Settembre 1669 pt. 5

1.4K 104 28
                                    

Ottavio organizzò le cose in modo da avere un momento per parlare a tu per tu, solo, con il capo stalliere Paolo Zuffini. Per tutto il corso della conversazione, che in realtà fu molto breve, percepì una certa tensione, un tono di sfida totalmente fuori luogo. Il giovanotto con gli abiti sporchi di paglia lo fissava dritto negli occhi, come indagando le sue emozioni nel profondo della sua anima. Ottavio aveva provato subito l'istinto di allontanarlo da sé, ma aveva bisogno del suo sostegno ed era sceso a patti con quello strano modo di porsi. Galatea era poco fuori dalle scuderie, seduta su una seggiola, guardata a vista da una guardia. Leggeva un romanzo, uno dei pochi conservati nella biblioteca del palazzo; di tanto in tanto alzava gli occhi, guardava un merlo che saltellava tra l'erba rubando qualche insetto alla sua quiete e volando via, sparendo con un guizzo nel fitto dei boschetti circostanti. Guardava i merli, ma in realtà avrebbe voluto essere nella stalla. Non sapeva cosa avrebbe fatto una volta dentro; non aspettava altro che scoprirlo. Ottavio uscì all'esterno accompagnato da Paolo: parlavano ad alta voce dei cavalli, facevano finta di averli osservati e dibattevano sulle qualità di ciascun esemplare. Sembravano entrambi intendersi bene dell'argomento e la guardia posta a sorveglianza di quel lato del palazzo era involontariamente attratta dal loro discorrere fitto di parole tecniche e allusioni più vaghe. Galatea approfittò della sua disattenzione per lasciare il suo posto ed entrare, non vista, nella scuderia. I cavalli la accolsero con nitriti sommessi, scalpitando.

«Volete uscire?» domandò, quasi le potessero rispondere. Si chinò a raccogliere una manciata di fieno e lo porse all'animale più vicino, che brucò con poco interesse, forse per farle piacere. Il secondo rifiutò la sua cortesia scuotendo la criniera tagliata corta. Il terzo fu più accondiscendente.

Un suono alle sue spalle la fece voltare di colpo. Il quarto cavallo, che già tendeva il collo per avere la sua parte, nitrì forte contrariato.

«Cosa ci fai qui? - bisbigliò Paolo - Vuoi fare anche tu una chiacchierata privata con me?»

Le fece l'occhiolino e poi le corse incontro, sollevandola da terra mentre l'abbracciava.

«Lasciami, traditore!» lo redarguì, picchiandogli un pugno sulla fronte. Paolo, più sorpreso che dolorante, la rimise giù.

«Da quanto tempo te la intendi con la serva?» lo interrogò, le mani ben piantate sui fianchi.

Paolo capì e arricciò il naso: «Sei gelosa? Tu ti sposi e sei pure gelosa?»

«Da quanto?» insistette.

«Da qualche mese, ma non è niente di serio» rispose con fare ostile.

Galatea attaccò di nuovo, senza farsi intimidire: «E ti piace più di me?»

«Di certo non me la sposerei...»

Galatea pestò i piedi: «Non è questo!»

«Ascolta: è da più di due anni che sono esiliato qui. E come facevo a sapere che prima o poi ci saremmo rivisti? Non ci hanno allontanati affinché non ci rivedessimo mai più? Adesso sei pure maritata!»

«Questo non ha importanza - ribatté senza pensarci troppo - L'altro giorno mi hai baciata»

«E ti bacio ancora, se vuoi, se me lo chiedi»

«Baciami, allora»

Paolo la travolse senza lasciarla nemmeno finire. Lei non seppe e non volle resistergli: si era già sfogata su Ottavio, se ne pentiva anche e non aveva nessuna voglia di tenere il muso al suo amore. Eppure, come la volta precedente, sentiva che il suo cuore non partecipava alla festa dei suoi sensi appagati. Il suo cuore era un lago freddo in mezzo a un incendio: non lasciava che le lingue infuocate si avvicinassero alle sue profondità, umiliava le alte temperature con un tocco umido e fatale. Le lacrime sorsero nuovamente, pronte ad annebbiarle la vista, come se il fuoco interiore spingesse i vapori del lago del suo cuore a cercare una via di fuga. Le ricacciò da dove erano venute, nulla doveva disturbarli. Nemmeno i moti interiori e segreti della sua anima.

Figlia di mercanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora