Galatea era tornata a sedersi, ma tutto il suo corpo fremeva con la sua anima. Troppe le preoccupazioni, troppi i presentimenti. Aveva paura al pensiero di aprire la porta. Avrebbe voluto che Fortuna fosse lì perché erano tante le cose che non tornavano. Forse avrebbe potuto chiamarla, ma dubitava che sarebbe venuta. Perciò si impose una disciplina, moderò la velocità dei respiri, castigò le braccia e le mani e ripeté più volte a mezza voce: «Tutto bene, tutto bene»
A contraddirla giunsero voci concitate dal corridoio. Non si capiva cosa dicessero, ma non importava: Galatea lo sapeva benissimo. Si precipitò alla porta e nel farlo incespicò nel tappeto, finendo con il rovesciare il vassoio d'argento. La frutta finì sparpagliata sul pavimento, ma non ci badò. Afferrò al volo la maniglia e aprì appena in tempo per permettere ad alcuni servitori di trascinare dentro Ottavio.
Era totalmente fuori di sé, agitato, infervorato. Qualcuno disse che era assatanato. Galatea sbiancò e non fu in grado di proferire il minimo suono che non fosse un gemito di spavento. E Ottavio si muoveva tra le mani dei suoi soccorritori, si ribellava, si opponeva; e quando lo ebbero coricato sul letto, si diede a picchiare pugni sui cuscini, sul materasso, annaspando come un uomo che sta affogando. Galatea scoppiò in lacrime terrorizzata.
«Un medico! Un medico!» balbettò, ma le fu detto che un servo era già corso a chiamarlo. Per nulla rasserenata, Galatea spintonò per avvicinarsi al letto.
«Vostra Altezza, vostro marito non è in sé, potrebbe farvi del male...» cercò di trattenerla un paggio, ma non volle sentire ragioni. Si inginocchiò al suo capezzale, sperando che prima o poi la notasse.
Alla prima occasione in cui ruotò convulsamente il capo nella sua direzione, Ottavio posò gli occhi su di lei. Galatea li fissò attentamente: le pupille erano dilatate in modo innaturale e lo sguardo fisso ben presto assunse un aspetto quasi cattivo, truce.
«Ottavio?» lo chiamò, allungando una mano per accarezzargli la guancia.
Lui ringhiò e, strappando le braccia alla presa dei servi, si aggrappò a lei e la tirò verso di sé.
«Tea!» la chiamò con tono bestiale, la voce ridotta a un rantolo. Galatea cominciò a urlare e lui la strinse più forte, sollevandola da dov'era.
Ci vollero tre persone per vincere la forza brutale di Ottavio e liberarla dalle sue attenzioni: non appena fu abbastanza lontana da impedirgli un nuovo attacco, il duchino si disinteressò completamente di lei. Afferrò le lenzuola e soffocò un grido, quindi si piegò in uno spasmo.
In quel frangente giunse il medico. Osservando il delirio prescrisse ai servi di preparare un decotto calmante e di farlo bere al malato con ogni mezzo. Per il resto, disse, bisognava aspettare il decorso naturale, quale che fosse: una follia simile non lasciava adito a previsioni ottimistiche.
Aveva perso il conto dei minuti e delle ore trascorse. Non aveva toccato cibo e non aveva lasciato la stanza. Mai, mai sarebbe uscita lasciandolo solo. Il medico aveva negato, sì; aveva detto che era stato un colpo di calore, per via del caldo degli ultimi giorni. Quella mattina il duchino era stato all'aperto, sotto il sole, senza ripari di nessun tipo; poi il pranzo assunto troppo rapidamente.
Tutti i sintomi rientravano nel caso e anche gli altri medici di corte erano stati d'accordo con la prima diagnosi. Alla fine anche lei si era convinta e adduceva a riprova del fatto anche il suo malessere. Evidentemente la dieta estiva doveva essere sottoposta a dei cambiamenti; ma non poteva pensarci in quel momento. Aveva cose più importanti a cui badare: era sola con lui, privo di conoscenza, addormentato con potenti sonniferi, gli unici in grado di farlo calmare. Era a letto a torso nudo, coperto da un panno bagnato, con un fazzoletto umido sulla fronte. Di tanto in tanto sussurrava una parola nel sonno.

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Figlia di mercante
Historical FictionSeicento, epoca buia, epoca di sospetti, di epidemie, di guerre. Ma anche secolo della musica, del barocco, dell'amore passionale. Due sfaccettature che segnano la vita di Galatea dalla nascita alla morte. Racconto la sua storia come me la racconta...