Non si ricordava tanta tensione nel ducato da molto tempo; la gente, quasi si fosse disabituata alle perquisizioni e agli interrogatori, aveva sempre la faccia stralunata quando si alludeva ai fatti recenti. Era come se lo sgomento avesse impestato l'aria e anche le attività quotidiane fossero diventate fonte di sospetto o, almeno, di ansia. Si aveva paura a sporgere fuori il naso dalla porta quando si sentiva rumore di ferraglia, perché pareva più probabile che si trattasse di un piccolo contingente di fanti che non della carretta di un arrotino o di un pentolaio. Il freddo che aveva calato la sua coltre sulla capitale, come su tutto il resto d'Europa, aumentava il desiderio di starsene chiusi in casa, rincantucciati accanto al fuoco, dove grazie al calore delle fiamme si scopriva di essere ancora vivi. Quello che per la maggior parte del ducato era più una sensazione a fior di pelle, un brivido di paura come quelli lasciati dalle fiabe prima di andare a dormire, nella capitale era la cruda realtà di tutti i giorni: le guardie erano decuplicate, non c'era strada, non c'era viottolo che sfuggisse a un controllo a sorpresa. Si voltava un angolo ed ecco comparire dalla parte opposta due o tre uomini alti e possenti, sempre armati. Anche i cittadini onesti si trovavano ad avere qualcosa da nascondere e diventavano reticenti, nonostante non entrassero per nulla nella questione che agitava così tanto il palazzo del duca. Chi avesse potuto vedere dall'esterno, come dall'alto, la città, l'avrebbe facilmente paragonata a un formicaio in allarme: tutti si muovevano scompostamente come formichine, senza una meta coerente, senza un'idea precisa di cosa si dovesse fare. L'unico ad avere un proposito più che delineato era il duca, che dal suo scranno nella sala del governo tuonava contro i ministri che lo pregavano di prendere una posizione, quando lui una posizione l'aveva già presa: aspettare. Voleva vedere suo fratello prima di dichiararlo morto, voleva un corpo da seppellire prima di ufficializzare le ipotesi più nere, voleva insomma qualcosa di tangibile che fosse più di qualche traccia di sangue in una camera da letto. Le indagini non erano andate lontano, si erano arenate nel terreno fangoso della criminalità endemica dei quartieri malfamati, alla ricerca di un sicario di cui non si conosceva né il nome né il volto. Antonio andava su tutte le furie ogni qual volta gli si ricordasse che, in tali condizioni, solo un pazzo avrebbe continuato a cercare.
Ma alla fine qualcosa venne a galla; letteralmente. Era un pomeriggio della seconda metà di dicembre e il fiume che costeggiava la capitale era pieno d'acqua turbinosa che scendeva precipitosamente dalle montagne. Pioveva da giorni e giorni e questo sembrava essere il più grande ostacolo per le ricerche. Invece si rivelò un ottimo strumento per far luce su un fatto tanto eclatante quanto doloroso.
Quel pomeriggio, il turbinio delle rapide fece preoccupare le autorità, che mandarono cinque uomini incaricati di accertarsi della solidità degli argini non molto lontano dalle mura della capitale. Nelle operazioni di controllo, uno di loro vide un'ombra agitarsi poco sotto la superficie e, pensando fosse un ammasso di stracci e rifiuti intrappolato tra le rocce, fece cenno agli altri per sapere se si dovesse o meno intervenire. Giacché erano stati mandati per un controllo, il più anziano e autorevole dei cinque sentenziò che si facesse il possibile per liberare l'ammasso, così da evitare ulteriori problemi; se la cosa di fosse rivelata pericolosa, avrebbero lasciato perdere. Si accorsero subito del peso non indifferente dell'oggetto incastrato e uno si alzò a protestare che non voleva finire in acqua per qualche decina di mutande gettate nel fiume dai contadini, ma il capo lo richiamò all'ordine. Con tre bastoni uncinati lo agganciarono e tirarono una prima volta, senza risultato; al secondo tentativo, notarono qualcosa di strano e accrebbero gli sforzi; al terzo, l'oggetto venne finalmente in superficie e i cinque, tutti insieme, impallidirono e urlarono di paura.
Furono chiamati i rinforzi e, per timore che venisse buio troppo in fretta, furono reclutati tutti gli uomini in forze dei dintorni. Lavorarono di lena fino al tramonto, quando finalmente riuscirono nell'impresa. Il risultato, però, non ripagò della fatica, anzi, diffuse tra tutti i presenti uno sconforto indescrivibile.
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Figlia di mercante
Narrativa StoricaSeicento, epoca buia, epoca di sospetti, di epidemie, di guerre. Ma anche secolo della musica, del barocco, dell'amore passionale. Due sfaccettature che segnano la vita di Galatea dalla nascita alla morte. Racconto la sua storia come me la racconta...