Maggio 1670 pt. 6 *

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Fortuna non poteva mentire; e qualche girono dopo giunse notizia dell'imminente visita di Alessandro Ferraris, nel compimento di un sopralluogo per ragioni delicate e segrete. Donna Isabella balzò sul divanetto quando un messo le comunicò che per il 25 maggio Ferraris sarebbe arrivato. Tutto il palazzo si mise all'opera per presentarsi al meglio, perché un'occasione come quella sarebbe ricapitata difficilmente, se si fosse dimostrata qualche inefficienza.

Unico neo fu l'anticipo: Ferraris arrivò al palazzo la sera del 24 maggio. In quel preciso momento, Galatea si trovava all'esterno del palazzo, sul vialetto a rastrellare la ghiaia bianca, e vide l'agile carrozza sopraggiungere a una certa velocità. Senza pensarci troppo, lasciò il rastrello e corse sulla soglia, per fare in modo che l'accoglienza fosse assicurata, ma il piccolo mezzo di trasporto si arrestò davanti al portone subito dopo di lei. Fu così che, quasi per combinazione, la prima persona che Ferraris incontrò, messo il piede giù dal predellino, fu proprio Galatea. Nello smontare dalla carrozza, l'uomo, vestito elegante e ammantato di quel suo fascino misterioso, la passò con un'occhiata per nulla superficiale. Galatea si sentì arrossire e cinse le mani sul grembo, divisa tra il proprio orgoglio personale e l'incitamento di Fortuna a osare. Percepì un formicolio agli occhi, ma si ripromise che, qualsiasi cosa fosse accaduta, non avrebbe pianto. Per cominciare, si sarebbe comportata come suo solito, per non suscitare attenzioni sbagliate: non dimenticava, dopotutto, di dover celare la propria identità per questioni di sicurezza. Se Ferdinando avesse minimamente sospettato della sua presenza lì, si sarebbe precipitato a rapirla.

Ferraris, d'altronde, non le tolse lo sguardo di dosso nemmeno per controllare lo scarico dei suoi pochi bagagli.

«Buonasera» le disse. La sua voce era vellutata, ammansita ad arte; Galatea non poté evitare di trarne una sgradevole sensazione.

«Buonasera a voi, signore – rispose educatamente con un cenno della testa, poi, esitando, aggiunse – Spero abbiate fatto buon viaggio»

Il suo unico scopo era quello di risultare gentile; Ferraris, però, rimase sorpreso dalla cortesia fuori del protocollo, che infatti non prevedeva che i servitori si rivolgessero in quel modo ai loro padroni, e le sorrise compiaciuto: «Sì, decisamente buono. L'accoglienza non è da meno»

Galatea avvampò e si protese verso l'uscio per bussare; nel voltarsi di nuovo verso l'ospite, notò che la stava ancora osservando insistentemente.

«La mia signora è molto onorata della vostra nuova visita» proferì piano, per trarsi d'impaccio, per spostare la sua attenzione su qualcos'altro. Ferraris annuì: «Lo credo bene. Non ricordo, però, di aver già visto il vostro viso»

Deglutì prima di replicare: «Svolgo mansioni molto umili»

La chiave diede il primo giro nella serratura e Ferraris, con una certa fretta, le si rivolse per l'ultima volta quel giorno confessandole: «Spero, nonostante ciò, di potervi vedere più spesso»

Faticò molto a prendere sonno. Tutto il suo corpo fremeva di brividi e, quando non tremava, era così rigido da darle l'impressione di non averne più il controllo. Pensava costantemente a lui, anzi, a loro. Da un lato c'era Ottavio, dall'altro Ferraris. In mezzo c'era Fortuna. Prima l'aveva spinta tra le braccia di uno, ora le proponeva l'altro. Civettuola com'era sempre stata, le prospettava un futuro di rinnovato sentimento, di rinnovata passione. Se non gliene avesse fatto parola, Galatea non si sarebbe mai permessa di pensare a un altro uomo che non fosse suo marito. Ma "il duchino è morto"; così aveva detto Fortuna. E Ferraris era un uomo molto potente e molto ricco, oltreché affascinante. Le avrebbe dato quella sicurezza che da tanto tempo le mancava e che neanche Ottavio, purtroppo, era riuscito a darle. Che colpa aveva, lei, dell'essere rimasta vedova a nemmeno vent'anni, sola e in pericolo? Si sarebbe potuto parlare, nel suo caso, di immoralità? Quali altre vie le rimanevano per scappare dallo stato in cui si trovava imprigionata?

Tante domande, troppe per una notte sola. Si assopì esausta e si svegliò nervosa, senza una chiara idea di come muoversi. Alla fine, chiudendo la porticina della sua camera, si disse di seguire il corso degli eventi, di essere prudente ma non orgogliosa. Se avesse dovuto scendere a compromessi, l'avrebbe fatto a prescindere dal prezzo.

Donna Isabella, però, aveva nuovamente scelto per lei, confinandola al lavatoio perché, a suo dire, da troppo tempo si era risparmiata da quella mansione. Galatea, quindi, si dedicò ai suoi compiti con diligenza; non avrebbe saputo ammettere facilmente se lo facesse con sollievo o con disappunto. Talvolta increspava il naso e colpiva più bruscamente la biancheria, altre volte sospirava e si muoveva più pacatamente. A mezzogiorno si concesse la pausa del pranzo, poi si rimise al lavoro con le due compagne che dividevano con lei il grande catino d'acqua calda.

Inaspettatamente, a metà pomeriggio, quando ormai le mani erano raggrinzite da tanto erano bagnate, vennero a chiamarle, perché Ferraris voleva incontrare tutta la servitù. Non si sapeva molto circa il motivo della sua visita e tutti, serve e servi, maggiordomi e la stessa padrona di casa pendevano dalle labbra del prestigioso ospite a metà tra lo sbigottimento e la preoccupazione.

Ferraris radunò quindi la servitù in un salone abbastanza ampio e parlò schiettamente: tempo qualche settimana sarebbe tornato con un importante parente del duca Antonio, in visita di passaggio verso Roma. Esigeva un trattamento adeguato al rango del visitatore e per questo puntualizzò, uno dopo l'altro, i dettagli che necessitavano di più attenzione. Poi, dopo una breve pausa, aggiunse: «Y a-t-il quelqu'un ici qui parle français?»

Un mormorio venato di incredulità serpeggiò nella folla di servitori. Donna Isabella, che non parlava una sola parola di francese, si rigirò una mano nell'altra con fastidio. Sembrava che nessuno potesse rispondere all'ennesima richiesta.

«Oui, oui! – venne una voce – Oui, moi je parle un peu de français»

Ferraris la scorse subito, nonostante non fosse nelle prime file; inarcò le sopracciglia, con l'espressione di chi si veda soddisfatto proprio in ciò che desidera di più. La chiamò a sé con un gesto, senza aggiungere una parola. Galatea sfilò tra le colleghe che la guardavano ancor più sbigottite; mentre avanzava, si chiedeva freneticamente se fosse stata la decisione giusta. Aveva risposto d'istinto, pensando soprattutto di togliersi un peso dallo stomaco: osare, come diceva Fortuna, per distrarsi.

«Ho bisogno di qualcuno che sappia parlare francese, perché il nostro visitatore non parla altre lingue. Non sarò sempre al suo fianco per tradurre ciò che dice, perciò ho pensato di affidarmi a una persona che sia lì con il preciso compito di compiacerlo in tutto» spiegò ad alta voce, senza distogliere l'attenzione dalla giovane serva che era ormai di fronte a lui.

A quel punto irruppe Donna Isabella. Dondolando sulle gambe, tanta frenesia aveva di intervenire, si avvicinò a Ferraris e affermò il proprio diritto a partecipare alla decisione: «Signore – disse – Non credo che questa serva sarà ancora tra noi quando il vostro emissario giungerà qui»

«Mi dispiace contraddirvi, madama – fu la replica, per nulla risentita – Questa fanciulla sarà la vostra salvezza, perché è l'unica che parla francese»

Galatea seguiva il dibattito con il fiato sospeso: temeva che Donna Isabella volesse riservarle un tiro mancino e, d'improvviso, si convinse di aver fatto bene a farsi avanti.

«Cercherò qualcun altro per quel giorno» insistette la signora, gonfiando il petto.

Ferraris negò educatamente: «Sarebbe un nuovo arrivato, e i nuovi arrivati non sanno muoversi in un palazzo vasto come il vostro, perché non lo conoscono bene. Questa fanciulla è ciò che voglio, ed è ciò che anche il conte vorrà»

Donna Isabella, alla fine, dovette cedere per non risultare sgradevole.    

Figlia di mercanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora