come me la racconta...