Aprile 1670 *

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Non capitava raramente che al palazzo di Donna Isabella giungessero ospiti di passaggio; capitava ugualmente spesso che si trattasse di ospiti invitati esplicitamente dalla padrona di casa, mentre erano sporadiche le visite a sorpresa. Quella di quel giorno era una di queste. Galatea – che si era data il nome di Teresa, per non attirare troppi sospetti – stava scopando il pavimento quando vide entrare un uomo di quarant'anni, ben vestito e con una lunga parrucca, a passo ben disteso ed elegante. Indossava un completo che doveva essergli costato un occhio della testa e, a volerla dire tutta, l'uomo portava una benda giusto sull'occhio destro. Scoprì in seguito che si trattava di un nobiluomo che in gioventù era stato un promettente militare; l'incidente aveva nuociuto alla sua carriera, ma non alla sua fama di persona a modo e affascinante. Capì subito che, nonostante fosse ben più anziana di lui, la padrona doveva covare un fievole sentimento nei suoi confronti. D'altro canto, non le era del tutto indifferente e, se non fosse stata costretta a recitare la parte della serva, avrebbe fatto volentieri la sua conoscenza solo per godere un po' di quel temperamento misterioso e accattivante.

Forse l'avrebbe fatto anche con un altro scopo abbastanza ovvio: avere notizie. Benché i giorni passassero tranquilli, Galatea non si rassegnava a vivere in balia della sua salvatrice, visto che non si stava dimostrando affatto ben disposta: la situazione era sotto controllo, suo marito era vivo e libero, il processo tardava a cominciare, dando l'impressione che non dovesse cominciare mai... Cosa mancava affinché la vecchia nobildonna decidesse di lasciarla andare? Come se ciò non fosse bastato, il trattamento che le veniva riservato rasentava ormai il disprezzo: i suoi superiori, uomini o donne indifferentemente, si sentivano in dovere di rimproverarla, di caricarla di lavoro e di lamentarsi, qualora qualcosa non seguisse le loro disposizioni. La padrona, poi, aveva preso il vizio di parlarle con una supponenza tale da farla arrossire di stizza ad ogni parola. Insomma, se fosse stato per lei, Galatea sarebbe già scappata a gambe levate. Ma la sua condizione era troppo particolare per permetterle la fuga: la sua stanza era in soffitta e la soffitta, durante la notte, era controllata da servi istruiti allo scopo di non far entrare o uscire nessuno senza una ragione valida. Durante il giorno, le sguattere si controllavano a vicenda, da un lato per garantire un buon lavoro e dall'altro per pura e semplice gelosia. Rivelare la propria identità? Sarebbe stata una mossa almeno azzardata, se non proprio controproducente. Avrebbe attirato l'attenzione, avrebbe attirato l'avarizia di chi le stava intorno... Non avrebbe fatto altro che aizzare Ferdinando a una reazione. E Galatea non sapeva che Ferdinando aveva lasciato la corte.

«Teresa! Il pavimento non si spazza da solo!» la redarguì la sua superiora, avendola trovata ferma in piedi con la scopa in mano e un mucchietto di polvere tra i piedi. Galatea si riscosse dai pensieri turbinosi di quella mattina; l'affascinante sconosciuto non l'avrebbe distratta più con il suo alone di mistero.

Non avrebbe mai potuto immaginare che questi fosse lì solo ed esclusivamente per trovare lei. Il suo nome era Alessandro Ferraris ed era tanto affascinante quanto scaltro. La furbizia e la capacità di adattarsi a diverse contingenze l'avevano fatto diventare una delle spie più insospettabili del ducato e questo contribuiva ad accrescere il suo orgoglio e il desiderio di nuove sfide. La sua dote era tenuta in gran conto e per questo lo si inviava là dove ci fosse estremo bisogno di discrezione e delicatezza. La maggior parte del tempo, perciò, Ferraris non si trovava coinvolto in nessun tipo di affare e viaggiava, collezionava conoscenze e favori, sicuro di poterne fare buon uso in futuro. D'altro canto, molti litigavano per averlo dalla propria parte perché, all'apparenza, Ferraris non era che uno dei consiglieri militari del duca e uno dei più influenti uomini della capitale. Il fatto che avesse un occhio solo ingannava l'opinione di chi lo giudicava un altezzoso dedito alla moda e alle donne; questi ultimi erano, in fondo, gli invidiosi.

Donna Isabella era profondamente onorata della visita. Sapeva che si trattava di un'ottima occasione per far parlare di sé a corte e offrì all'ospite e ai suoi accompagnatori un soggiorno degno di un re: dilapidò le proprie ricchezze in pranzi e cene all'altezza del palato di un sofisticato gentiluomo abituato a essere servito bene; mise a disposizione le camere migliori, la servitù di più lunga esperienza; chiamò sarti e ogni genere di persone che potessero risultare gradite. La prudenza, però, le consigliava di evitare a Galatea di scambiare anche due innocenti parole con lui, nel timore che potesse rivelargli chi fosse. Per questo motivo la fece incaricare delle faccende più umili, con la scusa dell'ultima arrivata. Nessuno aveva avuto da ridire.

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